Adriano Bonafede

R isparmio fai-da-te o risparmio gestito? Quante volte abbiamo sentito parlare di questa dicotomia, mentre fiumi d’inchiostro sono stati sparsi per spiegare ciò che c’è di buono nell’una o nell’altra soluzione? Ma la verità è che il risparmio fai-da-te è quello che finora ha nettamente vinto: complice l’innata presunzione di ogni italiano di saper investire al meglio il proprio denaro, il patrimonio gestito nelle mani dei promotori finanziari, dalle banche e dalle Poste, ammonta a 560 miliardi, il 15 per cento circa dei 3.670 miliardi di euro che gli italiani hanno da parte in attività finanziarie. Da questo punto di vista niente o poco di nuovo sul fronte occidentale. L’unica novità è che in questo ultimo anno e mezzo c’è stata una ripresa del risparmio gestito con il boom di fondi d’investimento e polizze vita. E di ciò hanno approfittato anche le societàrete quotate come Banca Mediolanum, Banca Generali e Azimut, con raccolte record e conseguentemente strepitosi rialzi di Borsa. A spezzare una lancia a favore del risparmio gestito è stata di recente la Consob: «Nella “Carta degli Investitori” presentata due settimane fa dice Maurizio Bufi, presidente dell’Anasf, l’associazione dei promotori finanziari – la Commissione che controlla la Borsa ha indicato che il faida- te nel risparmio va scoraggiato a tutti i costi. E una recente ricerca dello Studio Ambrosetti rammenta che fra gli italiani

c’è una scarsa conoscenza dei rischi finanziari insiti in un investimento fai-da-te». Ma c’è qualcos’altro che dovrebbe far riflettere gli strenui difensori del risparmio faida- te. Proprio al convegno Anasf organizzato a Roma a inizio febbraio, molti big del risparmio gestito, da Schroders a Franklyn Templeton, da Natixis a Bnp Paribas hanno presentato al pubblico dei promotori i loro prodotti di punta: strumenti molto sofisticati di diversificazione degli asset ma anche di riduzione del rischio. Non più semplici fondi azionari od obbligazionari o bilanciati (come erano una volta) ma strumenti capaci di ottenere rendimenti i più elevati possibili con il minor rischio possibile. Siamo nel mondo dei fondi “flessibili”, dove non c’è più un vero benchmark con cui confrontarsi ma c’è la ricerca sistematica di un rendimento in qualunque condizione di mercato. Nei normali fondi azionari od obbligazionari, infatti, quando il mercato cala, l’abilità del gestore arriva al massimo a ottenere risultati meno brutti di quelli del benchmark. Nei fondi flessibili, invece, il gestore è (teoricamente) capace anche di rovesciare completamente la propria strategia. Ad esempio, abbandonando alcuni mercati a favore di altri, uscendo dall’obbligazionario di alcune aree, acquistando anche strumenti come oro e materie prime. «È ovvio che con questi strumenti – dice Bufi – la delega che si dà al gestore è pressoché totale. Gli si affida la composizione del portafoglio e il momento in cui entrare o uscire da certi asset ». È fiducia ben riposta? Solo i risultati ottenuti nel medio-lungo termine potranno dimostrarlo inequivocabilmente. Il Parvest Diversified Dynamic di Bnp Paribas, ad esempio, ha ottenuto al 31 dicembre 2013 le seguenti performance: a 1 anno il 6,65 per cento, a 2 il 16,86 e a 3 il 13,05 (corrispondete a un rendimento medio annuo del 4,17 per cento). Un obbiettivo ottenuto «con un target di volatilità del 7,5 per cento – ha detto Mathieu David, head of External Distribution Italy di Bnp – simile a un’allocazione 50% azionario-50% obbligazionario ma con un profilo di rischio più vicino a quello delle obbligazioni». In questo prodotto interviene un meccanismo automatico di riduzione del rischio denominato “Isovol” (e quindi di vendita di certi asset) quando ricorrono certe condizioni. Quale risparmiatore, benché preparato, può disporre di così sofisticati programmi informatici? E quale può avere accesso a mercati, asset e strumenti così diversificati? Anche i tradizionali fondi obbligazionari si presentano spesso in una nuova conformazione “flessibile”. Si guardi ad esempio ai fondi Bsf Fixed Income Strategies e Bsf Fixed Income Global Opportunities di Schroders. Quest’ultimo fondo adotta una strategia globale flessibile multisettoriale; il primo investe in titoli di Stato, corporate bond, cartolarizzazioni, valute e altro. E il mix cambia continuamente. Nessun singolo investitore potrebbe riprodurre con i suoi mezzi queste complesse strategie.