Con la raccolta di gennaio i fondi aperti hanno superato quota 700 miliardi di asset in gestione. Ma meritano la fiducia dei risparmiatori? Ecco cosa rivela il confronto tra performance e flussi

di Roberta Castellarin e Paola Valentini  

Il risparmio gestito va a gonfie vele. A gennaio i fondi aperti hanno raggiunto un record di masse di 703 miliardi di euro, merito di un trend di raccolta positiva che non rallenta dopo i numeri brillanti del 2014. Ma a essere premiati sono i migliori gestori? Per scoprirlo MF-Milano Finanza ha messo a confronto la performance media per società e la raccolta realizzata in modo da verificare se i flussi vanno verso i campioni di performance.

Il mercato italiano è stato negli ultimi anni molto aperto nei confronti degli operatori esteri che sono arrivati in massa, ma ha ancora una raccolta spesso condizionata da pochi grandi fondi di moda che attirano ingenti flussi e determinano buona parte della raccolta. In molti casi l’effetto traino è determinato dai nuovi lanci che diventano in breve termine dei best seller perché spinti dalle reti di vendita. Dopo il grande successo di alcuni fondi obbligazionari è stata la volta dei fondi flessibili, che anche a gennaio hanno guidato i flussi con 3,4 miliardi di sottoscrizioni nette. Mentre nonostante il rally delle borse che dura da sei anni i fondi azionari fanno fatica a trovare posto nei portafogli degli investitori italiani.

Non a caso proprio grazie al lancio di un nuovo fondo flessibile, Invesco è stato il primo gestore estero del 2014 per raccolta netta con 5,7 miliardi, raggiungendo un patrimonio di 16 miliardi. Lo scorso anno Invesco si è piazzata davanti a Deutsche Asset and Wealth Management (5,4 miliardi) e JP Morgan AM (3,9 miliardi). E anche a gennaio il gruppo conferma il proprio trend positivo, con una raccolta di 480,5 milioni, in crescita del 9% rispetto a dicembre. Quest’anno, come nel 2014, a trainare la raccolta della società continua a essere il fondo flessibile Multi Asset Invesco Global Targeted Returns fund, lanciato a dicembre 2013. In effetti questo fondo ha dato soddisfazioni agli investitori. Il suo rendimento nel 2014 è stato dell’8,2%, un punto e mezzo percentuale in più rispetto alla media di categoria e quest’anno ha registrato già un rendimento del +4,2%.

Ma ci sono altri casi in cui a una raccolta brillante non corrispondono performance altrettanto buone. La tabella qui accanto mette a confronto i flussi netti ottenuti dalle sgr in Italia lo scorso anno con il rendimento medio dei loro fondi elaborato da Morningstar Direct. Un punto di partenza per orientarsi in un’offerta che diventa sempre più ampia e continua ad attirare sempre più masse.

In base ai dati di Assogestioni l’industria del risparmio gestito nel primo mese del 2015 ha registrato flussi netti per 9,1 miliardi di euro. Gli asset gestiti dai fondi aperti hanno raggiunto la quota record dei 700 miliardi di euro. L’intero settore dell’asset management italiano ha masse per 1.623 miliardi di euro. In particolare a gennaio la raccolta dei fondi aperti si è attestata a 6,4 miliardi di euro. Si tratta peraltro di un numero che non tiene conto di alcuni big esteri che non danno ad Assogestioni dati di raccolta e di patrimonio, ma la cui presenza in Italia è molto importante. Per esempio è il caso di BlackRock, Carmignac e di Swiss & Global.

Nomi che si ritrovano nella classifica stilata da Morningstar sui singoli fondi campioni di raccolta in Europa. Per esempio il fondo di BlackRock Bgf global allocation fund ha registrato flussi netti per 3 miliardi di euro l’anno scorso. Mentre in termini di asset gestiti il campione in Europa risulta M&G Optimal income con 31,4 miliardi in gestione e una raccolta netta 2014 di 8,9 miliardi.

Intanto con questi numeri da record l’industria si prepara alla sesta edizione del Salone del Risparmio, che avrà luogo a Milano, dal 25 al 27 marzo. Il titolo dell’edizione di quest’anno è «Il Nuovo Risparmio» e durante i tre giorni i big money si confronteranno sull’evoluzione economico-finanziaria, che ha inciso sul cambiamento delle abitudini di risparmio degli italiani e sul lavoro dei professionisti del settore, sempre di più chiamati a costruire nuovi strumenti e soluzioni d’investimento per rafforzare il binomio finanza e sviluppo.

D’altronde il ruolo che può avere il mondo del risparmio gestito nel rilancio dell’economia italiana è importante. L’Italia e l’Europa infatti trarrebbero beneficio da una transizione verso un modello di mercato meno bancocentrico e più aperto al capitale di rischio. Uno studio condotto dall’Association for Financial Markets in Europe (Afme) e Boston Consulting Group dimostra come la crescita in Europa sia fortemente frenata da una carenza di capitale di rischio e mercati finanziari non adeguatamente sviluppati. Secondo la ricerca, rispetto agli Stati Uniti, il vero problema dell’Europa è la natura frammentata dei mercati e la mancanza di equity.

Tra le ipotesi emerse per migliorare questo gap c’è proprio quella di facilitare gli investimenti privati in progetti infrastrutturali a lungo termine. Lo studio sottolinea che, nonostante il pil dell’Europa e degli Stati Uniti sia simile e si attesti attorno ai 17 trillioni di dollari, lo spessore delle borse sia molto diverso. Se negli Stati Uniti la capitalizzazione delle società quotate si attesta intorno ai 19 trillioni di dollari in Europa si ferma a 10 trillioni. Non solo. Il finanziamento delle imprese di medie dimensioni è ancora troppo banco centrico in Europa rispetto agli Stati Uniti dove le aziende si finanziano direttamente sui mercati dei capitali. Nel 2013 i fondi di private equity e venture capital hanno investito 488 miliardi negli Stati Uniti e soltanto 245 miliardi in Europa.

Resta poi il tema della composizione dei portafogli dei grandi investitori istituzionali. Negli Stati Uniti le azioni rappresentano il 53% degli investimenti dei fondi pensione, mentre in Europa questo dato scende al 37%. Simon Lewis, chief executive di Afme, ha commentato: «I mercati ancora troppo poco sviluppati limitano le potenzialità di crescita in Europa, ma ancora più cruciale è la mancanza di capitale di rischio. Questo è un problema soprattutto per le piccole e medie imprese che faticano a fare nuovi investimenti». Ha aggiunto Philippe Morel, global leader of Capital Market a Boston consulting group: «La frammentazione in Europa è un ostacolo alla crescita perché avere rapporti con 28 Stati è diverso rispetto ad operare negli Stati Uniti dove il quadro regolamentare è unico. Inoltre c’è un minor appetito per il rischio in Europa e così non è facile per le pmi europee trovare forme alternative per finanziarsi rispetto ai prestiti bancari. (riproduzione riservata)