di Silvia Chinellato, Giulio Meringolo, Francesca Riso, Antonio Voria, Renata Carrieri 

Un nuovo capitolo sulla legittimità della normativa in materia di mediazione civile è stato scritto dal Tar Lazio con la sentenza depositata il 23 gennaio 2015 (n° 01351/2015), proposto dall’Unione nazionale delle camere civili.

Nella sentenza la mediazione come condizione di procedibilità e con l’attuale assetto normativo è quasi del tutto salva: le questioni di legittimità costituzionale spiegate dalla ricorrente sono state dichiarate in parte improcedibili e, per il restante, respinte.

La mediazione cosiddetta obbligatoria ha superato, quindi, il vaglio delle censure di incostituzionalità.

Vengono eliminati i dubbi sulla legittimità costituzionale dell’istituto: la condizione di procedibilità è, pertanto, conforme alla Costituzione.

Fa discutere, invece, a parere della scrivente Commissione di studio «Mediazione, Arbitrato e Riforma della giustizia» dell’Ungdcec, la seconda parte della sentenza in commento.

Il Tar Lazio accoglie, infatti, due importanti profili riguardanti la formazione e il tirocinio degli avvocati – mediatori di diritto- e la corresponsione agli Organismi di mediazione delle spese di avvio di procedura.

È su questi aspetti che i Giovani commercialisti intendono muovere delle obiezioni.

Per il Giudice le disposizioni dell’art. 16 commi 2 e 9 del dm 180/2010 sono illegittime perché «_entrambe le disposizioni regolamentari si pongono in contrasto con la gratuità del primo incontro del procedimento di conciliazione, previsto dalla legge laddove le parti non dichiarino la loro disponibilità ad aderire al tentativo».

La decisione non convince, a partire dalla motivazione che appare molto sintetica e formale per un punto di fondamentale importanza della normativa.

La dichiarata illegittimità appare un’interpretazione puramente letterale dell’articolo 17 comma 5 ter del dlgs 28/2010, secondo il quale «Nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione». Tutto questo senza tener conto della circolare del 27 novembre 2013 del ministero della giustizia, dove si distingue fra le «spese di avvio» (40 euro o 80 euro per le liti di valore superiore a 250 mila euro) e le «spese di mediazione», dovute, secondo il rispettivo scaglione, solo in caso di superamento del primo incontro. Le «spese di avvio» della procedura, nell’interpretazione del ministero della giustizia, non costituiscono il compenso della mediazione, ma soltanto la determinazione, in modo forfetario, delle spese sostenute dall’Organismo per la gestione dell’avvio della procedura, distinguendosi dalle «spese di mediazione» che costituiscono, invece, il compenso dell’Organismo per la procedura di mediazione.

Appare evidente che il «nessun compenso» della norma si riferisca all’ indennità «vera e propria» di mediazione, non a ciò che compensa solo le spese di avvio della procedura. È irrazionale pensare che queste debbano ricadere a fondo perduto su un soggetto, un Organismo privato, che non ha alcun obbligo giuridico di solidarietà sociale.

Il Tar Lazio annulla l’intero art. 16 comma 2 («per le spese di avvio, a valere sull’indennità complessiva, è dovuto da ciascuna parte per lo svolgimento del primo incontro un importo di euro 40,00 per le liti di valore fino a 250.000,00 euro e di euro 80,00 per quelle di valore superiore, oltre alle spese vive documentate; che è versato dall’istante al momento del deposito della domanda di mediazione e dalla parte chiamata alla mediazione al momento della sua adesione al procedimento. L’importo è dovuto anche in caso di mancato accordo»), senza fare alcuna distinzione. Nel comma 2, però, erano contemplate anche le spese vive documentate. Per queste appare evidente che il disposto normativo fosse perfettamente in linea con il principio generale secondo il quale il mandatario (in questo caso l’organismo di mediazione) ha sempre diritto al rimborso delle spese fatte nell’interesse del mandante (la parte istante). Alla luce di quanto esposto, non può essere considerato illegittimo il rimborso delle spese documentate dato che la legge non può trasferire in capo all’organismo di mediazione dei costi sostenuti nell’interesse delle parti.

A guardar bene, poi, la sentenza non tiene conto che il comma 9 del succitato articolo 16 (dichiarato illegittimo) non si riferisce al primo incontro così come introdotto dal «Decreto del Fare» (l’incontro «preliminare» in cui le parti decidono se procedere o meno con il tentativo di mediazione) ma riguarda l’incontro di mediazione vero e proprio, dopo che le parti hanno deciso di procedere nel tentativo di conciliazione. Pertanto «Le spese di mediazione sono corrisposte prima dell’inizio dell’incontro di mediazione in misura non inferiore alla metà» dovrebbe essere inteso con riferimento all’indennità, alle «spese di mediazione», da versarsi soltanto nell’ipotesi in cui i soggetti, superato il primo incontro, decidano di procedere con il tentativo di mediazione.

