di Anna Messia

Ci risiamo con la bagarre sulle agenzie di rating. Questa volta a riaccendere i riflettori è stata la maxi-causa da oltre 5 miliardi di dollari intentata qualche giorno fa dal governo americano contro Standard & Poor’s, accusata di aver valutato in modo errato i mutui che erano alla base dei derivati finanziari che fecero esplodere la crisi del 2007.

Una mossa arrivata con qualche anno di ritardo e che gli Stati Uniti avrebbero probabilmente già voluto attuare nel 2011, dopo che l’agenzia aveva declassato il merito di credito degli Usa, togliendo la tripla A. C’è voluto invece il secondo mandato del presidente Barack Obama per consentire al governo di andare fino in fondo e in ogni caso c’è da scommettere che non saranno i giudici a risolvere il problema della regolamentazione di questo settore ad alto rischio di conflitti d’interesse, con le grandi istituzione finanziarie principali azioniste delle agenzie.

 

La falla è aperta anche in Europa, dove ogni volta che le agenzie di rating declassavano un Paese o una banca si ripropone il problema della validità del loro metro di giudizio. Nel frattempo però poco o nulla si è fatto per cambiare le regole e anzi la riforma dei rating varata a fine gennaio dal Parlamento Ue sembra fare acqua da più parti e c’è soprattutto un punto di debolezza che balza subito agli occhi. «La norme approvate a Strasburgo prevedono che solo nel 2016 la Commissione sarà chiamata a presentare un rapporto sull’ipotesi di dare vita a un’agenzia di rating europea indipendente, che possa rompere l’oligopolio delle tre principali società, S&P, Moody’s e Fitch», dice Nunzio Bevilacqua, membro del direttivo dell’Anspc, l’Associazione Nazionale per lo Studio dei Problemi del Credito presieduta da Ercole Pellicanò. «Tre anni sono un tempo biblico per i mercati finanziari, come ha dimostrato la storia degli ultimi anni». Eppure, suggerisce ancora Bevilacqua, ci potrebbe essere una strada più semplice e veloce per migliorare il mercato del rating e ridurre i rischi di conflitti di interesse: la creazione di un’agenzia europea che gestisca il rapporto tra le società che danno i giudizi e le imprese e gli Stati che li ricevono, creando un diaframma. «Dovrebbe essere un’agenzia pubblica chiamata a risolvere il difetto genetico di questo sistema, dove chi riceve il giudizio paga la società che lo emette», spiega Bevilacqua. «Le agenzie di rating dovrebbero accreditarsi presso questa nuova struttura, che gestirebbe anche i rapporti economici con le società che ricevono il giudizio, predisponendo un trasparente listino prezzi per le operazioni effettuate», suggerisce ancora Bevilacqua. «Non solo; il valutatore non dovrebbe avere più di un mandato consecutivo, assicurando un naturale ricambio e facilitando l’ingresso di nuove agenzie di rating sul mercato».

 

Dalla normativa appena approvata a Strasburgo sembrano invece arrivare anche altri problemi. Non è stato risolto, per esempio, il nodo centrale del valore che deve essere attribuito ai giudizi. Sono semplici opinioni o hanno un valore giuridico? Inoltre, il nuovo regolamento prevede che le agenzie potranno pubblicare i rapporti sui debiti sovrani europei solo in tre periodi dell’anno prefissati e soprattutto che verrà rovesciato l’onere della prova. Per intentare causa alle società che danno voti e giudizi basterà avere il sospetto di dolo e anche solo di negligenza. «Consentire di emanare rating solo in periodi prestabiliti rischia di annacquarne la validità», dice Bevilacqua. C’è poi il rischio che «chiunque riceva un giudizio negativo provi a intentare causa, bloccando un settore molto importante perché dovrebbe consentire ai risparmiatori di disporre di un giudizio sintetico che possa fornire garanzie sul loro investimento». (riproduzione riservata)