Il mondo dei prodotti finanziari è stato al centro di una rivoluzione. Quest’anno è entrato in vigore un pacchetto di nuove regole comuni a tutti i Paesi dell’Ue per prevenire e gestire le crisi bancarie. Un insieme di regole pensato dopo la grave crisi finanziaria del 2008 che ha lo scopo di ridurre la probabilita che si verifichino gravi crisi bancarie e, nel caso si manifestino, attenuarne gli effetti impedendo che si diffondano da un Paese all’altro. L’obiettivo è anche evitare che gli Stati debbano intervenire per salvare banche in difficoltà. Ma con l’introduzione delle nuove regole cambia il ruolo del risparmiatore, che deve essere sempre più consapevole degli strumenti che sceglie e dell’istituto cui si rivolge. Infatti con le nuove regole e in particolare con il Bail-in (si vedano articoli alle pgg. 6 e 7), anche strumenti finora considerati privi di rischio, come conti di deposito o bond bancari senior, cambiano il profilo di rischio. Se finora solo chi investiva in azioni accettava di condividere i rischi legati alla gestione, ora anche chi compra un’obbligazione bancaria può essere chiamato a partecipare al salvataggio dell’istituto in caso di crisi. Scegliere con chi e dove investire diventa più difficile che in passato. E qui tornano in gioco norme e regolamenti pensati negli anni per tutelare il risparmiatore.

N PRIMO STEP, LA MIFID

A partire dalla direttiva Mifid, nata per creare un sistema che permettesse il collocamento di prodotti finanziari adatti al profilo di rischio del sottoscrittore. La normativa prevede un trattamento diverso tra l’attività di raccolta ordini e quella più sofisticata di gestione o di consulenza. Nel primo caso il cliente deve firmare una nota detta di appropriatezza, che lo informa dei rischi. Mentre in tema di gestione e di consulenza, due attività più complesse, l’intermediario è obbligato a fare operazioni adeguate al profilo di rischio del cliente, altrimenti non può procedere. In questo secondo caso entra infatti in gioco il tema dell’adeguatezza dell’investimento. In particolare al cliente viene proposto un questionario che riguarda gli obiettivi dell’investimento, ossia domande riguardo al periodo temporale in cui si intende conservare l’investimento, la propensione al rischio, se si investe per il rendimento o la crescita, se si vuole preservare il capitale ed evitare qualsiasi rischio o ancora se accetti un livello di rischio elevato. L’acquisizione delle informazioni sulla situazione finanziaria può avvenire attraverso domande riguardanti aspetti quali la fonte e la consistenza del reddito, il patrimonio, proprietà immobiliari, qualsiasi debito o altro impegno finanziario contratto dal cliente. Mentre le domande relative alla conoscenza e all’esperienza possono includere i tipi di servizi e prodotti con cui ha dimestichezza, la natura, il volume e la frequenza delle operazioni effettuate in passato, nonché il livello di istruzione e l’occupazione attuale o precedente. (si veda questionario alle pagg. 12, 13, 14 e 15)

Con la raccolta ordini, quindi, quando il risparmiatore non riceve consigli d’investimento dall’operatore, si applica un diverso sistema di protezione detto test di appropriatezza, che intende proteggere chi potrebbe non capire o non essere consapevole delle implicazioni e del rischio associati a un’operazione, in particolare su prodotti complessi. In questo test sono poste domande sulla cultura in materia di investimenti. Se l’intermediario ritiene che il cliente abbia la conoscenza ed esperienza necessarie a comprendere i rischi associati, allora può procedere con l’operazione. Altrimenti l’intermediario dà un’avvertenza in cui dichiara che non ritiene appropriata l’operazione proposta o che le informazioni non bastano a determinarne l’appropriatezza. In tal modo chi investe con il fai-da-te di fatto ha più libertà di azione e meno filtri rispetto a chi si affida a una gestione patrimoniale o al risparmio gestito.

Certo, la Direttiva con cui si intendeva creare regole comuni per i prodotti finanziari in ambito Ue e anche aumentare la tutela degli investitori non poteva partire in un momento peggiore per i mercati finanziari, colpiti nel 2008 da una delle peggiori crisi mai viste. Salutata come una vera e propria rivoluzione che avrebbe finalmente tutelato il risparmio, alla prova dei fatti la direttiva Mifid ha rivelato dei limiti perché proprio l’investimento diretto in singoli titoli, che richiedeva solo il test dell’appropriatezza, si è rivelato quello più insidioso per i risparmiatori durante l’ultima crisi finanziaria. Si è riaperto quindi il tema di come tutelare l’investitore, soprattutto trasmettendogli tutte le informazioni necessarie a valutare le proprie scelte di investimento, ma anche di come regolamentare il ruolo dei vari attori presenti sul mercati.

