Sara Bennewitz

L avori in corso nella Galassia: la crisi economica e le nuove regole bancarie di Basilea III costringono Mediobanca a ridare smalto alle sue strategie industriali per aumentare la redditività. La sfida dell’ad Nagel sarà proprio questa: far digerire al patto di sindacato che controlla l’istituto una strategia di riduzione di pacchetti storici, a partire da quello di azioni Generali. Tenendo conto del fatto che ci sono partecipazioni che non possono essere cedute adesso perché non in grado di realizzare ritorni adeguati, e che richiedono invece nuove risorse. Si parla ovviamente di Telco e Rcs. Il tutto in una fase di debolezza degli azionisti industriali. Ma anche Unicredit e Intesa sono alle prese con il ridisegno di equilibri interni ed esterni, tra azionariati sempre più frastagliati e cariche da confermare. Come quelle di Cucchiani in Intesa e Greco in Generali, subentrati a mandato in corso. alle pagine 4 e 5

Milano I risultati della semestrale saranno annunciati al mercato il giorno dopo le politiche. Ma il piano “elettorale” della Mediobanca di Alberto Nagel verrà presentato agli investitori solo all’inizio dell’estate. Una volta che sarà chiaro cosa Basilea III chiede all’istituto di Piazzetta Cuccia, gli attuali vertici della società dovranno delineare una strategia industriale che concili gli interessi dei vari soci del patto con quelli del mercato, per garantirsi la rielezione ai vertici della prima banca d’affari italiana. Il mandato dell’attuale management scadrà sei mesi dopo il patto di sindacato che governa sul 42,1% del capitale, le cui disdette vanno inviate entro settembre. Del resto per la prima volta nella storia di via Filodrammatici gli esponenti della sinistra di Finsoe (che attraverso Fonsai ha il 3,8%) si troveranno seduti allo stesso tavolo di quelli della destra di Fininvest (che direttamente ha il 2% e indirettamente con Mediolanum un altro 3,5%), per cui mantenere un equilibrio che sia equidistante dalle mire dei singoli soci e che porti a massimizzare il ritorno per tutti gli azionisti non sarà un esercizio facile. Per quanto Nagel si affanni, in Borsa l’attività della Banca (stimata in 2,56 miliardi) si perde rispetto alla mole delle sue partecipazioni (4,34 miliardi). A prescindere dal valore che è stato creato dall’attuale management e dai dividendi distribuiti ai soci, il titolo paga lo scotto di essere una holding di azioni quasi esclusivamente tricolori dove la parte buona dell’istituto resta in ombra rispetto al peso della quota di Generali (2,74 miliardi pari a un terzo dell’attivo e al 60% del valore di Borsa). Per questo Unicredit (primo azionista con l’8,6%) vorrebbe che Mediobanca aumentasse la redditività (il roe 2013 è atteso solo in lieve crescita al 6,4%) e sfoltisse il vasto portafoglio di partecipazioni. I soci industriali desidererebbero invece che Piazzetta Cuccia risolvesse le partite di quegli investimenti incagliati come Telco-Telecom e RcsMediagroup e che tornasse ad allargare i cordoni della borsa aumentando gli impieghi (in discesa a 34 miliardi su una raccolta di 54). Gli azionisti francesi guidati da Vincent Bollore e Groupama punterebbero invece a mantenere lo statu quo, conservando un forte presidio sulle Generali. E così i desiderata delle tre diverse classi di soci alla fine cozzano una con l’altra, pertanto Nagel dovrà trovare una quadratura del cerchio che consenta a Mediobanca di creare valore per tutti tenendo conto anche dell’interesse del mercato. L’idea di Nagel per il futuro di Piazzetta Cuccia è di cedere tutte le partecipazioni che consentano all’istituto di realizzare un ritorno adeguato (e quindi al momento Rcs e Telco sarebbero in stand by), incrementare l’attività di banca d’affari, creare più sinergie tra il credito al consumo e Che Banca! (la cui raccolta a dicembre è salita sopra quota 12 miliardi) e cogliere le eventuali opportunità che potrebbero crearsi nel private banking per rafforzare Esperia. Fin qui la parte facile del piano dell’ad, quella difficile prevede invece di potenziare la crescita all’estero e allentare il rapporto con le Generali, un’operazione che passa anche dalle prossime mosse di Mario Greco, che ha ricevuto un forte mandato per far crescere il Leone di Trieste oltre i confini