di Paola Valentini
I fondi comuni tornano a marciare a passo spedito, complice la ripresa dei mercati finanziari dell’ultimo periodo, tanto che sono proprio i prodotti azionari a evidenziare il rimbalzo maggiore. Il 2017 si è aperto con una raccolta netta positiva per l’industria italiana del risparmio gestito. A gennaio, in base ai dati Assogestioni, i flussi sono stati 4,6 miliardi di euro, trainati dai fondi comuni grazie a sottoscrizioni per 5,7 miliardi, in ripresa dagli 1,2 miliardi di dicembre, mentre la raccolta delle gestioni di portafoglio è risultata ancora negativa per 1,1 miliardi (dai -688 milioni dell’ultimo mese del 2016). Si tratta, per gli aperti, di un dato in netta ripresa dopo i 34 miliardi raccolti nel 2016, che ha archiviato un triennio, il 2013-2015 all’insegna del boom (95 miliardi nel 2015, 91 miliardi del 2014 e 46 miliardi del 2013). Tanto che a fine gennaio il patrimonio gestito dall’industria è risultato pari a 1.934 miliardi, vicino al massimo storico di 1.943 miliardi toccato a fine 2016.
Il 49% degli asset, 956 miliardi, è investito nei fondi, mentre il 51% del patrimonio, che corrisponde a 978 miliardi, è invece impiegato nelle gestioni di portafoglio. Entrando più nel dettaglio dei fondi aperti, a gennaio i prodotti più richiesti dai sottoscrittori sono stati gli obbligazionari (+2 miliardi), i bilanciati (+1,2 miliardi), i monetari (+1,1miliardi), gli azionari (+1,1 miliardi) e i flessibili (+332 milioni). In particolare il dato che balza più agli occhi è quello relativo agli azionari, reduci da una raccolta negativa per 1,6 miliardi nel 2016, di cui 661 nell’ultimo trimestre. Ma nel giro di un mese hanno invertito la tendenza e raccolto più di 1 miliardi. Un segnale positivo per l’industria che lo scorso anno invece ha visto protagonisti gli obbligazionari con 18,5 miliardi di flussi, seguiti dai fondi flessibili con 14,4 miliardi. Un passaggio di testimone confermato anche da Jp Morgan Asset Management, che con 3,2 miliardi risulta la prima società di gestione estera (senza una rete propria) per raccolta netta 2016 in fondi aperti, mentre considerando l’intero mercato dei fondi aperti al top c’è Eurizon Capital (Intesa Sanpaolo ) con 12,7 miliardi. Ebbene, se lo scorso anno i flussi di Jp Morgan Asset Management erano stati trainati soprattutto da fondi di tipo obbligazionario flessibile o multi-asset (fondi che danno carta bianca al gestore perché spazi tra le varie classi di strumenti finanziari), i 430 milioni raccolti nel gennaio 2017 da Jp Morgan AM hanno visto un certo ritorno sull’azionario Europa. Si tratta di un elemento importante in vista del lancio dei Pir, i nuovi Piani individuali di risparmio introdotti dalla legge di bilancio 2017 e in vigore dal primo gennaio di quest’anno) I Pir sono stati varati, nelle intenzioni del governo, per dare maggiori opportunità agli investitori e fare da ponte verso le aziende italiane, in particolare le pmi che sono l’ossatura del Paese e che oggi fanno fatica a ottenere credito dalle banche. E proprio sui Pir Assogestioni punta molto per la «loro capacità di incentivare il risparmio italiano oltre che per la veicolazione dello stesso verso le pmi italiane», ha detto Tommaso Corcos, ad di Eurizon Capital e presidente di Assogestioni nel corso di un convegno organizzato lo scorso 22 febbraio per fare il punto della situazione, avendo collaborato con il governo a creare i Pir.
