di Paola Valentini
La Rendita integrativa anticipata (Rita) e l’Anticipo pensionistico volontario (Ape) sono finalmente sulla pista di decollo. Si tratta di due misure parallele che vanno lette nell’ottica della flessibilità in uscita del lavoratore su cui però ricadono tutti i relativi costi. Mentre la prima consente, sotto certe condizioni, a chi è senza lavoro di chiedere un anticipo al proprio fondo pensione, la seconda è di fatto un debito. L’Ape permette, rispettati determinati requisiti, di anticipare fino a circa quattro anni il momento di andare in pensione (rispetto a quanto previsto dalla legge Fornero) tramite un prestito contratto con le banche che servirà a erogare l’assegno pubblico nel periodo mancante tra il momento del ritiro dal lavoro (permesso a partire dai 63 anni) e l’effettivo momento di maturazione dei requisiti di vecchiaia (oggi 66 anni e sette mesi). Da questo momento il lavoratore dovrà restituire per 20 anni il capitale a rate (prelevate dalla pensione), pagando un tasso di interesse sul finanziamento, (come nei mutui).

Il punto è proprio questo. Il costo del prestito. Che finora era rimasto un’incognita. Ma ora non lo è più. Nei giorni scorsi l’Abi ha comunicato il tasso di interesse fisso (che sarà valido per un bimestre e poi riaggiornato periodicamente in base alle condizioni di mercato). È del 2,838% in fase di erogazione e del 2,938% sul periodo di ammortamento. A questi tassi, il taeg (ovvero il tasso complessivo che tiene conto anche degli oneri accessori) è tra il 5,89 e il 6,23% in funzione dalla durata dell’anticipo: maggiore per chi anticipa meno, inferiore per chi va in pensione utilizzando il periodo massimo.

Ma bisogna considerare che è prevista una detrazione fiscale che copre metà degli interessi, quindi il tasso netto scende all’1,47% e il taeg netto al 3,3%. L’Ape e la Rita erano stati introdotti in via sperimentale dal governo e sarebbero dovuti diventare operativi nel maggio del 2017, ma poi hanno avuto una serie di rinvii. E se l’Ape è stato prorogato al 2019, la Rita è invece stata resa strutturale dalla Legge di Stabilità 2018. E per entrambe le misure è arrivato il momento della partenza. In ottobre è stato emanato il decreto attuativo, e lo scorso gennaio sono stati firmati gli accordi quadro fra Abi, Ania e ministero dell’Economia e ministero del Lavoro. All’avvio definitivo mancano soltanto la firma dell’accordo Inps e i ministeri competenti sul fondo di Garanzia. Poi l’Inps potrà pubblicare la circolare operativa e rendere disponibile ai lavoratori il simulatore di calcolo che permetterà di fare i conti per capire se vale la pena anticipare l’uscita di qualche anno utilizzando la via dell’Ape.

Per calcolare il costo del prestito occorre tenere conto, oltre che dei tassi e della detrazione fiscale del 50%, anche del costo della polizza contro il rischio di premorienza, della commissione al fondo di Garanzia e della durata del finanziamento. Le regole per le presentazione delle domande di Ape sono fissate dal decreto di ottobre: come per l’Ape sociale (l’Anticipo pensionistico il cui costo è a carico dello Stato destinato a determinate categorie di lavoratori più svantaggiate) bisogna innanzitutto chiedere all’Inps il riconoscimento del diritto all’anticipo e solo dopo aver ottenuto il via libera si può presentare domanda vera e propria. Fino al 2017 l’Inps doveva certificare il possesso dei requisiti anche per la Rita, ma la legge di Stabilità sul 2018 ha tolto questo obbligo (è possibile fare un’autocertificazione). Ogni due mesi il tasso Abi sarà aggiornato e di conseguenza l’Inps adeguerà anche il simulatore che sta preparando. Nell’attesa che arrivi questo strumento, MF-Milano Finanza ha chiesto alla società di consulenza finanziaria indipendente Progetica una simulazione che permetta ai lavoratori di avere un’idea concreta, in euro, di quanto costa l’Ape rispetto alla semplice aliquota del tasso di interesse. Con alcune premesse. In base alle regole dell’Ape, se si chiede un periodo maggiore di tre anni di anticipo, l’Ape non potrà essere superiore al 75% dell’assegno della pensione Inps, se si richiede meno di un anno di anticipo si potrà chiedere fino al 90% dell’assegno futuro. Va anche ricordato che il finanziamento-ponte è esentasse e l’assicurazione in caso di premorienza libera gli eredi da oneri di rimborso.

«In attesa che l’Inps comunichi tutti i dettagli, per il finanziamento abbiamo usato il tasso Abi del 2,938%, mentre per la parte assicurativa al momento è stato considerato un 30% di premio unico», dice Andrea Carbone di Progetica.

Che ha realizzato le elaborazioni su tre profili: chi compie 63, 64 e 65 anni adesso. Per ciascuno è indicata la dinamica mensile dei redditi con e senza Ape nei vari momenti. Ad esempio, un lavoratore di 63 anni, con uno stipendio di 2 mila euro netti, che vuole uscire subito chiedendo il 75% della pensione (in anticipo di quattro anni e due mesi rispetto al requisito atteso di pensione di vecchiaia ovvero 67 anni e due mesi) nel periodo ponte vedrà dimezzarsi il reddito mensile fino a 1.040 euro, ovvero 960 euro in meno. E questo fino al compimento dei 67 anni e due mesi, poi inizia il periodo di restituzione del prestito (fissato dalla legge in 20 anni) e quindi la differenza tra pensione senza Ape (1.601 euro) e pensione al netto delle rate da restituire (1.088 euro) è di 513 euro. Alla fine del periodo del prestito, dopo 20 anni, la pensione con l’Ape si attesterà a 1.387 euro, 215 euro in meno rispetto a quella senza, perché l’anticipo ha fatto sì che il lavoratore accumulasse meno contributi e perché andando in pensione prima la speranza di vita è maggiore quindi la pensione è più bassa. E questi numeri, si ritrovano con dinamiche molto simili negli altri profili simulati. «La scelta di convenienza va valutata caso per caso, non solo in funzione dei flussi di reddito mensile attesi, ma anche e soprattutto dei piani di vita», conclude Carbone. (riproduzione riservata)
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