N DOPO LA CRISI, LA MIFID 2

Da qui il nuovo passo rappresentato dalla Mifid 2, nata negli anni successivi alla crisi per impedire che la stessa si ripeta. La nuova Direttiva entrerà in vigore dal gennaio 2018. Nei giorni scorsi la Commissione Ue ha infatti comunicato che l’entrata in vigore è stata spostata di un anno (era prevista per 1’1 gennaio 2017) «per prendere in considerazione le eccezionali difficoltà di applicazione delle regole cui devono far fronte regolatori e partecipanti al mercato». L’ufficio studi dell’Anasf sottolinea che «La Mifid 2 condivide lo scopo originario della direttiva del 2004 e ne conferma le scelte di fondo. L’obiettivo è infatti lo sviluppo di un mercato unico dei servizi finanziari in Europa, nel quale siano assicurate trasparenza e protezione degli investitori. I risparmiatori hanno pertanto la possibilità di investire e le imprese di investimento la facoltà di prestare servizi di investimento a livello transfrontaliero, in modo più semplice e a condizioni identiche in tutti gli Stati dell’Unione. Come già nella direttiva del 2004, sono previste varie disposizioni che, in quanto ispirate al dovere di agire nel miglior interesse del cliente, garantiscono una corretta informazione per gli investitori, si occupano dei potenziali conflitti di interesse tra le parti e richiedono l’adeguata profilatura del risparmiatore».

Inoltre la nuova Direttiva introduce il nuovo concetto di consulenza indipendente. Le imprese di investimento saranno pertanto chiamate a specificare ai clienti se la consulenza è prestata su base indipendente e se è basata su un’analisi del mercato ampia o più ristretta delle varie tipologie di strumenti finanziari. L’intermediario dovrà fornire inoltre ai clienti la valutazione periodica dell’adeguatezza degli strumenti finanziari raccomandati. Torna poi forte il tema dell’adeguatezza introdotto dalla prima Direttiva, e rispetto alla prima versione della Direttiva, la Mifid 2 richiede di porre un’attenzione specifica agli elementi legati alla tolleranza al rischio e alla capacità dell’investitore di sostenere eventuali perdite. Non mancano poi nuove regole che disciplinano il rapporto produttori-distributori. I primi sono chiamati ad applicare un processo di approvazione per ogni strumento finanziario prima della commercializzazione o distribuzione ai clienti. Dal canto loro, i distributori sono tenuti ad applicare strategie distributive appropriate rispetto alle caratteristiche della clientela a cui si rivolgono. E devono essere chiari al cliente i costi sostenuti per la costruzione del prodotto e per la consulenza ricevuta. In particolare è previsto il divieto all’intermediario che svolge consulenza indipendente di accettare retrocessioni da chi fabbrica il prodotto, e forse questo porterà alla revisione dei modelli commissionali nel risparmio gestito e la consulenza finanziaria. Un capitolo poi è dedicato ai prodotti cosiddetti complessi.

N LA CONSOB ANTICIPA I TEMPI

Proprio su questo tema la Consob ha anticipato i tempi e da luglio 2015 è attiva la comunicazione dell’autorità di vigilanza italiana sul collocamento di prodotti finanziari complessi ai piccoli risparmiatori, con indicazioni che anticipano in parte la Mifid 2. L’authority guidata da Giuseppe Vegas raccomanda agli operatori di astenersi dall’offrire e collocare al retail alcuni strumenti finanziari molto complessi, spesso opachi e poco comprensibili ai piccoli risparmiatori. Se gli intermediari si discostano da tali indicazioni, occorre una scelta consapevole del cda o dal consiglio di gestione. In tal caso gli intermediari sono invitati ad adottare una serie di precauzioni in fase di collocamento, tra cui limiti dimensionali e operativi all’investimento. Le scelte vanno comunicate a Consob entro un mese. Inoltre la distribuzione di tali prodotti non può essere presupposto per l’erogazione di incentivi al personale.

Tra i prodotti complessi di cui viene sconsigliata la vendita ai privati figurano: i titoli derivanti da cartolarizzazioni di crediti o altre attività; gli strumenti per i quali, al verificarsi di date condizioni o su iniziativa dell’emittente, sia prevista la conversione in azioni o la decurtazione del valore nominale (come le contingent convertible notes e i bond subordinati ibridi qualificabili come Additional Tier 1); titoli «credit linked», esposti al rischio di credito di soggetti terzi; quote di fondi di investimento alternativi (come i fondi di private equity, private debt, infrastrutturali, immobiliari, hedge). La lista non va intesa come esaustiva, ma esemplificativa: è a cura di ciascun intermediario individuare strumenti con livelli di complessità analoghi o superiori, anche tenuto conto del processo di innovazione finanziaria. A tal fine Consob consiglia di considerare la presenza di elementi opzionali (relativi a uno o più fattori di rischio), condizioni e/o meccanismi di amplificazione dell’andamento del sottostante (effetto leva) nella determinazione del pay-off del prodotto finanziario; la limitata visibilità del sottostante (indici proprietari, portafogli di crediti cartolarizzati, asset non trattati su mercati trasparenti) con conseguente difficoltà di valorizzazione dello strumento; l’illiquidità (uno strumento non trattato su alcuna borsa) o difficoltà di uscita dall’investimento (per esempio, per assenza di controparti di mercato, alti costi di smobilizzo e/o barriere all’uscita).

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