La grande crisi degli ultimi anni ha modificato le scelte sui sottostanti. L’obiettivo primario è la protezione dell’investimento, anche a costo di rinunciare a possibilità di rivalutazione del capitale. La stagione posttsunami finanziario globale è all’insegna della prudenza in ambito assicurativo. Anche se questo non influisce sulla preferenza verso i titoli di Stato italiano, che continuano a costituire il sottostante prevalente, a dispetto della bufera che si è abbattuta sulle emissioni sovrane del nostro paese nei mesi scorsi. «In linea generale l’Italia conserva un livello di scarsa penetrazione delle polizze vita rispetto alla media europea — spiega Silvano Lenoci, associate partner di Kpmg — anche se il rapporto tra riserve tecniche (da lavoro diretto) e prodotto interno lordo italiano è in costante crescita rispetto al periodo precrisi». Un gap che si restringe, quindi, ma senza annullarsi, sia per il ritardo storico del nostro paese sul fronte delle assicurazioni ramovita, sia perché nei mercati del Centro e del Nord Europa questi strumenti sono da tempo ampiamente utilizzati con finalità previdenziali.
Il progressivo avvicinamento dell’Italia al mercato europeo avviene all’impronta della prudenza nelle scelte di investimento: negli ultimi cinque anni la quota di premi per le polizze di ramo III (unit e index linked) è diminuita in media del 10,2%, tanto che le soluzioni tradizionali (soprattutto ramo I e ramo V) rappresentano ormai circa l’83% dei premi. «l crack Lehman Brothers ha agito da spartiacque — spiega Lenoci — Se nel 2007 il ramo III aveva raggiunto il 47,3% del mercato, da allora in poi abbiamo assistito a un declino dei prodotti più finanziari, a beneficio di quelli più orientati alla protezione dell’investimento». Una tendenza che, secondo l’esperto, è destinata a proseguire anche ora che le tensioni sembrano ridursi: «La seconda metà del 2011 ha visto una riscoperta delle sole polizze unit linked, i cui premi sono investiti prevalentemente in fondi comuni, che garantiscono quindi la diversificazione, ma senza un’eccessiva assunzione dei rischi». Nessun segnale di ripresa arriva, al contrario, dalle polizze index linked, più esposte sul fronte degli indici azionari.
Non ha, invece, ricevuto scossoni la scelta delle asset class. «I titoli di Stato continuano ad avere un peso dominante nella composizione delle gestioni separate — spiega Lenoci — con un’incidenza che verosimilmente oggi si aggira tra il 65 e il 70%». Dunque nessuna crisi di fiducia verso Bot e Btp, nemmeno nei mesi di maggiore sfiducia dei mercati verso la tenuta del debito pubblico della Penisola. «Su questo fronte l’industria ha saputo andare oltre le emozioni — conclude l’esperto — guardando ai fondamentali, che fanno dell’Italia ancora un paese solido. Molto più di altri che presentano un’incidenza del debito pubblico sul pil più contenuta rispetto a noi, ma sono caratterizzati da una forte esposizione del debito privato».