di Roberta Castellarin e Paola Valentini
Gli Etf sono una scorciatoia a basso costo per esporsi sui mercati. Nel bene e nel male. Se il gestore può fare davvero la differenza nel battere i mercati, gli Exchange traded fund seguono, invece, sia nei ribassi sia nei rialzi l’andamento degli indici. E la direttiva Mifid 2, in vigore proprio da inizio anno, mette in luce i money manager più capaci da quelli meno brillanti, perché alza il velo sui costi che, peraltro, sono il punto di forza degli Etf. Infatti la commissione media di gestione di questi ultimi è sotto l’1% per gli azionari, mentre sui fondi gestiti attivamente si attesta intorno al 2%. Ma se il gestore è un fuoriclasse, i risultati che ottiene riescono a coprire i maggiori costi e quindi a giustificare ai sottoscrittori commissioni più elevate. Non ci sarà, però, più spazio per fondi di fatto indicizzati, ma con costi da gestione attiva.

D’altronde non è un caso che, dopo il lungo rally di borse e bond, lo scorso anno un flusso enorme di denaro si sia riversato sugli Etf in cerca di una via low cost per investire sui mercati. Globalmente, gli asset dell’industria degli Etf a fine 2017 hanno superato 4.560 miliardi di dollari e la raccolta netta nei 12 mesi è salita al picco dii 595 miliardi di dollari (dati Lyxor). In totale lo scorso anno i flussi in tutti i prodotti passivi (quindi considerando Etf e fondi indicizzati) hanno raggiunto gli 890 miliardi di dollari, +46% sul 2016, superando i 766 miliardi affluiti nei fondi attivi. Gli stessi trend sono stati visibili anche in Europa, dove secondo le analisi di Thomson Reuters Lipper gli Etf a fine 2017 hanno raggiunto il record storico di asset in gestione a 634 miliardi (in crescita per il quinto anno consecutivo) registrando nell’anno una raccolta sui massimi nei 12 mesi (94,7 miliardi, più del doppio rispetto al 2016 e +31% rispetto al record precedente del 2015). Anche grazie a questi numeri il comparto europeo del risparmio gestito nel suo complesso (includendo quindi accanto agli Etf anche i fondi aperti) ha toccato il picco di flussi (756 miliardi) raggiungendo i 10.400 miliardi di masse.

Dal punto di vista degli asset manager, in termini di patrimonio il leader in Europa a fine 2017 risulta BlackRock con 755,9 miliardi di euro, seguito a una certa distanza da Amundi con 401,4 miliardi di asset e JP Morgan con 321,5 miliardi. Dal punto di vista della raccolta netta, in testa c’è sempre BlackRock con flussi per 101,1 miliardi, seguita da Pimco (55,8 miliardi) e Amundi (47,5 miliardi). Anche se si scorpora la componente di Etf (34,6 miliardi raccolti da iShares), BlackRock risulta in testa con 66,5 miliardi di flussi netti. E, secondo il report Asset Flows Europe di Morningstar, la gran parte di questa raccolta è andata sui fondi passivi che hanno attirato oltre 37 miliardi. Ben il 70% dei flussi in Europa del colosso Usa del risparmio gestito ha quindi riguardato prodotti indicizzati. Anche per Deutsche Bank la raccolta netta in Etf (a marchio Xtrackers) è stata fondamentale nel 2017 e ha rappresentato 11,2 miliardi su 16,6 miliardi totali. «Questi dati dimostrano quanto sia diventata importante l’industria degli Etf in Europa. Quindi non deve stupire che molti gestori attivi abbiano annunciato che lanceranno Etf nel 2018 ed oltre. Si tratta di un cambiamento strutturale dell’industria europea», si legge nello studio Thomson Reuters Lipper.

Come si presenta questo mercato così in espansione? Dall’osservatorio di Thomson Reuters Lipper, il mondo degli Etf in Europa è super concentrato tra pochi operatori, ma rimane competitivo in termini di commissioni applicate con un Ter (Total expense ration) che si attesta in media allo 0,32% a fine dicembre 2017. Dal punto di vista delle società emittenti guida sia la classifica per asset in gestione sia quella per raccolta netta iShares, con 294,9 miliardi, ossia il 46,72% dell’intero settore europeo, e una raccolta netta da inizio anno di 34,6 miliardi. Seguono a una certa distanza Xtrackers, che ha masse per 68,1 miliardi con, come detto, una raccolta netta di 11,2 miliardi, e Lyxor (Société Générale ) con 64,2 miliardi e flussi di 10,9 miliardi. Mentre Amundi ha raggiunto a fine 2017 un picco di 38 miliardi di asset rispetto ai 25 miliardi del 2016, con 10 miliardi di raccolta, più del doppio sull’anno precedente, che le hanno permesso di crescere a una velocità doppia rispetto al mercato.

