Domenico Comegna Per ottenere la pensione di anzianità ora servono più di 42 anni di contributi, mentre per la vecchiaia bisogna aver compiuto i 66 anni, 63 anni e mezzo le donne. Ed ancora, l’anzianità maturata dal 1° gennaio sarà calcolata con il meno vantaggioso metodo contributivo. E a proposito di contributi, sono aumentati di 1,30 quest’anno e raggiungeranno il 24% nel 2018. È questo, in estrema sintesi, il quadro che emerge dalla ennesima riforma del sistema pensionistico attuata con la legge n.214/2011, più nota come riforma Fornero, dal nome del ministro del lavoro del governo Monti. Aumentano i contributi. Rincara dunque il costo della pensione. La riforma ha elevato l’aliquota contributiva dal 20,09 al 21,39% nel 2012 e ha stabilito un incremento della stessa nella misura pari allo 0,45%, per ogni anno successivo, sino a raggiungere (nel 2018) il 24%. Tradotto in cifre, ciò significa che i pf quest’anno pagheranno come minimo 3.201 euro. Sulla quota di reddito che supera 14.930 euro, occorrerà applicare l’aliquota del 21,39% sino a 4.204 euro e del 22,39% sulla quota eccedente sino al massimale di 73.673 euro. Il massimale contributivo/pensionabile che si applica agli iscritti dal 1° gennaio 1996, privi di anzianità assicurativa alla data del 31 dicembre 1995, per l’anno 2012 risulta invece pari a 96.149 euro. Calcolo contributivo. Si tratta di una misura che accelera quanto previsto dalla riforma Dini del 1995, dalla quale restarono esclusi coloro che avevano, a quella data, più di 18 anni di lavoro e che mantennero il vantaggioso metodo di calcolo retributivo (2% del reddito per ogni anno, quindi pensione dell’80% dopo 40 anni). Da quest’anno i versamenti di questi lavoratori saranno calcolati col meno vantaggioso metodo contributivo, che tiene conto invece di quanto effettivamente versato e della speranza di vita media al momento del pensionamento, come succede per tutti quelli che hanno cominciato a lavorare dopo il 1995. Il passaggio al contributivo per tutti è pro rata, riguarderà cioè la sola contribuzione versata dopo il 31 dicembre 2011. Una novità tutto sommato poco dolorosa, che incide in maniera modesta sul calcolo della pensione finale. Secondo le stime, la riduzione dell’assegno finale dovrebbe aggirarsi intorno ad un punto percentuale per ogni anno di contributivo. In linea di massima si può dire che tanto più è vicina la pensione e tanto più alto il reddito, meno si perderà. Il vantaggio del retributivo, infatti, si attenua man mano che sale la base pensionabile, visto che al di sopra del cosiddetto «tetto» (pari oggi a circa 44 e 200 mila euro), l’aliquota di rendimento del 2%, per ogni anno, si assottiglia sino a raggiungere l’1,10%, per la parte di base pensionabile eccedente i 73 mila euro. Anzianità più difficile. A partire dal 2012 per ottenere la pensione prima della vecchiaia occorrono 42 anni e un 1 mese per gli uomini e 41 anni e 1 mese per le donne, requisiti parametrati alle speranze di vita a partire dal 2013. Tali requisiti sono comunque aumentati di un ulteriore mese per l’anno 2013 e di un ulteriore mese a decorrere dall’anno 2014. Questo significa che nel 2013, ad esempio, anno in cui si comincerà a innalzare tutti i parametri anagrafici sulla base delle cosiddette speranze di vita, il minimo di contributi richiesto per l’anzianità sarà di 42 anni e 5 mesi. Ma non è finita qui. Al fine di disincentivare il pensionamento anticipato rispetto a quello di vecchiaia, è stata introdotta una misura di riduzione. Qualora, infatti, si chieda la pensione di anzianità prima dei 62 anni di età, l’assegno verrà corrisposto, per la quota retributiva, con una riduzione pari all’1% per ogni anno di anticipo (riduzione che sale al 2%, dal terzo anno in su). Sale l’età. L’equiparazione dell’età pensionabile delle donne con quella degli uomini era già stata decisa dal precedente governo. La riforma Fornero ha ora accelerato il cammino. Dal 1° gennaio 2012, infatti, l’età delle donne è bruscamente passata da 60 a 63 anni e mezzo e sarà ulteriormente elevata a 64 anni e 6 mesi nel 2014, a 65 anni e 6 mesi nel 2016 e a 66 a partire dal 2018. La salita dell’età c’è anche per gli uomini, i quali a partire dal 2012 potranno ottenere la vecchiaia solo dopo aver compiuto 66 anni. In pensione più tardi. Dal momento che si vive più a lungo, occorre andare in pensione più tardi. È questa la filosofia di base che ha ispirato la legge del 2010, con la quale è stato deciso che i requisiti anagrafici dovranno nel tempo fare riferimento all’incremento della speranza di vita. La manovra economica dell’estate scorsa ha anticipato al 2013 (doveva partire dal 2015) tale adeguamento, che avverrà con cadenza triennale (e con cadenza biennale dal 2019) in base ai dati forniti dall’Istat. A questo proposito, la riforma Monti stabilisce che qualora l’incremento dato dalle variazioni demografiche non dovessero arrivarci, a partire dal 2022 l’età del pensionamento (uomini e donne) non può comunque avvenire prima dei 67 anni di età.