di Ester Corvi

In Gran Bretagna la campagna elettorale in vista del referendum del 23 giugno è entrata nel vivo, con il sindaco di Londra Boris Johnson che sfida il premier David Cameron, candidandosi alla leadership del partito e schierandosi per la Brexit. Il clima di forte incertezza si riflette sulla sterlina che ieri, per la prima volta da sette anni, è scesa sotto quota 1,40 sul dollaro.

Ecco, secondo gli analisti di Société Générale, quali potrebbero essere le principali conseguenze di un’eventuale uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea.

1) L’impatto sul pil Uk. L’effetto più evidente della Brexit sarebbe sugli scambi di beni e servizi. Da questo punto di vista i comparti più esposti sono l’immobiliare e l’intermediazione finanziaria, dato il primato europeo della City londinese. In generale le esportazioni rappresentano il 30% del pil Uk. L’uscita dall’Unione europea produrrebbe, secondo le stime, un danno quantificabile in termine di riduzione della crescita del pil fra lo 0,5 e l’1% annuo per dieci anni. Anche il budget deficit è destinato a peggiorare, a causa del rallentamento economico.

2) L’effetto sull’economia Ue. Nel tentativo di quantificare le implicazioni della Brexit sull’economia europea, gli esperti si dividono fra stime molto negative e altre decisamente più positive. Gli analisti della banca francese propendono per la prima tesi. A loro avviso, la Brexit potrà potenzialmente produrre un danno quantificabile, in termine di riduzione della crescita del pil della Ue, compreso fra lo 0,1 e lo 0,25% annuo per dieci anni. In sintesi avrebbe un impatto decisamente più forte di un hard landing (atterraggio forte) della Cina, visto che le esportazioni dell’area euro, in percentuale del pil 2014, sono destinate per il 2,5% verso il Regno Unito, contro l’1,3% della Cina.

3) I Paesi più coinvolti. L’impatto della Brexit non sarebbe uguale per tutti i Paesi, a causa della loro diversa esposizione verso i settori finanziario, automotive e chimico. I più colpiti sarebbero l’Irlanda, l’Olanda, il Belgio e il Lussemburgo. In particolare l’effetto di una riduzione dell’1% di crescita del pil Uk avrebbe un effetto negativo dell’1% sul pil irlandese, dello 0,6% sul Belgio, dello 0,3% sull’Olanda e del 2,9% sul Lussemburgo, rispetto allo 0,2% dell’Italia. I Paesi dell’Est Europa sono invece i più esposti in termini di minori esportazioni di prodotti.

4) La riallocazione delle attività. In seguito alla Brexit alcune attività sarebbero trasferite dal Regno Unito all’area euro. In particolare quelle che fanno capo al settore finanziario, con un conseguente ridimensionamento della City di Londra, dove operano 250 banche di livello mondiale, e il farmaceutico. Fra i big della finanza, le americane Citigroup e Morgan Stanley hanno già indicato in Dublino un’alternativa a Londra in caso di Brexit, mentre Hsbc si è detta pronta a spostare mille banchieri a Parigi. Nel farmaceutico l’European Medicines Agency ha sede a Londra, ma sarebbe probabilmente spostata in un’altra capitale europea, visto che gestisce le autorizzazioni per i farmaci nella Ue. Lo stesso avverrà per i centri di R&S dei big del pharma, poiché la ricerca è largamente finanziata dai fondi Ue. Senza contare la fusione tra Lse e Deutsche Boerse avviata martedì scorso.

5) Il contributo al budget Ue. Il Regno Unito è il quarto Paese che contribuisce al budget Ue, visto che ha versato 11,3 miliardi di euro, anche se è lontano dalla Germania (25,8 miliardi) e dalla Francia (19,6 miliardi). Tenendo conto delle spese, il contributo netto è però più modesto: 4,9 miliardi di euro nel 2014 (decimo posto in classica) e 6,4 miliardi in media negli ultimi cinque anni. (riproduzione riservata)

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