di Ugo Loser*

L’industria del risparmio sta vivendo un momento straordinario in Italia. Il risparmio gestito ha fatto segnare performance estremamente significative negli ultimi anni: le masse hanno superato i 1.500 miliardi e il fatturato dell’industria si aggira intorno ai 25 miliardi di euro.

Il settore rappresenta dunque un asset strategico per il Paese e potrebbe contribuire al suo rilancio. Si tratta di un’opportunità di crescita che il Paese rischia, però, di sprecare. E per evitare questo pericolo, dovrebbero cambiare parecchie cose.

Andando più nello specifico, affinché il risparmio nazionale possa davvero contribuire al finanziamento dell’economia e quindi alla crescita del pil, sarebbero necessari interventi istituzionali a supporto della previdenza complementare. Sono diversi i motivi alla base di questa considerazione.

Innanzitutto l’impianto normativo del settore, in Europa, dovrebbe evolversi in una direzione che non fosse penalizzante per l’industria nazionale, e sarebbe importante che i rappresentanti italiani nelle istituzioni europee agissero in questo senso. L’industria nazionale della gestione oggi è infatti costretta a operare in una situazione che la rende poco competitiva: i due terzi dei prodotti distribuiti in Italia sono sicav lussemburghesi e il 25% della nuova raccolta avviene da parte di player esteri. Su questo fronte avrebbe necessario livellare il campo di gioco.

Oltre a questo sarebbe necessario favorire un processo di «istituzionalizzazione», cioè un aumento del peso degli investitori istituzionali sul settore, tramite lo sviluppo della previdenza.

 

La maggior parte della raccolta oggi avviene attraverso prodotti distribuiti sui canali retail, che, per propria natura, privilegiano la liquidità rispetto al rendimento. Il perseguimento di obiettivi di breve periodo è particolarmente penalizzante nell’attuale contesto di mercato, caratterizzato da tassi di interesse e rendimenti estremamente bassi. Di fronte a uno scenario simile, non resta che reindirizzarsi o su asset rischiosi (mercati azionari) o su asset illiquidi. Entrambe le scelte implicano necessariamente la competenza di un gestore professionale che sappia investire con orizzonti temporali lunghi, non compatibili con i vincoli dei prodotti retail.

Questa nuova strategia potrebbe dare un importante contributo al finanziamento dell’economia. Il tessuto economico nazionale oggi è caratterizzato da poche grandi imprese quotate e molte piccole multinazionali estremamente competitive ma non quotate. Esiste una necessità di efficienza, razionalizzazione e sviluppo delle infrastrutture (energia, reti, trasporti) e il sistema bancario domestico – in debito di capitale – difficilmente sarà in grado di fornire i capitali necessari alla crescita. Ecco perché il risparmio gestito potrebbe rappresentare una risorsa fondamentale per il nostro Paese nei prossimi anni: il rilevante stock di risparmio nazionale potrebbe supplire, investendo nelle cartolarizzazioni bancarie, finanziando direttamente le aziende (attraverso minibond e private debt), o nelle cartolarizzazioni di asset reali (infrastrutture, immobiliare, energia), o, ancora, contribuendo allo sviluppo di un mercato domestico dei capitali. L’industria del risparmio gestito sta lavorando moltissimo per creare prodotti in grado di investire in strumenti finanziari e beni illiquidi. Purtroppo lo stock di risparmio previdenziale in Italia, l’unico che oggi potrebbe essere investito in asset illiquidi e rischiosi, si limita a non più del 17% dello stock totale di risparmio nazionale, rispetto ad una media dei Paesi dell’Ocse del 70%. (riproduzione riservata)

*amministratore delegato,

Arca Sgr