A questa Commissione appare, poi, evidente come siano rilevabili nella gratuità della mediazione dei profili di incostituzionalità per violazione dell’articolo 36 della Costituzione: «Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa». E a maggior ragione la Costituzione Italiana non può ammettere che a un ente privato, l’Organismo di mediazione, sia negata, oltre che la possibilità di un compenso, anche la compensazione, il rimborso delle spese sostenute per l’attività svolta in favore delle parti del procedimento.

Leggere la sentenza in un’ottica di dichiarata gratuità assoluta della prestazione professionale, e con pretesa di accollo delle spese anche vive all’organismo è, a parere degli scriventi, non solo anticostituzionale, ma illogico. Il servizio erogato da mediatori e organismi deve essere qualitativamente elevato e la qualità, come in accade in tutti gli ambiti, presuppone sempre un costo da sopportare.

Probabilmente è proprio il mediatore colui che è senza alcuna tutela e rappresentanza e che dovrà prestare la sua attività professionale durante il primo incontro di mediazione senza che gli venga riconosciuto alcun compenso per il lavoro svolto. Tutto questo anche a scapito della qualità del servizio di mediazione, con notevoli ripercussioni sul ruolo sociale e deflattivo del contenzioso che si è voluto dare all’istituto della mediazione civile.

Annullando l’intero comma 9 dell’articolo 16, viene eliminata anche l’ultima parte che dice «In ogni caso, nelle ipotesi di cui all’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo, l’organismo e il mediatore non possono rifiutarsi di svolgere la mediazione», significa questo che ora, venuta meno la previsione legislativa, Organismi di mediazione e mediatori potrebbero rifiutarsi di svolgere l’attività prevista?

Viene, poi, eliminato l’articolo 4, comma 3, lettera b) del dm 180/2010 che prevedeva «_il possesso, da parte dei mediatori, di una specifica formazione e di uno specifico aggiornamento almeno biennale, acquisiti presso gli enti di formazione in base all’articolo 18, nonché la partecipazione, da parte dei mediatori, nel biennio di aggiornamento e in forma di tirocinio assistito, ad almeno venti casi di mediazione svolti presso organismi iscritti» perché, secondo il Tar Lazio, la disposizione è «palesemente in contrasto con le nuove disposizioni, nella misura in cui è suscettibile di essere applicata in via generale, ovvero anche nei confronti degli avvocati iscritti all’albo, che la legge dichiara mediatori di diritto e la cui formazione in materia di mediazione viene regolata con precipue disposizioni». È un profilo, questo, che ci pare superato, dal momento che il Consiglio nazionale forense per la formazione e l’aggiornamento degli avvocati mediatori di diritto, ha stabilito già da tempo dei percorsi alternativi e differenziati, nel rispetto del codice deontologico forense, come già previsto dal dlgs 28/2010 all’articolo 16 comma 4 bis.

Rimane, a parere degli scriventi, l’effettivo vuoto sulla formazione ma, pur auspicando un immediato intervento sul tema, la mediazione esiste e rimane così come è stata delineata dal legislatore, con tutte le sue luci e ombre, e con tutti i suoi vantaggi.

Da sempre l’Unione nazionale giovani dottori commercialisti ed esperti contabili ha sostenuto l’Istituto della mediazione. Siamo sempre più convinti che essa rappresenti un momento di grande evoluzione per tutta la società. Da tempo ribadiamo l’importanza della qualità nella mediazione perché la «vera» mediazione contribuisce a creare una giustizia più umana e accessibile, una Giustizia Alta. E perché tutto ciò sia possibile, perché si sviluppi la «vera» mediazione, perché i professionisti possano essere adeguatamente formati, è necessario che l’attività dell’Organismo e del mediatore siano adeguatamente retribuite, anche per riconoscerne il valore.

Tutti questi paletti, l’eccessiva «proceduralizzazione» della mediazione non fanno altro che rendere più difficoltoso il lavoro degli Organismi e dei mediatori, rendendo più difficili da raggiungere anche gli obiettivi di deflazione del contenzioso che si sono voluti attribuire all’istituto. Non possiamo e non vogliamo accettarlo.

Per questi motivi, l’Unione nazionale giovani dottori commercialisti ed esperti contabili è disponibile e pronta a qualsiasi confronto con gli operatori istituzionali che vorranno approfondire il problema.

Nel frattempo, convinta che la mediazione sia un importante strumento per cambiare in meglio la società e, quantomeno, il sistema della giustizia civile, continuerà la sua opera di divulgazione della filosofia che sta alla base dell’istituto, cercando di sensibilizzare e formare la collettività a questa idea di Giustizia Alta.