PAOLO POSSAMAI

Fino a una dozzina d’anni fa, nel vasto giardino antistante la sececentesca villa BonolloAnti in cui ha trovato casa Palladio Finanziaria campeggiava la scritta “Quo Vadis?”. Era il nome di un ristorante à la page, che la comunità degli affari nordestina frequentava assiduamente anche perché era a due passi dal casello autostradale di Vicenza Ovest. Palladio Finanziaria allo stesso modo è un luogo di incontro e di affari, non solo a scala nordestina. Oggi dichiara un asset value di 600 milioni di euro e asset under management superiore ai 2 miliardi. Ma chissà se il suo artefice Roberto Meneguzzo s’è mai posto il quesito esistenziale “quo vadis?”. Meneguzzo è a un tempo ambizioso, scaltro e cauto, di sicuro con l’operazione FonSai non si pone limiti e gioca a viso aperto una partita che chiama in causa tanti santuari della finanza nazionale. Partita che è stata a un passo dal portare a termine un paio di mesi fa, poi Mediobanca ha tirato il freno a mano e preso la via che porta a Unipol. E Meneguzzo con il suo alter ego Giorgio Drago – i due vestono entrambi i panni di amministratore delegato – se ne sono tornati a casa scornati e incazzati, convinti che a Unipol fosse fatto un mezzo regalo. Scornati ma nient’affatto domi.
Al fondo e ben prima di ogni altra implicazione attinente agli assetti del potere finanziario in Italia, Roberto Meneguzzo e Giorgio Drago sono convinti che l’ingresso in FonSai fosse e sia un’operazione di grande interesse economico. Ai loro occhi risanare un’azienda gestita con criteri familistici e trarne valore è missione dall’esito certo, senza considerare la moltiplicazione di opportunità di business implicita nelle relazioni di FonSai. Che poi nella manovra di Palladio su FonSai qualcuno vi possa vedere la “manina” delle Generali, sta nelle cose. Giovanni Perissinotto, amministratore delegato di Generali, nei giorni scorsi ha espresso un concetto lapidario: “La nostra estraneità rispetto a iniziative assunte da nostri singoli azionisti è ovvia e totale”. Tesi che non sarebbe bastata di sicuro a Cesare Geronzi, che da presidente di Generali aveva esplicitamente interpretato la relazione tra Palladio e la Compagnia del Leone come una modalità del management triestino per blindare se stesso. In effetti, Geronzi ce l’aveva con il doppio incrocio che chiama in causa Palladio e Finanziaria Internazionale, merchant bank venete entrambe socie di Generali e ai cui fondi di investimento il Leone ha dedicato milioni di euro a cappellate. Malevolenze di Geronzi, che tuttavia quand’era presidente di Generali aveva provato a attirare dalla propria parte Meneguzzo proponendogli nientemeno che di rilevare una quota attorno al 10% di Mediobanca. Niente male, per un uomo che il suo cursus honorum se l’è conquistato gradino a gradino.
Meneguzzo indossa il low profile come un abito sartoriale. E’ nato nel 1956 a Malo, proprio il paese vicentino che diede il titolo al celebre romanzo d’esordio di Luigi Meneghello (Libera nos a Malo). E lui di Malo si è liberato, in effetti, ricercando e trovando scenari professionali tutt’altro che provincialistici. Dopo che si è laureato a Ca’ Foscari in Economia e commercio, l’allora presidente di Commerciale italiana Francesco Cingano gli ha aperto le porte della filiale di New York per uno stage. Siamo nel 1981, e dopo aver seguito alcuni corsi di perfezionamento in varie università americane tra cui Berkeley, Meneguzzo torna a casa con un’idea in tasca: importa in Italia il leasing. Ma siccome non difetta di curiosità e di intraprendenza, dopo aver letto un libro sul leasing scritto da Roberto Ruozi, lo chiama al telefono per chiedergli lumi. E fonda Palladio Leasing, che nel 1989 vende a Mediobanca. La sua fortuna d’imprenditore inizia così, i suoi primi importanti capitali glieli mette in mano appunto Mediobanca. Da allora, con la nascita di Palladio Finanziaria, l’ex commercialista veste i panni del consulente di molte delle principali dinastie industriali venete (basti citare il riassetto azionario a casa Riello e a casa Tabacchi). Nota a margine: nel percorso del primo quarto di secolo sotto il nome di Palladio, è capitale la figura di Ruozi accanto a Meneguzzo. Una telefonata al mattino ha accompagnato finora le giornate dei due, e non solo perché l’ex rettore della Bocconi è socio di Sparta assieme al resto del management, ma per il carisma e le relazioni portate con sé in questa avventura da Ruozi. Sparta è la scatola che controlla Palladio. Sparta è saldamente nelle mani di Meneguzzo, sebbene lui sempre sostenga genericamente che la merchant bank vicentina appartiene al management.
