di Gabriele Capolino

Quando una storia come quella dell’integrazione tra la prima banca e la prima compagnia assicurativa del Paese si spegne, quasi per consunzione, occorre fare un bilancio e guardare al futuro. Dopo i periodi di presidenza di Alfonso Desiata e Antoine Bernheim, le Generali hanno perso le ultime chance di leadership globale. Con Desiata, le Generali erano arrivate a possedere il 40% di Axa , la stessa Axa che oggi era stata agitata come uno dei possibili scalatori di Generali . E lo stesso Desiata aveva quasi concluso l’ingresso dell’americana Aig nel capitale della compagnia, con un peso non inferiore a Mediobanca . Bernheim, a sua volta, aveva più volte reiterato che le Generali avessero bisogno di almeno 20 miliardi in più di capitale per competere per la leadership continentale; ma Mediobanca non aveva tutti questi soldi per sottoscrivere e al contempo non ha mai voluto invitare altri soci di pari importanza al desco. Da allora è iniziato un lento scivolamento della posizione della compagnia, accompagnato da una ricomposizione del suo consiglio con persone sempre più lontane dal business e più interessate alla sorte del proprio investimento. Poi la controversa gestione Giovanni Perissinotto, la nomina alla presidenza di Cesare Geronzi, che aveva suggerito un passaggio di testimone con Raffaele Agrusti, i contrasti nel cda sia sul ruolo del presidente sia su quello dell’amministrazione generale e del direttore finanziario. Il tutto sfociato con tre uscite a distanza di poco tempo, con la soluzione Mario Greco, che, va ricordato, arrivò nel 2012 alle Generali in un momento in cui la sua capitalizzazione di borsa era non lontana da quella di Allianz , che però aveva nell’azionariato gente con le spalle più larghe e in pochi anni ha ricapitalizzato pesantemente, tanto che oggi vale tre volte in più delle Generali .

In più, con il suo arrivo, sostengono i suoi detrattori, in poco più di tre anni di lavoro le Generali sono state de-Generalizzate: cancellati 200 anni di storia, messa in un angolo la scuola di management dell’azienda, indebolito lo spirito di squadra con l’arrivo di una serie di manager di prima fila indiani o danesi, che poco avevano a che fare con il dna dei Trieste. Il brusco saltacavallo di Greco nel 2016 ha poi portato al vertice Philippe Donnet, che sta operando per porre rimedio a tutto ciò. Ma l’uscita improvvisa di Alberto Minali, alla vigilia della preparazione del bilancio 2016, dalla direzione della compagnia ha finito per ricomplicare le cose. In Intesa tutto ciò non poteva passare inosservato, anche perché (vedere numero scorso di Milano Finanza), le porte girevoli dell’azionariato della banca e della compagnia hanno più volte funzionato in passato. Carlo Messina, Paolo Grandi e il top management hanno visto che poteva essere l’occasione per costituire un vero colosso italiano del settore bancassicurativo e del risparmio gestito, ma i modi e i tempi non sono stati dalla loro parte. Mediobanca , vistasi attaccata, nel dubbio ha reagito come si faceva ai tempi di Vincenzo Maranghi, con un blitz di acquisto di un bel 3% di Banca Intesa pagato con i soldi dei sottoscrittori di polizze Generali (e per fortuna il rendimento del dividendo Intesa è da beniamino delle riserve tecniche). Un cazzotto, che avrebbe imposto a Intesa un’operazione ostile, qualunque essa fosse, con il rischio di rovinare i prossimi bilanci del gruppo e i dividendi promessi agli azionisti. Alla fine ha prevalso il realismo. Anche perché i pretendenti internazionali di Generali nel giro di pochi giorni hanno escluso un loro interesse: a parole, Axa e Zurich (che ha Greco al timone, e quindi la conosce bene), con i fatti Allianz , che ha destinato 2,5 mld al riacquisto di azioni proprie. Venuto meno il pericolo di trovarsi un forte nemico in casa, anche a Intesa hanno fatto sapere che la cosa non interessava più.

Una reazione da Nondum matura est? Oppureil Leone dovrebbe preoccuparsi, se nel giro di un mese due concorrenti mondiali e la prima banca italiana hanno passato la mano? Quella delle Generali è stata una bellissima storia, l’unica vera multinazionale finanziaria italiana, multietnica e multiculturale in Europa, un incredibile ministero degli Esteri (si narrano storie di italiani in Cina, o persi nel mondo, che sono entrati negli uffici di Generali per chiedere quell’aiuto che altri stati offrivano con la propria rete di ambasciate). Riuscirà a tornare, da sola, a quei livelli? O, come si mormorava ai tempi di Greco, che a continuare così tra pochi anni le Generali sarebbero diventate quello che oggi è la Comit per un giovane: nessuno sa più cosa è stata. Sarebbe una grande perdita per il paese. (riproduzione riservata)
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