di Luca Gualtieri
Forse non tutti gli investitori se ne sono accorti, ma nell’ultimo anno Intesa Sanpaolo e Unicredit sono state fra le prime della classe in Piazza Affari. In dodici mesi i due istituti hanno battuto non solo il Ftse Mib, ma anche l’indice bancario mettendo a segno un rialzo rispettivamente del 44,4% e del 41,8%. Nè gli ultimi focolai della crisi bancaria, nè l’intransigenza della Bce e nemmeno la correzione borsistica degli ultimi giorni hanno rallentato questa corsa, a dimostrazione del fatto che nei due big del credito italiano i mercati continuano a vedere un investimento affidabile. L’ultima conferma di questo sentiment è arrivata con la presentazione dei risultati di bilancio, che nel caso di Intesa sono stati accompagnati dal piano d’impresa al 2021. Numeri e strategie sono stati accolti molto positivamente dalla borsa e consentono di avere una fotografia completa sullo stato di salute dei due gruppi.

Ricavi. Con i tassi a zero la redditività è un problema molto serio per le banche. La strategia su cui i grandi istituti si stanno orientando per contrastare la debolezza strutturale del margine di interesse è un allargamento della base ricavi. Intesa si è mossa per tempo in questa direzione, spingendo sulle commissioni attraverso le attività di risparmio gestito. Così, se nel 2017 gli interessi netti sono calati del 2,5% a 7,11 miliardi, le commissioni (sia da attività bancaria che soprattutto da gestione) sono salite del 5,5% a 7,74 miliardi. Il conto economico della Ca’ de Sass può inoltre contare sul canale assicurativo che, grazie alle compagnie di proprietà, ha apportato altri 933 milioni ai proventi operativi. In generale insomma i conti 2017 di Intesa confermano un trend consolidato negli ultimi anni che garantisce una sostanziale tenuta del primo margine. Maggiori novità sono arrivate invece da Unicredit . Rispetto all’ultimo bilancio infatti il gruppo guidato da Jean Pierre Mustier ha registrato una decisa crescita delle commissioni che sono balzate del 7,1% a 6,7 miliardi, grazie al contributo dei servizi di investimento e di finanziamento. Una performance che ha compensato il calo degli interessi netti e delle attività di negoziazione, consentendo alla banca di realizzare proventi per quasi 20 miliardi (+1,7%). La sensazione insomma è che Unicredit stia recuperando il terreno perduto negli anni scorsi, diversificando progressivamente la base ricavi. In particolare la banca sembra sempre più orientata sulla trasformazione della liquidità da clientela in raccolta gestita, sostenuta dalla partnership distributiva con Amundi-Pioneer. Ma Intesa non resterà con le mani in mano. Il nuovo piano pone infatti grande attenzione al wealth management. Il rafforzamento in questo ambito dovrebbe passare attraverso l’alleanza con un operatore internazione che, secondo rumor di mercato, potrebbe essere BlackRock. Quanto al private banking, l’obiettivo di Messina è diventare uno dei primi cinque big in Europa e il secondo nell’Eurozona per masse gestite, con un flusso di raccolta netta gestita di 55 miliardi.

Costi. Anche se Intesa ha registrato una lieve crescita dello 0,4% a 8,74 miliardi per le spese del personale e gli ammortamenti, il cost-income della banca guidata da Carlo Messina è stato migliore di quello di Unicredit (55,1% contro 57,9%). A Mustier il mercato ha comunque reso merito del grande lavoro svolto su questo fronte: gli oneri operativi sono infatti scesi del 4% a 11,4 miliardi. Il numero dei dipendenti si è ridotto di oltre sei mila unità anno su anno e di nove mila da fine 2015, pari al 64% della riduzione pianificata entro il 2019.

Capitale. Sia Intesa che Unicredit si trovano ai vertici delle classifiche europee per solidità patrimoniale. A fine 2017 ad esempio la Ca’ de Sass aveva infatti un cet1 pro-forma a regime al 14%, ben al di sopra del requisito Srep. Come previsto, l’applicazione del nuovo principio contabile Ifrs 9 (entrato in vigore il 1° gennaio) ha avuto un impatto sul patrimonio a causa dei circa 4,1 miliardi di rettifiche. Tenendo conto di questo effetto, il cet1 pro-forma a regime scenderebbe al 13%. Lo stesso vale per Unicredit che, a fine 2017, contabilizzava un requisito patrimoniale al 13,6% che calerebbe al 13,02% pro forma considerando la prima applicazione dell’Ifrs9 e la chiusura della cessione di npl da 17,7 miliardi denominata progetto Fino. Non bisogna peraltro dimenticare che la dotazione di capitale di Piazza Gae Aulenti è figlia dell’aumento di capitale da 13 miliardi lanciato un anno fa, per consentire la pulizia dell’attivo.

Credito deteriorato. Complice anche il pressing della Bce, la gestione dei non performing loan è stato al centro delle strategie bancarie nel corso del 2017. Se da un lato Unicredit ha aperto il mercato delle cessioni attraverso la maxi operazione Fino con Fortress e Pimco, Intesa si è mossa con maggiore prudenza affiancando alle gestioni alcune dismissioni. A fine 2017 le due banche avevano un npe ratio (rapporto tra crediti deteriorati e impieghi) poco al di sopra del 10% con l’impegno però a scendere nei prossimi anni. Il piano Transform 2019 di Piazza Gae Aulenti prevede infatti il raggiungimento di un npe ratio all’8,4% entro la fine del 2019, mentre la strategia presentata martedì 6 da Messina fissa un target al 6% per il 2021. Quanto alle coperture, per il momento Unicredit si è mostrata più aggressiva con un coverage al 56,2% che arriva al 65,8% per le sofferenze, mentre Intesa si attesta al 51,1% per i deteriorati e al 63,1% per le sofferenze. Nel nuovo piano comunque Messina ha dato obiettivi ambiziosi anche per l’asset quality: la banca vuole infatti dimezzare i crediti deteriorati, passando dai 52,1 miliardi lordi di fine 2017 a 26,4 miliardi. La manovra sarà realizzata attraverso una partnership sulla piattaforma di recupero crediti per cui sarebbero ancora in corso colloqui. Il soggetto in fase più avanzata sarebbe il gruppo norvegese Lindorff-Intrum Justitia (assistito da Mediobanca ), anche se l’accordo non è ancora stato raggiunto. Negli obiettivi del management, comunque, il processo di smaltimento non dovrebbe avere impatti significativi sul patrimonio della banca che può contare su un eccesso di capitale di 13 miliardi rispetto ai requisiti regolamentari.

Dividendo. Se finora Intesa non ha mai fatto mancare la cedola cash agli azionisti, Unicredit ha alle spalle anni di trincea. Solo quest’anno la banca di Mustier tornerà a distribuire il dividendo in contanti, con un monte complessivo di 700 milioni (0,32 euro per azione). Intesa invece dovrebbe restare generosa anche nei prossimi esercizi, con un payout cash al 70% per il 2021. (riproduzione riservata)
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