Dopo quasi 20 anni di operatività della disciplina organica di settore, si può tranquillamente affermare che la previdenza complementare è ormai una realtà radicata nel Paese e in grado di reggere i colpi di ripetute crisi finanziarie e di una interminabile congiuntura economica avversa.

Tuttavia, in fase di lancio, non furono predisposti strumenti sufficienti a permettere al secondo pilastro previdenziale di esprimere tutte le sue potenzialità e di assolvere pienamente al ruolo sociale che è chiamato a ricoprire.

Il deficit di origine ha comportato di non poter mai dichiarare chiuso il cantiere della normativa del comparto, imponendo di rivederne, tempo per tempo, alcuni aspetti specifici. In primis, il regime fiscale, che rappresenta un nodo cruciale per lo sviluppo della seconda pensione. Molto è stato fatto, ma altro resta da compiere per arrivare a quel modello di tassazione denominato Eet (Esenzione dei versamenti, esenzione dei rendimenti, tassazione delle rendite) che ci allinei al resto d’Europa.

Inoltre il principio di adesione volontaria a piani pensionistici, posto a base della nuova normativa del 1993, è stato interpretato in maniera troppo rigida, tale da penalizzare lo sviluppo di molti fondi di categoria. Senza disturbare ancora una volta il legislatore, è ormai maturo il tempo di darne una lettura meno formalistica.

È quasi banale dire che l’argomento investimenti impone particolare attenzione, per entità, come quelle dei fondi pensione, strutturalmente fondate sulla capitalizzazione. La disciplina sugli impieghi reca criteri rivelatisi, alla prova dei fatti, estremamente validi, considerato che in Italia non si è verificato alcun disastro, come invece è avvenuto, incredibilmente, in mercati pur maturi come gli Stati Uniti. L’istituto della banca depositaria, i divieti civilistici di concentrazione degli investimenti e la soggettività imposta ai fondi pensione si sono dimostrati essi pure scelte lungimiranti. In ogni caso, anche una buona normativa invecchia ed è indifferibile il varo dell’attesa nuova legislazione speciale che tenga conto delle moltissime novità tecniche degli ultimi anni. Tra l’altro, in ottica di economia normativa, essa potrebbe divenire altresì un buon paradigma per le casse professionali di primo pilastro.

Il documento sulla politica degli investimenti e l’istituzione della funzione finanza, recentemente voluti da Covip vanno certamente nella direzione giusta e segnano un giro di boa per il settore, imponendo una crescita delle capacità di affrontare nuove e più sofisticate forme di investimento, con piena consapevolezza della loro rischiosità. L’accresciuto tasso di professionalità del settore consentirà impieghi in quote di fondi di private equity e, più sensibilmente, in quote di fondi comuni immobiliari. Vi sarà anche l’opportunità di valutare l’utilizzo di prodotti innovativi quali i fondi di debito e nuove realtà, a base immobiliare, legate alle energie rinnovabili, in grado di offrire grande stabilità e ritorni positivi ai portafogli delle forme previdenziali. Accanto al comparto della previdenza complementare, nelle sue varie articolazioni tipologiche, sorretto da specifici benefici tributari, esiste il settore dell’assistenza sanitaria complementare, fatto di casse e mutue sanitarie. Ancora a bassa diffusione, esso pure è sostenuto da benefici fiscali per quanto attiene all’alimentazione economica. Nell’ambito delle casse sanitarie trovano spesso collocazione coperture di Long term care (per la perdita di autosufficienza), realizzate tramite polizze assicurative.

Nell’ottica di realizzare una nuova e più solida e diffusa previdenza privata, intesa in una più ampia e moderna accezione, suscettibile di meglio rispondere alle esigenze di un Paese che invecchia, sembra ragionevole abbattere gli attuali steccati tra previdenza e assistenza complementare. La proposta è di considerare gli attuali benefici fiscali, riconosciuti in fase di apporto contributivo all’una e all’altra provvidenza, una sorta di tesoretto tributario individuale del singolo, consentendo ai fondi pensione di gestire anche forme di assistenza sanitaria integrativa, ovviamente con totale separatezza amministrativa e contabile. In questo contesto occorrerebbe favorire la capillare diffusione di coperture di long term care, riconoscendo un minimo maggior beneficio di deducibilità dei premi per i piani che coprono la perdita di autosufficienza che prevedano la diretta fornitura di servizi in luogo della mera erogazione di una specifica rendita in favore del disabile. (riproduzione riservata)

* presidente Assoprevidenza