di Roberta Castellarin e Paola Valentini

La recessione economica che sta vivendo l’Italia si ripercuoterà anche sui futuri assegni pensionistici. Oggi un lavoratore dipendente di 30 anni andrà in pensione alla soglia dei 69 anni e il suo assegno sarà pari al 72% dell’ultimo stipendio. Questo se il pil avrà una crescita reale del 2%, mentre scenderà al 49% in caso di economia in stagnazione.

Un quarto circa dell’assegno quindi dipende dall’andamento della crescita economica. Senza dimenticare che nel sistema contributivo non sono previsti interventi da parte dello Stato a integrazione dei magri assegni. Se poi si tiene conto del fatto che recessione vuole anche dire stipendi che non crescono, se non addirittura possibili periodi di blackout dei contributi, questo dato potrebbe perfino essere più basso.

Forse per questa ragione c’è stata finora una certa resistenza a informare i lavoratori su quale assegno potranno aspettarsi in futuro. La tanto richiesta busta arancione, che sul modello svedese dovrebbe dire ai lavoratori italiani quanta parte dell’ultimo stipendio riceveranno come prima pensione, non è destinata ad arrivare in tempi brevi. Per ora l’Inps non la spedirà nemmeno ai sessantenni, dai quali in prima battuta si era pensato di partire con questa iniziativa. Un’operazione trasparenza che è auspicata da più parti.

Ma se l’ente di previdenza pubblico non dà la busta arancione, vengono in soccorso i fondi pensione, che sono obbligati a calcolare il trattamento previdenziale statale che possono aspettarsi gli iscritti e quanto potrà integrare l’assegno la previdenza complementare, mentre è volontaria la scelta di mettere i calcoli a disposizione dei sottoscrittori. Certo, questa comunicazione è destinata soltanto agli aderenti ai fondi, che per ora sono ancora pochi. Si tratta di circa 5 milioni di lavoratori, un quinto della platea complessiva di cittadini interessati. Eppure, sapere a cosa si va incontro è un utile stimolo a alla creazione di una pensione di scorta. E d’altra parte proprio l’esperienza della Svezia insegna che queste lettere vengono effettivamente aperte e lette dai lavoratori. Come dimostra un’apposita indagine condotta ogni anno dall’Autorità di vigilanza svedese sulle pensioni su un campione di lavoratori. L’indagine del 2010 ha rivelato che di questi l’80% ha dichiarato di aver aperto la busta. «Molto interessante è il dato riguardante le proiezioni pensionistiche: circa il 75% degli intervistati ha consultato la relativa sezione», sottolinea la Covip in un nuovo documento in consultazione sul calcolo del rischio nella stima della pensione di scorta. Conoscere anche soltanto una proiezione della pensione pubblica è ancora più importante oggi.

Come sottolinea Andrea Carbone, della società di consulenza indipendente Progetica: «Per la prima volta stiamo vivendo anni di rivalutazioni negative in termini reali dei montanti contributivi, che crescono di meno dell’inflazione.

Un elemento in più da considerare quando ciascuno definisce e controlla le proprie strategie previdenziali, un motivo in più per pensare a integrare per tempo la propria pensione pubblica». Il monitoraggio diventa ancora più importante se si riflette su quale futuro possono aspettarsi i Paesi occidentali dal punto di vista dell’invecchiamento della popolazione. Come sottolinea Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos, nella sua newsletter il Rosso e il Nero: «Le pressioni strutturali si intensificheranno su molti fronti. L’invecchiamento dell’Occidente ha appena cominciato a farsi sentire. Nella seconda metà del decennio l’onda grigia dei figli del baby boom del dopoguerra diventerà ancora più potente, e premerà più di oggi su tutti i sistemi previdenziali e sanitari. I conti pubblici resteranno sotto controllo solo con uno sgradevole mix di tagli allo stato sociale, pressione fiscale in costante aumento e monetizzazione del debito a perdita d’occhio».

 

Se questo è lo scenario che ci si può aspettare in futuro, la pensione di scorta diventa ancora più necessaria. Progetica ha elaborato per MF-Milano Finanza una simulazione su quanto occorre versare per avere 1.000 euro di più al mese. Dall’analisi emerge quanto sia importante partire per tempo. Chi inizia a versare a 30 anni con un contributo mensile a una linea bilanciata di 289 euro potrà avere appunto 1000 euro in più al mese al momento dell’addio al lavoro. Chi invece inizia a 40 anni per avere lo stesso risultato dovrà versare 559 euro. Mentre il contributo sale addirittura a 806 euro al mese per chi inizia a 50 anni. (riproduzione riservata)