di Marcello Bussi

In Eurolandia è in corso una pesante recessione e l’Italia è tra i Paesi messi peggio. Nel quarto trimestre il pil dell’Eurozona si è contratto dello 0,6% rispetto al trimestre precedente, registrando il terzo calo consecutivo. Il dato è peggiore delle attese degli economisti, che avevano stimato un calo dello 0,4%.

L’anello più debole della catena è stato il Portogallo, che ha accusato una contrazione addirittura dell’1,8% (e le lodi di Bruxelles e del Fmi per come Lisbona sta risanando i conti assumono un tono beffardo), seguito dall’Italia (-0,9%) e dalla Spagna (-0,7%). Ancora più sorprendente la pessima performance della Germania (-0,6%), mentre la Francia ha relativamente contenuto il calo allo 0,3%. I dati sono stati peggiori delle aspettative per la maggior parte dei Paesi, e la sorpresa è stata così negativa da portare i mercati a speculare nuovamente su un taglio dei tassi della Bce. Prospettiva che ha spinto al ribasso l’euro, sceso sotto quota 1,34 fino ai minimi da tre settimane a 1,3313 dollari. La contrazione registrata nel quarto trimestre non è comunque vista dalla maggioranza degli economisti come un segnale di eccessivo allarme, visto che nel frattempo molti indicatori di sentiment hanno mostrato un miglioramento, in particolare in Germania, il cui pil nel primo trimestre dovrebbe tornare a crescere.
Per Marco Valli, economista di Unicredit, il dato di ieri «non fissa un nuovo trend», ma anzi «sovrastima il ritmo sottostante della recessione» nell’Eurozona. Il caso Italia è tra quelli più preoccupanti: la recessione dura ormai da sei trimestri, con il dato sul pil degli ultimi tre mesi del 2012 che ha deluso le aspettative già negative. Negli ultimi tre mesi dell’anno scorso, infatti, il pil italiano si è contratto dello 0,9% su base trimestrale, peggio dello 0,6% atteso, mentre nell’intero 2012 il prodotto lordo è sceso del 2,2% rispetto al 2011. Si tratta della recessione più lunga da 20 anni, pari a quella del 1992, l’anno di Tangentopoli e del prelievo notturno sui conti correnti decretato dall’allora premier Giuliano Amato. «Per l’economia italiana non c’è respiro», ha osservato l’economista di Ing, Paolo Pizzoli. Trattandosi di una stima preliminare, l’Istat non ha ancora fornito lo spaccato del dato, ma ha comunque dato un’indicazione ben precisa su quanto sia stato esteso il crollo della produzione. «Il calo congiunturale è la sintesi di diminuzioni del valore aggiunto in tutti i comparti di attività economica: agricoltura, industria e servizi», si legge nel comunicato dell’istituto di statistica. Se il 2012 si è chiuso con una profonda recessione, le prospettive per il 2013 non sembrano più rosee. L’Italia, ha osservato la market economist di Newedge, Annalisa Piazza, «è lontana dall’uscita dalla crisi», e nel 2013 dovrebbe registrare una recessione dell’1,5%.

 

Visto il quadro desolante, acquistano ancora maggior rilievo le dichiarazioni di due giorni fa del commissario Ue agli Affari Economici e Monetari, Olli Rehn, secondo il quale ai Paesi dell’Ue che stanno portando avanti un programma di correzione dei conti pubblici, potrà essere concesso più tempo per raggiungere gli obiettivi di bilancio se la loro crescita economica «si deteriorasse inaspettatamente». Tuttavia ieri il suo portavoce, Simon O’Connor, ha precisato che, parlando di interpretazione del Patto di stabilità e della possibilità di prevedere condizioni di bilancio meno rigide in caso di peggioramento della situazione economica, Rehn «stava semplicemente reiterando una posizione consueta. Non c’è nulla di nuovo». (riproduzione riservata)