Quella che era una paura è una notizia ormai ufficiale: l’Istat ha registrato per il quarto trimestre 2011 un calo del pil dello 0,7% rispetto ai tre mesi precedenti. È il secondo decremento consecutivo, ragion per cui tecnicamente l’Italia è da considerare in recessione. E in recessione è anche il profilo legato alla previdenza, a dire il vero poco evidenziato. Non va infatti dimenticato che il metodo di calcolo contributivo rivaluta annualmente il montante accantonato virtualmente (il sistema previdenziale italiano dal punto di vista finanziario è strutturato sulla ripartizione; i contributi versati servono cioè a pagare i trattamenti pensionistici) sulla base del pil degli ultimi cinque anni. Finora l’effetto recessivo si è calmierato nella media mobile pluriannuale, ma, se la depressione dovesse proseguire, l’effetto paracadute potrebbe non funzionare arrecando un impoverimento delle future pensioni. Quanto incide il calo del pil sul montante finale? Molto interessanti le stime attuariali presentate in un recente convegno di Assoprevidenza; considerando il profilo di un lavoratore entrato nel mondo del lavoro a 25 anni e pensionato a 65 anni con un reddito iniziale di 20.000 euro e finale di 45.000, con un pil medio dell’1,5% avrebbe avuto una pensione contributiva di 32.532 euro, atta a generare un tasso di sostituzione del 72%; se il pil medio fosse stato invece dell’1%, la pensione contributiva sarebbe stata di 29.621 euro con un tasso di sostituzione del 66%. Al di là del cancan mediatico sull’estensione epocale del metodo contributivo con il sistema pro rata dal 1° gennaio 2012 (quindi solo a partire dai contributi versati da quest’anno) per chi prima rientrava nel sistema retributivo, va invece evidenziato come l’effetto della recessione abbia un impatto soprattutto sui giovani lavoratori che dal lontano 1996 vedono la propria pensione determinata integralmente con il meccanismo contributivo. Se si considerano anche i frequenti periodi di stasi lavorativa (con conseguente vuoto contributivo) cui spesso sono costretti i giovani attualmente, il danno è sensibile. Bisogna ricordare che le linee guida della previdenza europea sono la sostenibilità dei sistemi pensionistici ma anche l’adeguatezza dei trattamenti erogati. Delle due l’una: o si riesce a far crescere il pil o si mettono in cantiere dei fattori correttivi sulla mancata rivalutazione del montante contributivo. A ciascuno la propria colpa: il macigno del debito pubblico, la flessibilità forzata, il lavoro che non colma la necessità di risparmiare per la previdenza integrativa. La mancata rivalutazione delle pensioni sarà l’ennesimo boccone avvelenato che le vecchie generazioni lasciano in eredità ai giovani. Qui l’equità tra generazioni, promessa dal governo, non torna. (riproduzione riservata) Carlo Giuro