di Ignazio Marino  

Ai fini della «nuova» sostenibilità a 50 anni, le casse di previdenza o considerano il patrimonio o devono autoriformarsi. Altra strada non c’è. Giampaolo Crenca si occupa di bilanci attuariali per lavoro. Un anno fa è stato eletto alla presidenza del consiglio nazionale degli attuari.

Non un organismo di rappresentanza qualsiasi, ma quello che dà indicazioni al ministero del lavoro nel definire i parametri per la redazione dei bilanci attuariali (così come previsto dal comma 763 della Finanziaria 2007 che ha innalzato da 15 a 30 anni l’equilibrio di gestione). Solo che, almeno fino ad oggi, l’appello del Consiglio nazionale al governo di poter considerare nei bilanci degli enti anche il patrimonio è rimasto lettera morta. L’unica concessione da parte del ministro del lavoro Elsa Fornero è stata, semmai, di poter considerare gli interessi del patrimonio.

Domanda. Da attuario, ci può spiegare in concreto come gli enti di vecchia generazione, senza contemplare il patrimonio, possono conservare il metodo retributivo garantendo l’equilibrio di lungo periodo?

Risposta. Potrebbero riuscirci con un forte innalzamento del contributo a fronte di una aliquota di rendimento della pensione molto contenuta ed eventualmente un calcolo retributivo che consideri l’intera vita lavorativa, ma non ha tecnicamente alcun senso che tale equilibrio debba essere mantenuto senza l’essenziale apporto dei mezzi patrimoniali di cui le Casse sono dotate. Da qui il richiamo ad un bilancio tecnico attuariale completo redatto secondo le linee guida emanate dall’Ordine degli Attuari.

D. Facciamo un caso di scuola: se tutte le casse del dlgs 509/94 «avessero» la sostenibilità a 30 anni chiesta dalla Finanziaria 2007, quali interventi sarebbero necessari per arrivare all’equilibrio fra entrate contributive e spesa per prestazioni nei 50 anni? Che tipo di sacrifici dovranno sostenere i professionisti?

R. Poiché gli enti dlgs 509/1994 hanno accantonato patrimoni consistenti finalizzati alla copertura degli eventuali anni di saldo previdenziale negativo, tenere conto solo di tale saldo per valutare la stabilità non è corretto. La stabilità deve essere valutata considerando tutte le voci del bilancio tecnico attuariale sviluppato per 50 anni; prolungare l’orizzonte temporale della proiezione rende comunque più difficile l’individuazione delle relative ipotesi.

Relativamente ai «sacrifici», in termini di bilancio tecnico attuariale occorre, in un sistema di calcolo retributivo, aumentare i contributi o diminuire le prestazioni.

D. Viste le incertezze economiche del momento, quale affidabilità avrebbe oggi uno studio attuariale a 50 anni?

R. Come ogni valutazione demografico-finanziaria a carattere previsionale, anche i bilanci tecnici sono soggetti ad un alto tasso di aleatorietà, specialmente se si estende il periodo di valutazione a cinquanta anni, ma ciò non fa perdere loro il valore di una ragionevole stima. In tal caso è fondamentale formulare ipotesi di medio/lungo termine coerenti con gli scenari demografici, finanziari ed economici non condizionate dalla situazione «contingente»

D. Quanto conta, a livello attuariale, il fatto che negli ultimi 10 anni il numero degli iscritti agli albi sia raddoppiato?

R. Negli attuali sistemi di finanziamento delle Casse l’incremento del numero degli iscritti attivi comporta in via generale un miglioramento dell’equilibrio tecnico principalmente perché ci saranno nel breve periodo più entrate contributive che rappresentano una delle componenti fondamentali del bilancio tecnico; è necessario prevedere per queste generazioni prestazioni che siano attuarialmente in equilibrio con i contributi versati.

D. Considerando quindi il fatto che il numero degli iscritti agli albi è destinato a crescere, contrariamente ai redditi dei professionisti che invece hanno conosciuto negli ultimi anni una pesante erosione, non sarebbe quindi meglio passare direttamente al contributivo in modo da salvaguardare i conti?

R. Ammesso che per il medio lungo termine sia prevedibile una diminuzione del reddito medio professionale, ciò di per se non induce a ritenere che sia da preferire per il futuro il sistema contributivo. Quest’ultimo peraltro è una opzione che alcune Casse già praticano anche dall’inizio (si pensi ad esempio all’Epap, l’unico Ente pluricategoriale cui aderiscono anche gli Attuari) ma per chi non lo applica o lo applica parzialmente una eventuale decisione in tal senso non deve essere preconcetta, ma il frutto di una attenta e corretta valutazione prospettica svolta attraverso lo sviluppo del bilancio tecnico ed adeguati processi simulativi

D. Infine, con l’eventuale passaggio al sistema contributivo le casse di vecchia generazione riuscirebbero a migliorare le cose per il futuro. Mentre per il passato c’è da fare i conti con il debito latente insito dei sistemi a ripartizione. Come se ne esce? Servirebbe un contributo di solidarietà che però oggi è considerato dalla Cassazione illegittimo?

R. Il passaggio al sistema contributivo pro rata, a certe condizioni, può stabilizzare la gestione tecnico finanziaria per le anzianità ancora da maturare e per le future generazioni di iscritti ma, oltre a comportare in genere una diminuzione delle prestazioni, lascia interamente scoperto l’eventuale deficit pregresso. La soluzione a tale non facile problema deve essere ricercata Cassa per Cassa con specifici provvedimenti di risanamento