DI MARIO D’ADAMO

Testo Controllare gli alberghi quando si è in gita Vita non facile per gli insegnanti che accompagnano gli alunni in gita scolastica, quelle poche che ancora si riescono a fare, con incarichi che forse vanno al di là dell’ordinaria capacità di valutare mezzi e strutture di cui si servono per la loro effettuazione. In particolare, quando si debba scegliere un albergo, non è sufficiente che sia aperto al più largo pubblico per escludere qualsiasi fattore di pericolosità, anche solo potenziale, che possa procurare danni anche gravi agli alunni. Il personale scolastico deve accertare l’assenza di elementi di pericolo sia in fase preliminare, quando sceglie la struttura che ospiterà gli alunni, sia al momento dell’ingresso, quando deve sistemarli nelle varie stanze. Se la valutazione è di totale inaffidabilità, gli accompagnatori devono rifiutarsi di alloggiarvi gli alunni e cercare soluzioni alternative immediate o, in caso estremo, rientrare anticipatamente. Se valutano che siano pochi gli ambienti nei quali abbiano riscontrato situazioni di pericolosità, devono pretendere la sistemazione degli alunni in locali che ne siano privi oppure impartire comprensibili istruzioni perché siano evitate. In caso di incidente e di lesione a un alunno, devono dimostrare che sono riconducibili «a una sequenza causale non evitabile e comunque imprevedibile, neppure mediante l’adozione di ogni misura idonea a scongiurare il pericolo di lesioni derivanti dall’uso delle strutture prescelte e tenuto conto delle loro oggettive caratteristiche». Così, a quattordici anni dall’incidente che nel 1998 aveva avuto per sfortunata protagonista un’alunna dell’istituto tecnico commerciale “Cecilia Deganutti” di Udine, caduta da un terrazzino al secondo piano di un albergo di Firenze dov’era in gita, la Corte di Cassazione annulla le sentenze dei due gradi di giudizio, rispettivamente, di Udine e, in sede di appello, di Trieste, che avevano esonerato da qualsiasi responsabilità scuola e struttura alberghiera. Una nuova sezione della Corte di appello di Trieste dovrà rivedere il processo sulla base dei principi di diritto enunciati dalla Cassazione e qui riassunti con riferimento ai doveri del personale scolastico (sentenza. 1769 depositata il 9 febbraio scorso). La notte tra il 16 e il 17 marzo 1998, l’alunna, che si è poi gravemente infortunata, aveva scavalcato il parapetto in muratura del suo balcone ed era passata su un terrazzino di copertura, che, privo di protezione, dava direttamente sul vuoto. Sul bordo una vera e propria insidia, una canaletta di scolo. Incespicandovi l’alunna è precipitata per una decina di metri. Non vi erano segnalazioni di pericolo, la zona non era illuminata, gli alunni non erano avvertiti dell’esistenza di questo potenziale pericolo. La struttura alberghiera doveva predisporre tutte le misure per renderne evidente l’esistenza e gli insegnanti avrebbero dovuto valutare che gli alunni potevano accedere senza difficoltà al terrazzino privo di protezione. Il punto è che l’alunna, anche se scavalcò tanto imprudentemente quanto volontariamente il muretto, poteva non conoscere il pericolo che il terrazzino nascondeva. Bisognerà accertare, dunque, ed è anche questo il compito affidato alla Corte d’appello di Trieste, quanta parte abbia avuto nella dinamica dell’incidente la sua consapevolezza. Ma ciò potrà solo ridurre le conseguenze della dichiarazione di responsabilità della scuola. Non potrà escluderle, se non vi sarà dimostrazione che sono stati eseguiti controlli e attuate le dovute contromisure. ©Riproduzione riservata