Intanto in uno studio pubblicato sempre da Thomson Reuters Lipper ci si chiede se la dominanza dei big player stia uccidendo la concorrenza nell’industria europea degli Etf. Dalla ricerca emerge che per ora il mercato, nonostante la forte concentrazione, resta competitivo ed efficiente. In particolare si rileva che le commissioni di gestione per i prodotti che replicano indici non sofisticati sono scese in modo significativo negli ultimi anni. C’è stata di fatto una guerra dei prezzi perché ogni nuovo entrante nel mercato ha proposto prodotti con costi più bassi per conquistare uno spazio e, come risposta, i player esistenti hanno applicato riduzioni ancora più corpose. E non manca a questo punto chi si chiede se con queste fee l’industria sia profittevole. Anche se non bisogna dimenticare che produrre Etf comporta costi fissi che all’aumentare delle masse in gestione possono essere meglio assorbiti.
Dall’altra parte, lo studio rileva che non esistono barriere all’ingresso per chi vuole entrare nel business, infatti si può partire da zero o acquisire operatori già presenti in vendita. Negli ultimi due anni ci sono stati debuttanti che hanno scelto una via o l’altra. Detto questo lo studio conclude che «anche se l’alta concentrazione degli asset finora non ha impedito la concorrenza in Europa, non si può escludere che questo cambi in futuro».

Nel frattempo, non bisogna dimenticare che i mercati finanziari sono cambiati radicalmente negli ultimi anni con il rischio che gli effetti di una correzione potrebbero essere più dolorosi rispetto a quanto accadeva in passato. «I fondi passivi hanno registrato un boom di flussi nel 2017. Ma non è chiaro che cosa potrebbe succedere alla raccolta dei fondi passivi durante un ribasso dei mercati», avverte Goldman Sachs, «Ad esempio perdite negli Etf obbligazionari potrebbero essere più forti rispetto a quelle nei titoli sottostanti. Se gli investitori in questo caso riscattassero per avere liquidità, questo potrebbe riflettersi anche in altri segmenti, come quelli azionari», conclude l’investment bank.
Appartengono proprio alla categoria degli azionari gli Etf che nel 2017 hanno ottenuto i maggiori flussi netti. In particolare, l’azionario globale ha registrato una raccolta netta pari a 11,8 miliardi, quello Usa 10,7 miliardi e l’azionario europeo 8,3 miliardi.
Intanto l’industria degli Etf attira anche i gestori attivi. L’ultimo esempio, in ordine di tempo, è quello del colosso Usa dell’asset management Franklin Templeton. Dopo aver lanciato a fine 2015 a livello globale la divisione dedicata agli Etf (assumendo da BlackRock Patrick O’Connor, uno dei fondatori nel 1999 da Ishares), e aver debuttato nel 2016 con i primi prodotti, il gruppo ha appena portato i suoi comparti anche in Italia.

Per ora la società ha quotato su Piazza Affari la gamma di Etf smart beta Liberty composta da cinque prodotti. Gli smart beta sono detti anche Etf intelligenti perché non prevedono una pura replica degli indici, ma sono costruiti in modo attivo dalla società di gestione. Si tratta quindi di Etf non completamente passivi (un segmento di mercato, quest’ultimo in cui la società ha debuttato a fine 2017 negli Usa quotando sul Nyse 16 Etf tra cui uno esposto sulle azioni di Piazza Affari). La decisione di investire sugli Etf potrebbe essere dettata anche dalla necessità di frenare i riscatti che nel 2017 hanno colpito duro (a livello globale la società ha avuto un saldo netto negativo nei nove mesi del 2017, secondo i dati Morningstar, di 38,6 miliardi su oltre 750 miliardi di masse, il secondo peggior risultato nel mondo dopo Goldman Sachs).

