di Leonardo Comegna  

Per ottenere la pensione di vecchiaia bastano 15 anni di contributi, se maturati alla data del 31 dicembre 1992. Lo ribadisce l’Inps nella circolare n. 16/2013. Dopo l’entrata in vigore della riforma Fornero, l’ente di previdenza non era d’accordo con il ministero del lavoro circa le deroghe applicabili ai 20 anni di contributi (per tutti) voluta dalla legge n.214/2011.

Con la circolare n. 35/2012 l’Istituto guidato da Antonio Mastrapasqua ha però dovuto obbedire all’interpretazione data dai tecnici del dicastero che avevano negato ogni sorta di deroga ai nuovi requisiti, quegli stessi tecnici che sono ora tornati sui propri passi. L’argomento interessa, a quanto pare, circa 65 mila persone (vedi ItaliaOggi del 31 gennaio), per lo più donne che hanno lasciato il lavoro da tempo e vivevano nella certezza di percepire la pensione una volta raggiunta l’età della vecchiaia.

Le deroghe. La questione prende il via dalla riforma Amato (art. 2, comma 3, del dlgs n. 503 del 1992) che individuava particolari categorie di lavoratori dipendenti e autonomi che possono accedere, in deroga all’elevazione del requisito minimo contributivo, alla pensione di vecchiaia in presenza di un’anzianità minima di 15 anni anziché 20 e al perfezionamento dell’età pensionabile prevista per la generalità dei lavoratori. Si tratta, in altre parole:

– dei lavoratori che al 31 dicembre 1992 hanno maturato i requisiti di contribuzione previsti dalla normativa previgente (15 anni, appunto);

– i lavoratori ammessi alla prosecuzione volontaria in data anteriore al 31 dicembre 1992. Per usufruire di tale deroga è necessario che la decorrenza dell’autorizzazione collochi entro la data del 26 dicembre 1992. Non è invece richiesto che l’assicurato ammesso alla prosecuzione volontaria abbia anche effettuato versamenti anteriormente alla predetta data. Per quanto riguarda il requisito dei 10 anni con occupazione di durata inferiore a 52 settimane nell’anno solare, a nulla rileva la circostanza che nell’anno solare nel quale il lavoratore sia stato occupato per periodi di durata inferiore a 52 settimane sussista anche contribuzione diversa da quella obbligatoria (figurativa, volontaria ecc.) per un numero di settimane tale che, sommato a quello delle settimane di contribuzione obbligatoria, faccia raggiungere le 52 settimane;

– lavoratori dipendenti che possono far valere un’anzianità assicurativa di almeno 25 anni e risultano occupati per almeno 10 anni per periodi di durata inferiore a 52 settimane nell’anno solare (i cosiddetti precari).

L’età pensionabile. La circolare precisa che nei confronti delle suddette categorie di lavoratori trovano applicazione i nuovi requisiti anagrafici previsti per il diritto alla pensione di vecchiaia nel sistema retributivo o misto di cui previsti dalla riforma Fornero (art. 24 comma 6 della legge n. 214 del 2011), mentre non trova applicazione la disciplina in materia di decorrenza dei trattamenti pensionistici prevista in precedenza, ossia la cosiddetta finestra mobile (12 mesi di attesa per i dipendenti e 18 mesi per gli autonomi). Ne consegue che a decorrere dal 1° gennaio 2013, i lavoratori interessati potranno conseguire la pensione di vecchiaia, con almeno 15 anni di contributi al 1992, compiendo un’età pari a:

– 62 anni e 3 mesi per le lavoratrici dipendenti;

– 63 anni e 9 mesi per le lavoratrici autonome;

– 66 anni e 3 mesi per i lavoratori dipendenti, le lavoratrici dipendenti del settore pubblico, i lavoratori autonomi.

I costi. Come riportato da ItaliaOggi del 31 gennaio, per il via libera alla salvaguardia dei quindicenni l’ultimo ostacolo superato è stato quello del parere negativo della Ragioneria dello Stato. Nella prima bozza di circolare sulle novità della riforma Fornero, l’anno scorso, l’Inps aveva già assunto un orientamento favorevole al mantenimento della deroga della riforma Amato; e che proprio ragioni di cassa avevano spinto il ministero del lavoro a far correggere la circolare, con eliminazione della deroga. È difficile avventurarsi sulle cifre, tenuto conto peraltro che si tratta in gran parte di soggetti con diritto all’integrazione al trattamento minimo oggi pari a 495 euro al mese.