Vuoi vedere che, per sottrarsi all’applicazione dell’art. 36 del decreto Salva-Itala convertito in legge, aumenteranno i casi in cui si dichiarerà che un soggetto bancario ne controlla un altro? La norma in questione vieta ai titolari di incarichi deliberativi e di controllo in imprese operanti nei mercati del credito, assicurativi e finanziari di assumere cariche analoghe in imprese e gruppi di imprese concorrenti, sempre che tra le prime e le seconde non ci siano rapporti di controllo e operino sui medesimi prodotti e aree geografiche. Naturalmente la dichiarazione, da verificare, sui rapporti anzidetti porrebbe ben altri problemi a chi volesse scegliere una tale strada, ammesso che ne esistano le basi. In tal caso si capovolgerebbe un atteggiamento tenuto per diversi anni, per esempio di fronte alle contestazioni dell’Antitrust, di negazione delle fattispecie del controllo. A ben vedere, sarebbe un venirsi a trovare, per coloro ai quali la norma è diretta e non vogliano immediatamente lasciare la posizione collidente, tra Scilla e Cariddi. A questa norma dovrà essere data attuazione entro il prossimo 25 aprile. Essa amplia la serie delle condizioni di sostanziale incompatibilità. Il suo tenore non è semplice. Per come è stata scritta si presta a interpretazioni riduttive o estensive. Sconta una configurazione non abbastanza chiara della nozione giuridico-economica della concorrenza, la cui attenuazione o elusione è in generale presupposto del divieto, che intende prevenire il fenomeno dell’interlocking. Si vedrà quali saranno gli effetti concreti sulla base degli indirizzi attuativi. Intanto, è facilmente immaginabile che fervano, su sollecitazione dei soggetti potenzialmente interessati, gli studi per dimostrare qualche incongruenza nel testo o, comunque, per sostenere una linea applicativa che cambi il meno possibile, pur senza arrivare, perché non ce ne sarebbero più le condizioni, al gattopardesco innovare perché nulla muti. Se lo scopo della disposizione, come si è accennato, è evitare le forme di collusione consentite dalla presenza in più organi societari, allora, considerati i problemi di cui soffrono in Italia la governance aziendale e i mercati, cioè gli intrecci azionari, le piramidi di controllo e le scatole cinesi – oltre alla proliferazione dei patti di sindacato – l’applicazione della norma non potrebbe essere restrittiva, né fondarsi, come emerge in qualche notizia di cronaca, sull’esistenza o no di una virgola. Argomento questo che ricorda molto da vicino il responso della Sibilla Cumana al soldato che stava per andare in guerra: la Sibilla poteva dire di avere sempre previsto puntualmente la sorte del milite, sia che fosse ritornato sia che fosse morto nella battaglia con il solo spostamento di una virgola. La virgola apposta dal legislatore dopo «mercati del credito» significa che banche, assicurazioni e finanza vanno considerati separatamente o unitariamente, si chiedono alcuni, ritenendo magari che la separazione sia più indolore. In effetti, anche dal punto di vista letterale non si potrebbe non optare per la tesi dell’unitarietà, sulla base di un concetto ampio della raccolta e dell’amministrazione del risparmio, con la conseguenza di una più ampia applicazione della norma, essendosi rotte le barriere esistenti un tempo tra i tre comparti dopo lo sviluppo delle attività finanziarie. Del resto, un primo, recentissimo e diffusamente noto caso di autoassoggettamento a un’interpretazione estensiva delle norma presuppone proprio, con la scelta compiuta, questo tipo di attuazione. Non ci si nasconde, tuttavia, che la dizione «medesimi mercati del prodotto» potrebbe avere un effetto opposto, se ci si limitasse a un’interpretazione meramente letterale. In definitiva, fatta la norma è ora opportuno impartire tempestivamente, sentite le competenti Autorità, le disposizioni applicative, considerato che la sanzione prevista per i soggetti che non abbiano provveduto a lasciare una delle posizioni in conflitto è la decadenza da entrambe le cariche. Non c’è dubbio che l’art. 36 rappresenti un’importante innovazione. Questa coglie, tuttavia, l’epifenomeno. Di qui bisogna passare ad affrontare direttamente la materia degli intrecci societari. Nell’intervenire su di essa e nel richiamare le caratteristiche sui generis del gracile capitalismo italiano, nonché della sostanziale assenza di investitori istituzionali, si è sempre pensato, anche scrivendone su queste colonne diverso tempo fa, che si trattava di una condizione in via di incerto, ma pur rilevabile, progressivo superamento. Tuttavia, passi consistenti finora non sono stati compiuti, mentre il problema degli intrecci risalta quotidianamente nelle cronache e nelle analisi degli osservatori. Qualcosa bisogna fare per rispondere alle esigenze effettive della concorrenza e del libero mercato. Certo, non si può essere così deterministi in questo campo da sbilanciarsi rispetto alla situazione di altri principali Paesi. Mario Monti ha ricordato spesso questa esigenza, quando ha parlato delle liberalizzazioni e del «dover fare di più», sollecitato da diverse parti. E tuttavia non si può neppure star fermi: l’ex presidente dell’Antitrust italiano, Antonio Catricalà, e soprattutto l’ex commissario alla concorrenza nell’Ue, Mario Monti, lo sanno meglio di tutti. Se ci si avvia per una certa strada, allora occorrerà nei tempi necessari proseguire nel percorso, sia pure senza dimenticare mai che, accanto alle esigenze anzidette riconducibili al tema della concorrenza, stanno le altre esigenze, non meno valide, della stabilità e della sana e prudente gestione, sulle quali la pronuncia spetta alla Banca d’Italia. Si è, comunque, aperto un campo di approfondimento, non liquidabile con le battute, come è purtroppo accaduto per altri comparti. O almeno così si spera. (riproduzione riservata)