Ma per l’invio delle istanze serve la ratifica dell’intesa
 di Valerio Stroppa 

 

Lo scambio di informazioni su richiesta tra Italia e Svizzera parte dal 23 febbraio 2015. Le prime istanze di collaborazione potranno però varcare le Alpi solo dopo l’entrata in vigore della legge di ratifica da parte dei rispettivi parlamenti. Lo scambio automatico di dati finanziari ai fini fiscali, invece, debutterà entro settembre 2018, con riferimento all’anno 2017. Per chi accede alla voluntary disclosure, in ogni caso, l’effetto è immediato: gli accertamenti possono retrocedere fino al 2010 (2009 in caso di omessa dichiarazione), cioè senza il raddoppio dei termini previsto dal dl n. 78/2009, mentre le sanzioni sul monitoraggio fiscale si applicheranno su cinque anni (2009-2013), non più su dieci, e in misura più leggera. Lo prevede il protocollo firmato ieri in prefettura a Milano tra il ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, e il consigliere federale per le finanze elvetico, Eveline Widmer-Schlumpf.

L’accordo si compone di due documenti. Il primo è di tipo giuridico e modifica la convenzione tra Italia e Svizzera contro le doppie imposizioni del 1976. Il testo, che introduce lo scambio su richiesta delle informazioni «verosimilmente rilevanti» secondo l’articolo 26 del modello Ocse, dovrà ora essere ratificato dai due parlamenti. Le autorità fiscali italiane potranno richiedere ai «colleghi» elvetici informazioni, comprese richieste di gruppo, su fatti avvenuti a partire da ieri. Restano vietate le «fishing expedition», cioè le richieste di nominativi non circostanziate: le domande dovranno riguardare soggetti ben determinati, per un preciso arco temporale e indicando le finalità delle informazioni. La tax authority svizzera dovrà fare tutto quanto consentito dalla propria legge domestica per recuperare i dati e trasmetterli all’Italia (che, se interpellata, dovrà fare altrettanto), senza che nessun intermediario finanziario possa opporre vincoli di riservatezza.

Il secondo documento ha invece natura politica e contiene una roadmap che fissa il percorso per la prosecuzione dei negoziati tra i due paesi su altre questioni fiscali, incluse la tassazione dei residenti nell’exclave di Campione d’Italia e quella dei lavoratori frontalieri. Per questi ultimi sarà introdotto il principio di reciprocità (oggi le norme speciali valgono solo per quelli italiani). I lavoratori saranno assoggettati a imposizione in entrambi gli stati: quello del luogo di lavoro tratterrà fino al 70% dell’imposta normalmente prelevabile alla fonte (contro il 60% attuale), mentre il paese di residenza applicherà l’Irpef residuale, detraendo quanto già pagato all’estero.

«L’accordo è frutto di un lavoro lungo e complesso, ma alla fine concluso con pieno successo», commenta il ministro dell’economia Padoan, «prima del 2008 un risultato del genere era inimmaginabile. Almeno in questo la crisi finanziaria si è rivelata utile, perché ha messo in moto uno sforzo globale di trasparenza da cui non si potrà tornare indietro». Il titolare di via XX Settembre ha ribadito l’importanza che l’intesa riveste in chiave voluntary disclosure, senza tuttavia sbilanciarsi sul gettito atteso. «Non bisogna ragionare solo su quanto incasseremo, che sarà comunque più dell’euro che abbiamo iscritto in bilancio», afferma Padoan con una battuta, «i benefici sono a lungo termine. L’accordo con la Svizzera introduce un nuovo terreno di trasparenza condiviso a livello internazionale. È vero che esistono ancora paradisi fiscali, ma le autorità di quelle giurisdizioni faranno sempre più fatica a mostrarsi come una soluzione conveniente, quando tutto il mondo va nella direzione della collaborazione».

La firma di ieri manda in soffitta gli accertamenti sul periodo 2005-2009 a carico dei contribuenti con capitali illeciti in Svizzera, come pure le sanzioni da quadro RW per cinque anni. Il costo di questa rinuncia «non è stato calcolato in termini economici, ma riteniamo che la possibilità di verifica derivanti dallo scambio di informazioni valgano infinitamente di più», sottolinea Vieri Ceriani, consigliere del Mef che ha guidato le trattative per l’Italia.

L’intesa non affronta il tema del libero accesso al mercato italiano da parte delle banche svizzere, che sarà rimandato ai successivi negoziati. Soddisfatta anche Widmer-Schlumpf, secondo cui il rischio che l’accordo fiscale generi una fuga di capitali dai caveau elvetici verso altri paesi offshore è contenuto. «Uno scenario simile non è interesse né dell’Italia né della Svizzera», spiega la responsabile delle finanze elvetiche, «le nostre banche incoraggeranno i propri clienti ad aderire alla voluntary disclosure e a rispettare la legge».

Dopodomani un analogo accordo sarà firmato tra Italia e Liechtenstein. La Svizzera, che già aveva sottoscritto un’intesa simile con l’Austria, fa sapere che con la Germania sono in corso trattative avanzate, mentre con la Francia c’è ancora molto lavoro da fare.

I contribuenti che alla data di ieri avevano capitali non dichiarati in Svizzera, quindi, non hanno più alternative alla regolarizzazione volontaria prevista dalla legge n. 186/2014. Qualsiasi manovra volta a chiudere conti o a spostare le disponibilità finanziarie altrove resterebbe tracciata (e conoscibile al fisco italiano). Subito dopo la firma del protocollo, Matteo Renzi non ha tardato a manifestare la sua soddisfazione. «Oggi siglato l’accordo con la Svizzera sul segreto bancario: miliardi di euro che ritornano allo Stato» è stato il tweet del presidente del consiglio.

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