ALESSANDRO DE NICOLA

“I salotti buoni in passato hanno tutelato bene l’esistente e consentito la sopravvivenza un po’ forzata dell’italianità di alcune aziende, impedendo la distruzione creatrice schumpeteriana”. La frase pronunciata da Mario Monti a Piazza Affari nella sua visita di una settimana fa è stata la più commentata dai giornali (che, grazie al colto understatement del professore, sembrano un po’ aver scalzato la TV come luogo del dibattito politico: i teatrini dei politici a Ballarò sembrano ormai puntate di “Villa Arzilla”). Naturalmente ad una battuta inserita in un discorso ben più articolato, magari con lo spirito di épater le bourgeois, va dato il giusto peso.
Tuttavia, che la frase di Monti abbia spaventato o meno i borghesi, non si può fare a meno di notare che essa è caduta in un momento di grande fibrillazione dei mercati finanziari nostrani e dell’opinione pubblica che li segue per la vicenda FondiariaSai, ancora in corso di svolgimento e che ha visto sorgere numerose polemiche. Polemiche relativamente al piano di salvataggio ideato da Mediobanca, accusato di essere poco rispettoso degli azionisti di minoranza.
Vediamo di capirci qualcosa, partendo dall’unico vero provvedimento che il governo tecnico ha assunto in proposito, contenuto nell’articolo 36 del decreto liberalizzazioni, che introduce l’incompatibilità di assunzione di cariche in imprese o società di gruppi concorrenti nei settori bancario, finanziario e assicurativo.
Con la nuova disposizione si vanno ad evitare situazioni di cumulo di ruoli in società seppur indirettamente concorrenti da cui possano derivare effettivi comportamenti collusivi. Il divieto riguarda i componenti dei consigli di amministrazione e dei consigli di gestione, anche quelli che non hanno funzioni esecutive, compresi gli amministratori indipendenti, nonché i componenti dei consigli di sorveglianza e dei collegi sindacali. Il divieto si applica anche ai “funzionari di vertice”, come il direttore generale, e può estendersi ai manager di primo livello con responsabilità strategiche. In altre parole, l’amministratore indipendente della banca XY non potrà più essere nominato sindaco dell’assicurazione controllata dalla banca concorrente WZ.
La misura si inserisce in un filone già inaugurato con il divieto di cumulo di cariche in società direttamente concorrenti (ad esempio due banche) basato sulla constatazione, elaborata nel diritto antitrust americano, che grazie ai cosiddetti interlocking directories (l’incrocio tra amministratori), le imprese non si fanno vera concorrenza ma tendono a colludere tra di loro. La constatazione assume ancor più importanza nella situazione italiana, dove gli incroci azionari che si diramano da Mediobanca, sebbene certamente non solo da essa, creano un intreccio di cointeressenze e potenziali conflitti di interesse quasi inestricabile.
Misura commendevole quindi. Sì certamente, però forse migliorabile. Prima di tutto il divieto di assumere incarichi non si estende all’acquisto di partecipazioni e perciò le società che hanno percentuali rilevanti in altre quotate continueranno ad indicare persone di loro fiducia. Se conflitto di interesse c’è, esso si annida al livello dei soci, non solo a quello dei dirigenti. Nel contesto anglosassone l’attenzione verso gli amministratori è giustificata dal fatto che, non avendo le società quotate in Borsa un azionista di riferimento, ma una miriade di soci, in prevalenza fondi, inattivi rispetto alla gestione di impresa, il potere risiede soprattutto nei consigli di amministrazione e nel senior management.
Inoltre, gli altri ordinamenti dei paesi sviluppati non contengono una norma così severa, il che potrebbe far pensare che l’enfasi che intende dargli il legislatore italiano potrebbe essere eccessiva.
Infine, se è vero che bisogna evitare i conflitti di interesse, è altrettanto vero che in un consiglio di amministrazione è utile avere anche personaggi che possano interloquire con il management forti della loro autorevolezza, ma anche della conoscenza del settore in cui si opera e dell’esperienza in realtà diverse. Facciamo un esempio: se nel cda di una banca tutti gli amministratori non esecutivi, compresi gli indipendenti, sono manager di società industriali, professori o avvocati, per quanto bravi e reputati siano, mancano della conoscenza attuale del mercato di riferimento e di esempi alternativi di governo societario tali da poter esercitare quella funzione di stimolo, controllo e suggerimento per la quale sono stati nominati (a meno che non si siano appena dimessi da un’altra banca, ma questa sarebbe l’eccezione che conferma la regola). Perciò, io non vedrei nulla di male a che gli amministratori indipendenti e ancor di più i sindaci potessero essere presenti — magari in un numero limitato — in consigli di società appartenenti a gruppi in concorrenza, ma non esse stesse in diretta competizione. Il codice civile, il Testo Unico della Finanza e i regolamenti Consob presidiano già in modo abbastanza pervasivo la problematica dei conflitti di interesse, dei gruppi di società e delle operazioni con parti correlate: non è necessario stringere troppi lacci.
In realtà, le incrostazioni dei salotti buoni si possono togliere con due rimedi molto semplici: trasparenza e competitività del mercato dei capitali. La prima è assicurata dalla normativa oggi in vigore che è per alcuni versi troppo pedante e rischia di trasformare la sovrabbondanza di protocolli ed informazioni richieste in nessuna informazione.
La seconda la si ottiene evitando di erigere barriere di alcun tipo all’ingresso di capitali anche stranieri (purché non loschi o contrari alla sicurezza nazionale) e riformando la legge sull’OPA. Il controllo del mercato è il miglior stimolo all’efficienza: una società mal gestita, controllata da ragnatele di azionisti interessati ad estrarre i benefici privati del controllo e da manager a loro asserviti, potrà rigenerarsi solo grazie all’arrivo ostile di chi pensa di poterla condurre meglio sfruttando le sue potenzialità. Anche la semplice minaccia che ciò accada può essere sufficiente. Case di vetro e scalate ostili: due ingredienti indissolubili della ricetta dell’efficienza.
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