di Antonio Ciccia 

 

Si allarga il ventaglio di possibilità a disposizione delle imprese per la gestione del contenzioso: alle strade giudiziali si affiancano procedure conciliative.

L’ultima opzione è la negoziazione assistita dagli avvocati (dl 132/2014), che dal 9 febbraio 2014 è diventata obbligatoria per il recupero somme fino a 50 mila euro (ma non per i decreti ingiuntivi).

Le procedure sono tante e hanno vantaggi e svantaggi, anche se non c’è dubbio che la legge spinge ormai le controversie (soprattutto quelle di valore piccolo e medio) al di fuori dei tribunali.

A priori non è facile stimare in maniera assoluta quale sia la scelta più conveniente, perché l’esito del contenzioso dipende da fattori spesso aleatori.

In via di approssimazione le imprese fanno bene a raccogliere il messaggio che arriva dal legislatore che, allo scopo di far sopravvivere una giustizia civile lenta e ingolfata, semina disincentivi sulla strada che porta a palazzo di giustizia.

Questo porta a scegliere la strada negoziale (media-conciliazione o negoziazione assistita) che, d’altra parte, risulta più in linea con una condotta rigorosamente imprenditoriale.

Trattare e trovare un accordo è attività tipica dell’impresa e la legge italiana consente di ufficializzare l’intesa con documenti, che hanno lo stesso valore della sentenza.

Naturalmente trovare un accordo è più difficile che litigare e il risultato positivo dipende dalla propensione degli interessati a trovare un accomodamento e dalla professionalità dei mediatori e degli avvocati, che devono facilitare l’accordo stesso.

È importante, però, che le parti sappiano a cosa vanno incontro a seconda del percorso che decidono di seguire.

Prendiamo un’impresa che voglia recuperare un credito di 20 mila euro e vediamo, dunque, che strade può percorrere.

L’ipotesi tradizionale è quella del decreto ingiuntivo. Si va dall’avvocato, che preparerà un ricorso da depositare in tribunale. Il decreto ingiuntivo si può chiedere senza avere attivato procedure di conciliazione obbligatoria.

Il costo della pratica, al netto dell’imposta di registro, calcolato con i parametri indicati dal tribunale di Milano, è di euro 145,50 per spese vive ed euro 1.035 per compensi professionali (oltre Iva e contributo previdenziale). Quanto ai tempi si deve considerare che una volta ottenuto il decreto ingiuntivo (tempi di lavorazione da parte del tribunale), salvo che il giudice conceda la provvisoria esecutività, devono trascorrere 40 giorni perché diventi esecutivo, cui bisogna aggiungere il tempo tecnico necessario per la notificazione. Se, poi, il debitore non paga, bisogna avviare il processo esecutivo con i relativi tempi e costi.

Il debitore può presentare opposizione e, allora, si apre un processo per l’accertamento del credito.

Una seconda strada giudiziaria è quella della causa ordinaria (quando non si ha la prova scritta del credito): in questo caso lievitano sia i costi sia i tempi. I costi, in primo grado, sono rappresentati dal contributo unificato (237 euro), anticipazione forfettaria (27 euro), compenso del legale, imposte (registrazione della sentenza), poste che aumentano nei gradi successivi; i tempi sono quelli, troppo lunghi, dei diversi gradi di giudizio. Senza contare che al processo per l’accertamento del credito segue il processo esecutivo (dal precetto alla ripartizione del ricavato del pignoramento).

In causa il giudice può tentare la conciliazione delle parti, ma il tentativo non è un passaggio obbligatorio.

Sul punto va sottolineato che la legislazione cerca di disincentivare il ricorso alla giustizia, soprattutto per chi vuole abusare del processo, sia caricando di spese di soccombenza e di condanna al risarcimento del danno sia stabilendo un tasso di mora elevato nel corso del giudizio.

Altra possibilità è la negoziazione assistita. Non ci sono i costi del sistema giustizia (spese di notificazione, marche, contributo unificato), mentre rimangono i costi dell’assistenza professionale dell’avvocato.

La legge prevede che la procedura duri tre mesi e si concluda con un accordo che equivale a una sentenza o a un decreto ingiuntivo.

La legge cerca di incentivare il ricorso alla negoziazione assistita, stabilendo che non aderire alla procedura conciliativa può mettere in cattiva luce davanti al giudice.

Quarta possibilità è la media-conciliazione. In materie diverse da quelle elencate all’articolo 5 del dlgs 28/2010 (condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione ecc.), la procedura è volontaria. Si applicano le tariffe previste dall’organismo di conciliazione oltre alle spese dell’avvocato di fiducia.

Le tariffe previste dal dm 180/2010 prevedono una forbice tra 400 e 500 euro. Peraltro è riconosciuto un credito d’imposta fino a 500 euro e il verbale di accordo è esente da imposta di registro fino all’ammontare di 50 mila euro.

Non si pagano le spese di giustizia e la procedura ha tre mesi di termine massimo di conclusione.

La legge cerca di spingere alla media-conciliazione sia con gli incentivi fiscali sia con l’applicazione di conseguenze negative (spese di soccombenza e risarcimento del danno) nel caso di rifiuto della proposta del mediatore.

La scelta della media-conciliazione e della negoziazione assistita portano benefici al sistema generale e cioè in termini di deflazione del processo.