di Claudia Cervini
Nell’ultimo mese Carige ha perso circa il 10% ma c’è anche chi ha preso importanti posizioni sul titolo. Alcuni investitori istituzionali sarebbero infatti da qualche tempo in manovra sull’istituto ligure guidato dall’ad Paolo Fiorentino e presieduto da Giuseppe Tesauro. Si tratterebbe, stando ai rumor di mercato, di fondi istituzionali e non speculativi che hanno iniziato dopo Natale, in sordina, a costituire posizioni non marginali e che potrebbero presto uscire allo scoperto.
L’azionariato attuale della banca vede Malacalza Investimenti come primo socio al 20,6%, Gabriele Volpi tramite Compania Financiera Lonestar al 9% e la Società per la Gestione delle attività (Sga), controllata dal Tesoro, vicina al 5,4%. I primi due hanno aumentato la quota nel corso dell’aumento di capitale da 500 milioni, mentre la Sga è entrata nell’azionariato proprio in quell’occasione. Sempre nell’ambito dell’aumento sono entrati nel capitale anche Credito Fondiario (che il 25 gennaio scorso ha ridotto la sua quota dal 5,397% al 4,894%) e Chenevari Investment Managers con poco meno del 5%. Accanto a questi azionisti, nuovi fondi sarebbero alla porta della banca genovese. Negli ultimi 15 giorni la performance del titolo non è stata brillante, ma in giornate specifiche, all’apparenza senza alcuna spiegazione, l’azione è scattata del 7%, in altre occasioni del 5%. Dal 27 dicembre al 13 febbraio sono stati scambiati 24,6 miliardi di pezzi, pari al 44,62% del capitale. A titolo di esempio il 15 gennaio, in una sola giornata, è passato di mano il 3,87% del capitale.
Dietro alle manovre degli operatori finanziari non ci sarebbe una strategia finalizzata ad arginare il primo socio Malacalza Inv. Questi soggetti non investono contro qualcuno, ma sulla base di calcoli razionali e dei possibili ritorni, anche in vista di una possibile aggregazione con un’altra realtà. Un merger che non sarà immediato, ma che a tendere mercato e osservatori danno come sempre più probabile.
Sebbene i fondi abbiano una strategia di investimento comune così come un orizzonte di lungo termine, non sarebbe stato stretto alcun legame ad hoc; nessun patto di sindacato. Semplicemente questi operatori, acquistano quando il prezzo è scontato rispetto al valore e alle prospettive della società. Non che Carige abbia brillato negli ultimi tempi: i risultati 2017 hanno registrato una perdita netta di 385,4 milioni rispetto al rosso di 296 milioni del 2016 dopo aver contabilizzato rettifiche e perdite di valore su cessione di crediti per complessivi 738 milioni. I risultati consuntivi 2017 sono stati inferiori del 12,6% rispetto alle previsioni del piano industriale. C’è però chi ricorda che si tratta dell’unica banca a essersi salvata con le proprie forze e senza interventi terzi. L’ad ha poi assicurato agli analisti che il peggio è passato e che ora si potrà concentrare sulla macchina commerciale. Nei piani c’è un consistente lavoro per migliorare la redditività, un nuovo impulso dell’attività di de-risking, l’emissione di un prestito subordinato e una rinnovata attenzione al wealth management.
Intanto procedono le dismissioni già previste dal piano di ricapitalizzazione che è pari a 1 miliardo (di cui 560 milioni già effettuati in aumento di capitale e Lme). Dopo avere ceduto l’immobile trophy asset di Milano in Corso Vittorio Emanuele, in fase avanzata ci sarebbe la vendita dell’immobile milanese di Via Spadari, di quello romano e di quello londinese. Non è escluso che più avanti la banca inizi a ragionare sulla possibilità di dismettere qualche partecipazione marginale e non core. (riproduzione riservata)
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