Anche l’Italia non ha fatto eccezione con un rosso di 1 miliardo su asset per circa 17 miliardi (si veda grafico). E la scelta di partire con gli smart beta, anziché con la gamma dei tradizionali Etf, è probabilmente dettata dalla necessità di non interferire con il business dei fondi comuni che, seppur in calo, rappresenta oggi l’attività principale del gruppo non solo sul fronte internazionale, ma anche in Italia dove qualche anno fa il gruppo era arrivato a gestire quasi 30 miliardi. «L’Italia», ha commentato Patrick O’Connor, head of global Etf di Franklin Templeton Investments, «è sempre stato un mercato strategico per Franklin Templeton in Europa considerati i volumi e il dinamismo del settore degli investimenti. La possibilità di offrire i nostri fondi Liberty Smart Beta su Borsa Italiana, la quarta piazza più attiva in Europa in termini di trading, è un passo fondamentale nel nostro percorso di creazione di una piattaforma Etf globale e di alta qualità». Gli indici a cui sono agganciati gli Etf Liberty sono costruiti su misura, con un modello proprietario personalizzato, attraverso la ponderazione di quattro fattori: quality, value, momentum e volatility. «Gli italiani», dichiara Michele Quinto, co-branch manager e retail sales director di Franklin Templeton in Italia, «sono tra i più evoluti conoscitori e utilizzatori dello strumento Etf. In particolare gli investitori retail hanno cominciato con particolare interesse a investire una parte dei loro risparmi in Etf avendo fin da subito potuto constatare i principali vantaggi di investire in questi fondi, tra cui i bassi costi, il trading infragiornaliero e la liquidità».

Se i risparmiatori, anche per via della Mifid 2, si stanno avvicinando sempre più agli Etf, questi strumenti sono già invece molto utilizzati dai gestori. «Gli Etf in Italia», ha aggiunto Antonio Gatta, co-branch manager e institutional sales director di Franklin Templeton in Italia, «hanno ottenuto ottimi riscontri sopratutto tra gli investitori istituzionali e i fund buyer».
Continua a puntare sulla combinazione gestione attiva ed Etf anche il colosso Usa Invesco che ha lanciato questa settimana il primo Etf multi-asset legato ai Pir. Il prodotto, PowerShares Italian Pir Multi-Asset Portfolio, ha la peculiarità di poter investire in diverse asset class, «caratteristica che consente potenzialmente di trarre beneficio da una maggiore diversificazione di portafoglio», sottolineano da Invesco. Il prodotto che prevede la revisione del portafoglio su base trimestrale ha una commissione di gestione annuale pari allo 0,45%. Sergio Trezzi, managing director, a capo della distribuzione retail Emea (esclusa la Gran Bretagna) e America Latina sottolinea che «l’idea di sviluppare questo fondo tramite un prodotto economico e trasparente come l’Etf che possa beneficiare di un approccio multiasset si inserisce nella strategia di Invesco di posizionarsi come provider di una gamma di soluzioni onnicomprensiva».

Proprio nella categoria dei fondi azionari Italia specializzati sulle mid e small cap spicca il Lyxor Ftse Italia Mid cap Pir, il primo Etf a norma Pir lanciato sul mercato (a inizio 2017) che conquista il quarto posto in classifica per performance a 12 mesi con un +33,93% nel 2017. Lo battono solo Anima Iniziativa Italia, Atomo Made in Italy ed Eurizon Azioni Pmi Italia. Emerge dal confronto realizzato da MF-Milano Finanza sui dati Fida tra le performance dei fondi a gestione attiva e gli Etf nelle principali categorie di azionari e obbligazionari. Nella tabella sono confrontati i 10 top performer per ogni categoria con i migliori Etf specializzati sulla stessa asset class. Ne emerge come in una situazione di mercati in rialzo gli Etf riescano a cogliere bene il trend, ma che comunque esiste un gruppo di gestori attivi che riesce a dare maggiore valore aggiunto agli investitori, al netto delle fee di gestione. Per esempio nell’arena di Wall Street Gam Star Us All Cap Equity ha reso il 23%, tre volte tanto quanto messo a segno dall’Etf Bnp Paribas Easy S&P 500 (+7%).