Nel libro soci di Palladio entrano e escono varie banche, oggi ne sono rimaste tre. L’abilità di Meneguzzo è scritta anche in questo capitolo, posto che alle banche socie riesce sempre a far pagare importanti valori di avviamento. Venendo a oggi, Antonveneta è del tutto residuale (0,5%); Banco popolare ha ereditato la posizione del Banco di Lodi, joint che fu una idea di Ruozi, ma in sostanza se ne disinteressa sebbene in portafoglio abbia l’8,6%. Veneto Banca vale poi assai più del suo 9,8%, poiché è il vero finanziatore di gran parte delle operazioni fondamentali dell’itinerario di Palladio: a firmare pronta cassa l’assegno da 800 milioni per incrementare nel marzo scorso la posizione in Generali, per esempio, è stato l’amministratore delegato di Veneto Banca, Vincenzo Consoli. Di questi tempi, però, Meneguzzo sta discutendo con un altro istituto di credito, che potrebbe entrare e portare nuovi capitali. Potrebbe essere la banca popolare di Vicenza, ma non vi è conferma.
Il coamministratore delegato di Palladio è una sfinge in pubblico, ma un infaticabile tessitore di rapporti nelle segrete stanze, sia sul versante politico che nella comunità imprenditoriale e finanziaria. Con i buoni uffici di Maurizio Amenduni, erede della dinastia industriale dell’acciaio, per esempio, ha iniziato a frequentare 34 anni fa gli uffici di Generali. Ma sono noti i suoi buoni rapporti con Giulio Tremonti, nati in effetti con il commercialista Tremonti prima che con il ministro. E oggi potremmo citare, nella compagine di governo, la relazione con Corrado Passera e, tra i governatori di Regione, il veneto leghista Luca Zaia.
Meneguzzo è l’uomo delle strategie e delle relazioni. Il tandem con Drago funziona perché sono complementari. Il ciclista Drago pedala con Meneguzzo all’unisono, ma non vi è dubbio su chi tenga il manubrio. Drago è nato a Bergamo nel 1958, dove tuttora risiede. Dopo la laurea in Bocconi, ha passato una dozzina d’anni, dall’83, in Mediobanca, che lascia con i gradi di dirigente del Servizio partecipazioni e affari speciali. Se ne va da via Filodrammatici per seguire Cesare Romiti in Gemina e poi passa in Hdp. Anni in cui semina ovviamente tanti contatti, che possono sempre tornare buoni. Un mese fa, suppergiù, Drago ha trovato inatteso dall’altra parte del telefono un uomo di finanza che proprio lui, da dirigente di Mediobanca, aveva aiutato mentre stava preparando la tesi di laurea sull’investment Bank di Enrico Cuccia. L’allora giovane e brillante laurendo bocconiano si chiamava Matteo Arpe, ossia colui che con la sua Sator oggi affianca Palladio nella battaglia per FonSai (o forse, per traslato, per Mediobanca).
Del resto, da un pezzo Palladio ha smesso di ballare da sola e gioca invece a viso aperto con altri protagonisti del sistema finanziario. Da ultimo e per esempio, ricordiamo che con la InvestIndustrial dei Bonomi la merchant bank vicentina ha acquisito il controllo di Snai. Ma non può essere dimenticato che il veicolo Effeti, che detiene il 2,2 per cento di Generali, ha i doppi comandi e cioè risponde a Palladio e a Fondazione Crt (che vuol dire Fabrizio Palenzona). Tanta strada fatta, ma quo vadis?