di Roberta Castellarin e Paola Valentini

 

Negli anni 50 un documentario intitolato «Qualcuno pensa a noi» di Giorgio Ferroni spiegava agli italiani che lo Stato si sarebbe preso cura di loro dalla culla fino alla vecchiaia. Si susseguivano immagini di asili per l’infanzia, case di cura e residenze per anziani linde ed efficienti.

Per finanziare questo welfare lo Stato, però, ha per anni speso più di quanto incassava e ciò ha portato, 60 anni dopo, a un debito pubblico monstre di 2 mila miliardi di euro. Così ora i conti non tornano più. Vista la necessità di ridurre il debito, l’attenzione è sempre più rivolta a quanto può essere tagliata la spesa per alleggerire la pressione fiscale e nello stesso tempo ripagare gli interessi del debito. Così i cittadini iniziano a chiedersi chi penserà a loro. Gli italiani in questo sono in buona compagnia. In molti Paesi europei è in corso una revisione del sistema del welfare, che di fatto implica un minore intervento dello Stato, un gap che devono colmare i cittadini. I due nodi principali sono pensione e sanità. Per quanto riguarda la pensione, è un problema che riguarderà soprattutto i lavoratori che ricadranno totalmente nel sistema contributivo e che avranno un assegno molto più limitato rispetto a quello garantito dal sistema retributivo.

 

In questo senso i lavoratori iniziano a percepire che la riforma delle pensioni porterà a un assegno magro rispetto al passato e ritengono di non essere adeguatamente informati sui mezzi per garantirsi una vecchiaia più serena. «C’è un’esigenza non soddisfatta di avere maggiori informazioni su strumenti in grado di proteggere il tenore di vita al momento dell’uscita dal mondo del lavoro e quindi le compagnie hanno l’opportunità di diventare il player di riferimento nella forniture di prodotti pensionistici, ma il 61% degli intervistati non è mai stato contattato da una compagnia o da un agente per parlare di un piano pensionistico», dice Daniele Presutti, partner di Accenture che ha condotto un sondaggio sulle preferenze degli investitori in tema di previdenza assicurata. Da questa analisi emerge che il 50% degli intervistati dichiara di essere estremamente preoccupato dall’insufficienza di reddito prodotto dall’attuale piano pensionistico. Inoltre il 67% non ha chiaro che cosa accadrà dal punto di vista finanziario al momento dell’uscita del lavoro e il 50% dei consumatori ritiene di non possedere sufficienti informazioni sulle possibili opzioni di pensione a disposizione, mentre il 95% è disponibile a effettuare accantonamenti mensili per la pensione. Infine dal sondaggio Accenture emerge che un lavoratore su tre ha pianificato di sottoscrivere un prodotto pensionistico nei prossimi tre anni. Già, perché finora tra crisi economica, misure di austerity e scarsa informazione, «solo un quarto dei lavoratori italiani ha, ad oggi, sottoscritto un piano di previdenza complementare, mentre sono in aumento le sospensioni contributive», dice il presidente Covip, Antonio Finocchiaro, spiegando che occorre «colmare la voragine informativa» sulla previdenza complementare, dal momento che «il numero di coloro che sono fuori dal sistema è ancora molto alto. Né è ipotizzabile, almeno nelle condizioni attuali, una spontanea, naturale crescita della previdenza complementare a bilanciare la contrazione della rendita derivante dalla previdenza di base. In sintesi, sottolinea Finocchiaro, «il ritardo accumulato della previdenza complementare nel nostro paese è rilevante».

 

Ma l’allarme è anche sul fronte della sanità pubblica. Per questo si fa sempre più strada l’idea di un welfare complessivo costituito da un mix di copertura previdenziale, assistenziale e sanitaria. «Questo obiettivo si può raggiungere non solo ampliando l’offerta previdenziale ma anche razionalizzando quella di welfare integrato. Previdenza complementare e sanità integrativa hanno molti punti di contatto che possono essere messi a fattor comune per favorire l’accesso alle prestazioni e migliorare la qualità della vita delle persone», spiega Silvio Felicetti (Mefop). Per quanto riguarda la tutela della salute, la spesa privata in Italia corrisponde già oggi a oltre un quinto dell’intera spesa sanitaria e salirà. «Più del 20% della spesa sanitaria totale è finanziata dagli stessi cittadini, quota destinata ad arrivare, in base agli ultimi scenari, fino al 50%, con un carico significativo sulla sfera privata dei cittadini che vengono così sottoposti al rischio di non avere tutele, nel caso in cui non possano provvedere da sé alla copertura sanitaria», dice Thomas Walder, capo progetto dei fondi sanitari Pensplan Centrum. Si tratta già oggi di oltre 30 miliardi, mentre la spesa pubblica è di circa 110. Il problema è che, a differenza dei principali Paesi europei, in Italia il 90% della spesa sanitaria privata è sostenuta dalle famiglie e soltanto il 10% passa attraverso forme mutualistiche o assicurative, contro il 60% della Francia e il 40% della Germania. Ci vorrebbe quindi una maggiore presenza di soluzioni proposte per completare e integrare quanto garantito dal Sistema Sanitario. Per questo si inizia anche a pensare a possibili sinergie tra la previdenza complementare e le coperture sanitarie.

 

Oggi quasi 6 milioni di lavoratori sono iscritti a un fondo pensione e oltre 7 a fondi sanitari integrativi. Entrambi i fondi contano su benefici fiscali, contributi datoriali e del lavoratore e si rivolgono alla stessa platea. Si rivolgono peraltro agli asset manager per la gestione delle loro risorse. Viene quindi spontaneo chiedersi quali sono le possibili sinergie tra questi prodotti. «Credo che la strada giusta da percorrere sia quella di un nuovo impianto normativo che riguarda le mutue sanitarie in modo che la legislazione sia uniforme e che queste diventino davvero complementari rispetto a quanto garantito dal Sistema sanitario nazionale. A quel punto saranno possibili sinergie anche con la previdenza complementare. A livello di contratti aziendali potrebbero esserci piani di welfare integrativi che coprono tutti gli aspetti di assistenza alla persona», dice Fabio Ortolani, presidente di Fonchim. Apripista sul fronte del welfare integrato è l’iniziativa del Trentino Alto Adige, che vuole lanciare Pensplan Med, associazione costituita dai diversi fondi sanitari integrativi locali e Pensplan, l’istituzione regionale nata nel 1997 per la promozione della previdenza complementare che ha già all’attivo Laborfonds, fondo pensione negoziale dedicato ai lavoratori residenti. Pensplan Med sarà un fondo sanitario di servizio che fornirà un supporto tecnico-giuridico e organizzativo ai fondi sanitari integrativi di prossima istituzione in Trentino-Alto Adige e alle casse, enti e società di mutuo soccorso già operanti sul territorio locale. «Una decisione, questa, che trova la sua logica nel fatto che il campo sanitario, a differenza di quello pensionistico, è già di per sé competenza delle Regioni e non dello Stato», afferma Walder. Anche le compagnie di assicurazione dovrebbero muoversi su questo fronte, potendo contare già su un forte rapporto con il mondo della previdenza complementare. (riproduzione riservata)