nazionali. Nel peggiore dei casi la riforma di Basilea III imporrà a Mediobanca di ammortizzare nei prossimi cinque anni la quota nel gruppo di Trieste. Meglio sarebbe per allora, aver già alleggerito la posizione in Generali ritagliandosi un ruolo da azionista di minoranza come quello che oggi Bnp Paribas esercita su Axa. In mancanza, l’istituto potrebbe essere costretto a accantonare fino a un massimo di 350 punti base rispetto a un indice di solidità patrimoniale (Core tier1) che è pari all’11,5% (e che a giugno è atteso in crescita al 12,5%). Le banche d’affari devono essere più solide delle altre, perché altrimenti diventa difficile erogare i finanziamenti che fanno da contraltare all’attività di consulenza. Per questo nei caveau di via Filodrammatici, a fronte di 34 miliardi di impieghi, ci sono anche 20 miliardi di liquidità. I rivali dell’istituto criticano invece Mediobanca che sa prendere le commissioni per le consulenze, ma è restia a erogare i finanziamenti; un modo per dire che in questa fase di mercato dove il credito è scarso la banca d’affari potrebbe perdere il primato nell’M& a. Dato l’attuale contesto economico le aziende sane come Luxottica tendono inoltre a raccogliere liquidità sul mercato sfruttando l’appetito degli investitori per i rendimenti sicuri. Le società che invece chiedono nuovi finanziamenti alle banche sono quelle più in difficoltà, perché non potrebbero collocare un bond corporate (salvo pagare tassi esosi). Questo per un istituto comporta esporsi a rischi maggiori, e la filosofia del credito di Mediobanca è sempre stata molto prudente. Con l’attuale livello dello spread tricolore, gli istituti tedeschi sono in grado di offrire alle imprese tassi più competitivi rispetto alle banche italiane. Non a caso in Piazzetta Cuccia sono stati rimborsati più bond di quelli che sono stati emessi: le obbligazioni sono scese dai 34,5 miliardi del 2011 ai 30 miliardi del giugno scorso, un dato che è destinato a ridursi ulteriormente. E questo anche grazie ai prestiti ricevuti dalla Bce (7,5 miliardi) e alla crescita della raccolta diretta del private banking e di Che Banca!. Solo che se la liquidità non viene investita in un contesto di tassi bassi, il margine d’interesse di Mediobanca scende, l’attività di M&a langue anche in attesa dell’esito elettorale e alcune delle partecipazioni storiche impongono importanti svalutazioni o necessitano di capitali. Martedì 19 un consiglio di Telco dovrà stabilire di quanto svalutare la partecipazione in Telecom Italia, che oggi è iscritta in bilancio a 1,5 euro. Se si decidesse di adeguare il valore a 1,2 euro, il doppio rispetto ai prezzi di mercato, Mediobanca dovrebbe incassare una minusvalenza di 100 milioni, se invece si operasse una pulizia più aggressiva fino a quota 1 euro, la perdita lieviterebbe a 150-160 milioni trascinando in rosso i conti del semestre. Dopo il conto salato di Telco arriverà quello dell’aumento di capitale di Rcs (60 milioni pro quota) e le nuove rettifiche ad esso collegate. A differenza di quanto fatto in passato (o dell’arrocco poco felice dell’integrazione Unipol-Fonsai) Mediobanca con Telecom e Rcs ha cercato di avere un ruolo attivo e costruttivo per salvaguardare il valore delle sue partecipazioni, anche se i frutti non sono ancora arrivati. Per fortuna prima dell’estate la fusione Atlantia-Gemina dovrebbe permettere a Piazzetta Cuccia da un parte di valorizzare la partecipazione negli Aeroporti di Roma (il 14% che sul mercato vale 280 milioni) e dall’altra di liberare quei capitali che ha immobilizzato in Sintonia. Questo per le partecipazioni di Mediobanca. Quanto alle partecipazioni in Mediobanca il primo a disdire il patto di sindacato che scadrà a fine 2013 potrebbe essere Mario Greco (Generali ha il 2%), ma non è escluso che anche altri soci industriali seguano l’esempio. Il fatto è che chi è più vicino all’attuale management sarebbe anche il primo disposto a svincolare le sue quote, mentre chi con i vertici di Piazzetta Cuccia ha avuto dei dissapori, tra cui Pesenti e Tronchetti Provera, sarà anche l’ultimo a sganciarsi da un patto che a giudizio degli investitori resta troppo affollato. L’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel (a sinistra) e il presidente
Renato Pagliaro