Intanto, in questa corsa ad aggiungere gli Etf alla propria gamma di prodotti, Eurizon va controcorrente e considera gli Etf come uno strumento utile da utilizzare per costruire fondi o gestioni patrimoniali multi asset. Mentre non ha interesse a entrare nell’arena come produttore di fondi indice quotati. La società di gestione del gruppo Intesa Sanpaolo , leader di raccolta nell’asset management nel 2017 con flussi per 18,3 miliardi di euro sui fondi aperti, vuole puntare sulla sua immagine di asset allocator. D’altronde il gruppo Eurizon è stato il primo per raccolta nei fondi flessibili e bilanciati in tutta Europa con flussi netti pari a 14,7 miliardi secondo le analisi di Thomson Reuters Lipper. Sottolinea Massimo Mazzini, responsabile marketing e sviluppo commerciale di Eurizon: «Da diversi anni abbiamo deciso di puntare su questi prodotti che, combinando diversificazione e flessibilità, danno accesso alle diverse fonti di rendimento senza replicare soltanto i mercati». Mazzini aggiunge: «La raccolta ci ha premiato perché sia gli investitori retail sia gli istituzionali cercano soluzioni che permettano di raggiungere una buona redditività, ma con una volatilità contenuta».

Va in questa direzione anche la scelta di investire per acquisire nuove competenze nel campo della gestione alternativa. Dopo anni di rally dei mercati la ricerca di diversificazione e non eccessiva correlazione con i mercati potrebbe diventare ancora più rilevante. «Ci aspettiamo che sui mercati nei prossimi anni ci sia un aumento della volatilità e di conseguenza crediamo che la componente di gestione e selezione attiva degli strumenti in cui investire sarà premiante. D’altronde i prodotti saranno sempre più costruiti in base ai diversi profili di rischio dei clienti», dice Mazzini. In questa direzione va anche la direttiva Mifid 2 entrata in vigore il 3 gennaio scorso. «La normativa richiede una governance sui prodotti proposti sia in fase di collocamento sia di monitoraggio successivo con una segmentazione per target di clientela. Si tratta di un processo oneroso e che richiede maggiore collaborazione tra produttore e distributore. Costruire prodotti che siano segmentati rispetto agli obiettivi degli investitori è fondamentale e i prodotti flessibili e le gestioni patrimoniali si adattano bene a questo modello», aggiunge Mazzini.

Proprio la Mifid 2, infatti, stabilisce che l’asset manager non solo deve fornire al consulente tutte le informazioni necessarie, ma anche garantire una product governance, che prevede che un prodotto finanziario sia, fin dalla fase della sua ideazione, strutturato per essere collocato a un determinato tipo di investitore. Un cambiamento che avrà nel tempo un impatto anche sulla gamma dei prodotti offerti. Come spiega a MF-Milano Finanza Mauro Panebianco, partner di PwC, che ha condotto proprio uno studio su che impatto potrà avere la Mifid 2 sulla composizione dei portafogli: «Una novità chiave è proprio quella della product governance. I prodotti proposti dovranno essere adatti al profilo di rischio, ma anche ai bisogni del cliente. E quest’ultimo avrà a disposizione molte più informazioni su costi, oneri e incentivi relativi ai servizi di consulenza, nonché su tutte le spese che gravano sui prodotti sia ex ante sia nel momento in cui gli venga proposta una modifica del portafoglio». Panebianco ricorda che proprio in riferimento agli incentivi, è da evidenziare che una delle novità assolute della Mifid 2 è il divieto di trattenimento degli stessi in caso di erogazione di consulenza su base indipendente, mentre continuano a essere ammissibili se ricevuti nell’ambito della prestazione di una consulenza non indipendente, ma caratterizzata da un alto valore aggiunto.

Dall’analisi condotta da PwC emerge che si aprirà una nuova fase nell’offerta prodotti con un maggiore ricorso ai certificate con protezione incondizionata dei capitali, che hanno costi bassi e permettono una certa flessibilità. «Ci sarà un portafoglio fondi di base cui si assoceranno prodotti come i certificate che daranno di volta in volta la possibilità di dare protezione o di aumentare le opportunità di rendimento del portafoglio», afferma Panebianco. I consulenti dovranno quindi disporre di un bagaglio di conoscenze che permetta loro di ricorrere di più a questi prodotti ancora poco diffusi in Italia. Un altro aspetto riguarda l’effetto che avrà questa operazione trasparenza sulle commissioni. In Gran Bretagna, con l’introduzione di una normativa che aumentava la trasparenza per i risparmiatori, si è assistito a una discesa sia delle commissioni di consulenza sia di quelle di gestione. Le prime sono passate da 150 punti base a meno di 100 punti base, le seconde da 120 punti a 85. Nel complesso, quindi, il cliente si è trovato un taglio di circa 100 punti base. «In Italia il calo probabilmente non sarà immediato, ma ci sarà nel tempo», ha concluso Panebianco. (riproduzione riservata)
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