Pagina a cura di Simona D’Alessio  

Una buona dose di «preoccupazione» aleggia fra gli iscritti agli enti di previdenza dei professionisti, questi ultimi chiamati a dover garantire una sostenibilità a 50 anni. Ma c’è anche «fiducia» nella bontà delle scelte delle casse, sebbene l’ipotesi di un aumento della contribuzione soggettiva rappresenti «un durissimo sacrificio che si abbatte in parallelo con un costante calo dei redditi».

Si esprimono così a IO Sette i sindacati e le associazioni di rappresentanza delle categorie che denunciano, come Salvo Garofalo presidente di Inarsind (architetti ed ingegneri liberi professionisti), il rischio che gli istituti vengano penalizzati dall’art. 24 del decreto «salva Italia» (legge 214/11), che «prevede due punti che possono compromettere seriamente l’intero sistema», ovvero l’obbligo di considerare a fronte della spesa per le prestazioni pensionistiche soltanto le entrate contributive, non anche il patrimonio, e l’aumento di 20 anni della soglia per assicurare di avere i conti in ordine, «arco temporale talmente grande, che anche l’Inps avrebbe problemi a gestire». Si tratta, dunque, di «forzature evidenti» da parte del governo che, si domanda l’organizzazione, nascondono forse l’intenzione, «già annunciata, di accorpare tutte le casse autonome in un’unica cassa all’interno dell’Inps?».
Qualora fosse questo lo scenario, Inarsind si oppone, affermando che «una manovra di questo segno sarebbe in contrasto con i principi di liberalizzazione «tanto sostenuti» dall’esecutivo. Aggiunge il presidente di Confprofessioni Gaetano Stella: «Il cambio del metodo di calcolo delle prestazioni (dal retributivo, o dal misto al contributivo, in caso gli enti non avessero saldi positivi, ndr) non deve esser ricondotto ad una sanzione, ma si tratta di uno dei passaggi per assicurare nel lungo periodo le pensioni».

Il meccanismo contributivo, basato sugli effettivi versamenti dei professionisti nel corso dell’attività, non è, tuttavia, per tutti uno spettro: «La nostra cassa si sta preparando alacremente per ottemperare agli obblighi di legge, e siamo fiduciosi perché veniamo costantemente informati, mi preme però evidenziare che è necessario passare al contributivo per conferire a tutti la sicurezza di poterla avere una pensione. È ormai innegabile che soltanto con tale sistema sia possibile offrire questa garanzia per l’avvenire», dichiara Francesco Longobardi, presidente dell’Ancl, il sindacato unitario dei consulenti del lavoro. Nei prossimi giorni, aggiunge, «ci sarà un nuovo vertice fra l’istituto di previdenza (Enpacl), il consiglio nazionale dell’ordine di categoria e la nostra associazione, perché c’è sì l’orientamento ad andare verso un incremento dell’aliquota soggettiva, e so non sarà facile per i colleghi farvi fronte in tempo di crisi economica, ma nulla è stato ancora deciso».

Ciò di cui Longobardi è sicuro è che «l’Enpacl non si farà trovare impreparato all’appuntamento con il governo».

I 27 mila iscritti all’Enpav (veterinari) avevano tirato un sospiro di sollievo «raggiungendo la sostenibilità a 30 anni, con un grande sforzo. Adesso occorre intervenire ancora» sostiene Carlo Scotti dell’Anmvi. A giugno, anticipa, «si prenderà una decisione sentiti gli attuari, la più probabile è far salire l’integrativo dal 2 al 4%», mentre «spero non si tocchi il soggettivo, perché molti giovani colleghi hanno redditi bassi».

I medici sono «consapevoli della situazione e spaventati al tempo stesso. Noi giudichiamo il provvedimento dell’esecutivo Monti sbagliato, e lo dico a prescindere dal fatto che possa essere approvato il regolamento che l’Enpam sta mettendo a punto», sostiene Giacomo Milillo, segretario generale della Fimmg (la Federazione dei medici di famiglia), che fa anche parte del cda della cassa. «All’orizzonte abbiamo un forte aumento dei contributi, una riduzione delle prestazioni in una misura che può andare dal 10 al 30% senza vantaggi per le prossime generazioni, e non ci viene neppure consentito di presentare saldi positivi a 50 anni utilizzando per intero i beni patrimoniali degli enti», va avanti, ricordando che i medici si trovano in una «stagione di lotta», che ha già visto la convocazione di alcuni scioperi. Fra gli stessi sindacati dei camici bianchi serpeggia, tuttavia, il malcontento e la divisione, poiché Salvo Calì, al vertice dello Smi, mette in risalto «la naturale inquietudine dei colleghi per la questione previdenziale», ma privilegia il dialogo e la trattativa, non appoggiando lo stato di agitazione. Finora, continua, «non abbiamo avuto comunicazioni ufficiali», anche se è facile immaginare un ritocco verso l’alto del soggettivo: «Penso si andrà al 21-22%», dall’attuale 15%. Secondo Calì, ad ogni modo, il tema è delicatissimo e «l’Enpam mostra limiti gestionali evidenti, mentre bisogna avere più trasparenza in favore degli iscritti».

Il Segretariato italiano giovani medici (Sigm) ha avuto «contatti informali» con l’istituto, e il presidente Walter Mazzucco si rammarica che «con un precariato dilagante, ora possa arrivare un’elevazione della contribuzione soggettiva». L’inquietudine cresce, perché «ogni atto che l’Enpam metterà in campo si ripercuoterà sulla componente giovanile. Ci sono medici che percepiscono pensioni d’oro, mentre soprattutto il lavoro autonomo è duramente colpito», denuncia.

Mal di pancia anche nell’avvocatura. Ester Perifano, segretario generale dell’Associazione nazionale forense, ricorda che «è di recente approvazione la riforma previdenziale, adesso l’ente dovrà chiarirci le sue intenzioni, ci sarà un incontro con rappresentanti del cda alla fine di febbraio» annuncia, convinta che «l’aliquota soggettiva inevitabilmente dovrà essere ritoccata, forse fino al 18%» (il regolamento varato nel 2009 ha stabilito un graduale passaggio dal 12 al 14%, ndr). I giovani avvocati dell’Aiga auspicano, infine, che la cassa forense «riesca a garantire l’equilibrio di bilancio e la stabilità gestionale per i prossimi 50 anni, senza alcun aumento dei contributi, o riduzione delle prestazioni» e, per bocca del presidente Dario Greco, precisano che «non ci soddisfa il passaggio al contributivo pro rata, perché in questa maniera il sistema andrebbe a regime solo dopo un lungo lasso di tempo, circa quarant’anni da oggi e, dunque, saranno esclusivamente le future generazioni a pagare il peso della crisi e delle pensioni erogate fino ad oggi» attraverso il ben più generoso meccanismo retributivo.

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