Autonomia delle Casse dei professionisti ridotta ormai all’osso. Tanto da far fatica oggi a trovare un ambito della gestione del risparmio previdenziale affidata agli enti che lo stato negli ultimi dieci anni non abbia inteso ridurre al minimo. Dagli investimenti immobiliari a quelli azionari passando anche per le spese degli istituti fino ad arrivare agli importi dei buoni pasto dei dipendenti (si veda tabella in pagina), oggi di quell’autonomia gestionale concessa con la privatizzazione nel 1994 (dlgs 509) e poi confermata nel 1996 (con il dlgs 103) è rimasto ben poco. Forse un principio che gli istituti pensionistici hanno difeso con le unghie e con i denti fino alla recente sentenza (n. 6014 del 28 novembre 2012) del Consiglio di stato che ha chiarito inequivocabilmente che le Casse sono enti pubblici e che la privatizzazione ha inciso solo a livello organizzativo. Chiudendo così, almeno per la giustizia amministrativa, una vicenda iniziata nel 2004.

 

Tutto inizia con la Finanziaria del 2005. È la legge 311/2004 a prevedere, per la prima volta, un tetto alle spese per quegli enti pubblici elencati in un apposito elenco stilato dall’Istat e aggiornato ogni anno. Elenco nel quale figurano anche tutte le casse previdenziali privatizzate con dlgs n. 509 del 1994. Quattro anni più tardi interviene la legge 196/2009 per chiarire che «per amministrazioni pubbliche tenute al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica si intendono gli enti e gli altri soggetti che costituiscono il settore istituzionale delle amministrazioni pubbliche individuati dall’Istituto nazionale di statistica sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti comunitari». Sulla base di tale norma e del regolamento Ue n. 2223/96-Sec 95 è confermata la presenza delle Casse nel citato elenco. Contro questi provvedimenti gli istituti pensionistici si oppongono fino ad ottenere una sentenza a loro favorevole da parte del Tar Lazio, successivamente impugnata in secondo grado dall’Istat e sospesa dopo pochi giorni con apposita ordinanza del Consiglio di stato.

 

L’azione del legislatore. Nel frattempo che la vicenda giudiziaria va avanti, tuttavia, il legislatore si mostra sempre più convinto nel limitare l’autonomia operando di fatto una «ripubblicizzazione» delle Casse. Prima con la Finanziaria del 2007 si chiede agli enti di garantire una sostenibilità trentennale. Poi con il decreto Salva-Italia nel 2011 si alza l’asticella a 50 anni, imponendo di conseguenza interventi strutturali che fanno salire contributi e limiti di età per mandare in pensione gli iscritti. In mezzo, per effetto dell’elenco Istat, una miriade di provvedimenti che limitano l’azione dei vertici degli enti. Tutte le speranze si focalizzano su una sentenza, quella del Consiglio di stato, che quando arriva segna uno spartiacque fra il prima e il dopo. Non a caso dopo la decisione di Palazzo Spada le gestioni previdenziali versano quanto dovuto allo stato a titolo di risparmio forzoso (3,8 milioni di euro nel 2012 che diventeranno 7,6 nel 2013) che fino a novembre 2012 avevano semplicemente accantonato all’interno.

 

La «ripubblicizzazione» degli enti. Entrando nel merito della questione, i giudici del consiglio di stato spiegano nella sentenza che «l’attrazione degli enti previdenziali nella sfera privatistica operata dal dlgs 30 giugno 1994, n. 509, riguarda il regime della loro personalità giuridica, ma lascia ferma l’obbligatorietà dell’iscrizione e della contribuzione; la natura di pubblico servizio, in coerenza con l’art. 38 della Costituzione; il potere di ingerenza e di vigilanza ministeriale e fa permanere il controllo della Corte dei conti sulla gestione per assicurarne la legalità e l’efficacia». Ma non solo. «Il finanziamento connesso con gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali (alle casse, per esempio, ritorna parte di quanto erogano a titolo di contributo di maternità ai propri iscritti, ndr), insieme alla obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione, garantiti agli enti previdenziali privatizzati, valgono a configurare un sistema di finanziamento pubblico, sia pure indiretto e mediato attraverso risorse comunque distolte dal cumulo di quelle destinate a fini generali».