DI MICHELE ARNESE

Ai più, fino a qualche giorno fa, il nome di Palladio Finanziaria diceva poco o niente. Anche perché quella che gli addetti ai lavori avevano ribattezzato la silenziosa Mediobanca del Nord Est agiva in silenzio. Il pivot della banca d’affari, che con la Sator di Matteo Arpe punta sulla compagnia assicurativa Fonsai, ha il cuore a Vicenza e la mente a Milano. Si chiama Roberto Meneguzzo, ha 56 anni, è nato a Malo (Vicenza), si è laureato in Economia a Ca’ Foscari, si è specializzato a Berkeley e a Boston e ha mosso i primi passi nella fi – nanza a New York nella sede della Commerciale Italiana. Fu Francesco Cingano, allora a.d. di Unicredit, a consentire al neolaureato la prima esperienza americana. Ma l’obiettivo, nonostante il fascino degli Stati Uniti, era quello di tornare in Veneto esportando tecniche finanziarie come il leasing e il leverage apprese a New York, racconta sempre Meneguzzo. Appena tornato a Vicenza, infatti, il commercialista Meneguzzo nel 1980 fonda Palladio leasing, poi venduta a Mediobanca, e in seguito Palladio Finanziaria. Negli anni Palladio cambia fisionomia: da una struttura azionaria composta soltanto da famiglie passa a una in cui entrano istituti come Interbanca della Bna del conte Auletta Armenise, quindi la Popolare di Milano e la Banca popolare veneta. Fino all’assetto attuale, che vede tra gli azionisti Veneto Banca (9,8 per cento), Banco Popolare (8,6 per cento) ed Mps (0,5). Ma sull’asse con Sator su Fonsai, il Banco Popolare si è defi – lato ed è enigmatica la posizione di Veneto Banca. Comunque il controllo è appannaggio del management, a partire da Meneguzzo e da Giorgio Drago, bergamasco, classe 1958, con un passato di spicco in Mediobanca, proprio come Arpe, alleato in questi giorni di Palladio per contrastare indirettamente il progetto di Unicredit e Mediobanca di una Super Unipol frutto della fusione della galassia Ligresti a partire da Premafi n che controlla Fonsai. Da qui nasce l’irritazione dei vertici di Unicredit con l’a.d. Federico Ghizzoni e del vicepresidente Fabrizio Palenzona in particolare, e di Piazzetta Cuccia, a partire dall’a.d. Alberto Nagel. Quali reali mire ha la Mediobanca del Nord Est? Le ipotesi sono almeno tre. Prima ipotesi: puntare su Fonsai, mettendo le mani anche sulle partecipazioni nel cosiddetto salotto buono della fi nanza, come ad esempio Rcs. Seconda ipotesi: partire da Fonsai per candidarsi a diventare sempre più concorrente vero di Mediobanca nel capitalismo italiano. Terza ipotesi: (smentita dal ceo group di Generali, Giovanni Perissinotto) agire, con la benevolenza del Leone di Trieste, per contrastare soprattutto il progetto Super Unipol di cui di certo non gioisce le Generali, che vede peraltro i propri grandi azionisti diretti e indiretti come Mediobanca e Unicredit che salvaguardando i crediti che vantano nei confronti della famiglia Ligresti consentono alla compagnia delle cooperative guidata da Carlo Cimbri di inglobale la galassia assicurativa dei Ligresti. «Comunismo societario», è stato il giudizio di Luigi Zingales per criticare l’operazione architettata da Mediobanca. Critica di fatto condivisa anche dall’ex commissario Consob, Salvatore Bragantini, che ha stigmatizzato i capitani dello status quo, ovvero Piazzetta Cuccia e Piazzetta Cordusio. In casa Palladio tendono a ridimensionare scenari e soprattutto dietrologie: siamo semplicemente pronti a ricapitalizzare Fonsai, si sostiene. Sta di fatto che l’evoluzione silenziosa di Palladio è in atto da tempo, così come l’azione intreccia talvolta anche Generali. Un primo cambio di passo di quello che prima era il forziere delle ricche famiglie del Nordest matura tra l’altro con il riassetto societario della Riello nel ’99 e con la sistemazione della Safi lo. Nei cosiddetti salotti buoni della fi nanza arriva in punta di piedi e senza alcun intento strategico. Almeno così l’ha spiegato Meneguzzo ai suoi interlocutori anche nei giorni incandescenti in Generali quando si è giunti alle dimissioni del presidente Cesare Geronzi. Che c’entra Palladio? C’entra con il Leone dal 2006, quando gli Amenduni, Andrea De Vido ed Enrico Marchi della fi nanziaria Finint, Palladio Finanziaria e gli Zoppas, che avevano quote minoritarie del gruppo assicurativo, si chiedono: perché evitiamo sparpagliamenti e ci mettiamo insieme? Il risultato è stato la creazione del veicolo Ferak che ha coagulato l’1,6 per cento del Leone. La tempistica non è stata entusiasmante: da allora il titolo non ha particolarmente brillato. Ma la stima di Meneguzzo verso Perissinotto è intatta.