Immaginare di progettare la stabilità di un fondo pensione senza conteggiare i rendimenti significa togliere una gamba a una persona che vuole camminare. Questa è l’immagine effi cace che emerge dall’analisi compiuta dal professor Alessandro Trudda, esperto di sistemi pensionistici, sui rischi della previdenza privata alla luce della riforma Monti-Fornero. Quel testo di legge sancisce, infatti, che il mondo del Welfare subirà nel 2012 due rivoluzioni. Prima di tutto, il sistema pubblico deve passare interamente al sistema contributivo, cioè le pensioni da oggi saranno calcolate con il metodo «tanto versi, tanto prendi». In secondo luogo, anche il sistema privato è caldamente invitato a compiere lo stesso passo, attraverso una valutazione sulla stabilità dei bilanci. In quale modo? Il ministro Fornero, in quel decreto di riforma approvato a dicembre 2011, stabilisce che siano obbligate ad applicare il sistema contributivo tutti quelle gestioni che non attestano di riuscire a rispettare le promesse pensionistiche da oggi fi no a 50 anni. Tutte le Casse di vecchia generazione, dagli avvocati agli architetti, dai geometri ai notai per fare alcuni esempi, dovranno sostanzialmente adeguarsi al metodo contributivo. Attenzione, però, a non buttare via il bambino insieme all’acqua sporca, sottolinea Trudda. Nessun fondo pensione, come nessun ente di previdenza a tutela di una categoria professionale, una volta passato al sistema contributivo sarà in grado di avere bilanci a posto da qui a 50 anni se non potrà conteggiare i rendimenti tra gli elementi che compongono la sua ricchezza. In quella riforma Monti-Fornero esiste, invece, la condizione di stabilire la sostenibilità solo in base ai fl ussi di cassa: contributi in entrata e pensioni in uscita. Trudda mostra bene invece, numeri alla mano, che in ambito di Casse di previdenza professionali quest’elemento potrebbe portare criticità per qualsiasi gestione in caso di calo importante d iscritti, a priori del sistema di calcolo pensionistico adottato. Dunque, invito a modifi care il testo di legge e conteggiare assolutamente le rendite dei patrimoni (case e titoli fi nanziari) con cui l’ente di previdenza garantisce la rivalutazione dei risparmi degli iscritti. Proprio perché il sistema pensionistico è fortemente legato all’instabilità del mercato del lavoro della libera attività, i rendimenti servono proprio da fondamentale gamba di appoggio per avere i conti a posto e garantire pensioni ad anziani e giovani. Anzi, probabilmente, propone Trudda, bisogna attivare una serie di ammortizzatori che possano assorbire i fl ussi irregolari di iscritti in entrata. Quali? Ad esempio, un fondo di solidarietà intercategoriale, in modo che le Casse progettino di equilibrare le proprie criticità dandosi una mano l’una con l’altra. Ma, più radicalmente, basterebbe restituire ad ogni Ente di previdenza quanto sottratto dalla doppia tassazione applicata sui contributi degli iscritti. Com’è noto, conclude Trudda, ogni euro risparmiato da un libero professionista viene tassato prima quando il suo investimento produce una rendita e è poi quando viene restituito al legittimo proprietario sotto forma di pensione. Lo Stato guadagna il doppio, insomma, e tutti sono d’accordo a sostenere che sia iniquo. Basterebbe creare un fondo di contenimento delle criticità fi nanziato con una progressiva riduzione della doppia tassazione. Di quanto? Lo 0,33% all’anno per 25 annualità. Una proposta concreta e a fi n di bene: perché ai liberi professionisti sia garantito il loro diritto pensionistico come a tutti i liberi cittadini.