L’associazione del risparmio gestito calcola che dai Pir potrà arrivare una raccolta di 16 miliardi, di cui 10 da risparmiatori privati e 6 da Casse e fondi pensione. E le previsioni di Assogestioni indicano che dei 10 miliardi di raccolta retail 7 miliardi possano andare su titoli italiani e di questi 2,1 miliardi alle pmi. «L’accesso al mercato dei capitali è la chiave per la modernizzazione dell’economia italiana, perché porta maggiori risorse e anche un miglioramento della governance», ha precisato Fabrizio Pagani, capo della Segreteria tecnica del Ministero dell’Economia che ha lavorato in prima persona sui Pir. In questi primi due mesi del 2017 sono già stati lanciati diversi prodotti, tra fondi e gestioni, a misura di Pir tanto che lo stesso Pagani nel convegno ha sottolineato che «la raccolta che ci aspettavamo, 2 miliardi l’anno, sarà superata». Ma non manca chi ha criticato i Pir, soprattutto per via della scarsa diversificazione e del basso potenziale in termini di rendimenti. Un’analisi di Assogestioni, presentata al convegno prova a confutare questa tesi. Lo studio è stato condotto confrontando le performance ottenute negli ultimi cinque anni da un portafoglio bilanciato costruito secondo le regole di investimento sui Pir ed esposto per l’80% sull’Italia (20% Ftse Mib, 20% Ftse Mid Cap e 40% obbligazionario Italia) con quelle di un portafoglio bilanciato globale. I risultati? Il Pir bilanciato ha ottenuto un rendimento cumulato del 60%, il secondo il 49% con una volatilità maggiore per quest’ultimo. In generale, il Pir è un contenitore (può assumere varie forme tra cui quella di fondo o anche di polizza) che come minimo per il 70% deve contenere strumenti finanziari (quindi azioni ma anche bond) emessi da imprese residenti in Italia o in Stati Ue ma aventi stabile organizzazione in Italia. E di questo 70%, almeno il 30%, quindi il 21% del totale, deve essere investito in imprese diverse da quelle incluse nell’indice Ftse Mib o equivalenti. A patto che lo strumento sia detenuto per almeno cinque anni il risparmiatore gode di un incentivo fiscale, che consiste, entro il limite di 30 mila euro all’anno e fino ad un massimo di 150 mila euro, nell’esenzione da tassazione dei redditi generati dall’investimento. I Pir quindi consentono di azzerare le imposte sui capital gain (26% o 12,5% sui titoli di Stato) e anche quelle di donazione e successione.

Va inoltre sottolineato che ciascun risparmiatore può essere titolare di un solo Pir. I quali, inoltre, e questo è un chiarimento normativo arrivato nel corso del convegno, possono essere sottoscritti da persone fisiche residenti fiscalmente nel territorio dello Stato senza limiti di età, quindi anche da minorenni. Inoltre, è possibile aprire un nuovo piano a seguito della chiusura di uno precedente, almeno nel rispetto del limite complessivo di 150 mila euro. Importanti indicazioni sono state fornite anche in merito agli investimenti che possono essere detenuti nel piano, con particolare riguardo alla presenza di una stabile organizzazione in Italia di un’impresa estera, da interpretarsi secondo l’accezione fiscale. Quindi si deve trattare di società che pagano le tasse in Italia. Date queste premesse, resta da capire come saranno accolti i Pir dai risparmiatori. Il risparmio gestito è in prima fila. A breve scenderanno in campo i big del settore, a partire dalla stessa Eurizon Capital che a inizio marzo presenterà i propri. Pur mostrando un vivo interesse, restano invece alla finestra per ora i big esteri, come anche il mondo assicurativo per il quale sorgono difficoltà per le polizze di ramo I che hanno dei vincoli molto stringenti, poco incompatibili con le caratteristiche dei Pir. Maggiori chance invece hanno le polizze unit linked, strumenti che hanno come sottostanti fondi o sicav. (riproduzione riservata)

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