MASSIMO GIANNINI

L’Opa è morta, il mercato è morto, e anche noi non ci sentiamo molto bene. È un po’ abusata, ma la citazione di Woody Allen, variamente e debitamente parafrasata, funziona sempre a meraviglia. In attesa delle lunghe e pensose decisioni della Consob sui casi EdfEdison e UnipolFonsai, qui oggi si celebra il funerale dell’Offerta Pubblica di Acquisto. Per molti anni, tra la fine degli Ottanta e l’inizio dei Novanta, questo strumento ha rappresentato il simbolo della modernizzazione della Borsa. Il grimaldello irrinunciabile per aprire le cassaforti blindate del vecchio sistema capitalistico. La consacrazione della contendibilità come valore decisivo e positivo. Il fattore di sblocco per superare violare il tabù dell’inamovibilità dei manager. La chiusura definitiva del Parco Buoi, e l’esaltazione della difesa dei diritti dei piccoli azionisti.
Oggi tutto è cambiato. Gli addetti ai lavori (industriali e finanzieri, politici e regolatori) si riempiono la bocca con il «libero mercato». Ma di scalate degne di questo nome non si parla praticamente più. Nell’asfittica piazzetta degli affari italiani, l’Offerta Pubblica è solo un ricordo del passato. Ce lo ricorda, meritoriamente, «Finanza & Mercati». Tra l’anno scorso e quest’anno, l’unica vera Opa che ha messo in campo denaro vero per gli azionisti è stata quella dei francesi di Lactalis su Parmalat. Per il resto, abbiamo visto solo una manciata di Opa obbligatorie (Lvmh su Bulgari, Global Games su Snai e Di BenedettoUnicredit su As Roma), uno sparuto drappello di Offerte Pubbliche finalizzate al delisting dei titoli (Fastweb, Iwbank, Erg Renew, Granitifiandre e ora anche Benetton) e infine un bel po’ di richieste di esenzione, alcune accolte (banche creditrici su Risanamento e Mediaset su Dmt), altre rifiutate (Groupama su Premafin e Ilm su Le Buone Società).
Ogni scusa è buona per tenersi alla larga dal mercato, non sganciare i soldi e non remunerare gli azionisti. Basta che l’offerente azzardi l’ipotesi del salvataggio (e quale azienda, con questi chiari di luna, non è «da salvare»?) e le Vigilanze sempre troppo indulgenti esentano. Oppure, basta liquidare il socio di un patto di sindacato e acquisire il ruolo di «azionista di riferimento», e addio Opa. O infine basta mettersi d’accordo con un buon fondo di private equity, e in Borsa non ci si affaccia nemmeno. Così si uccidono non solo i cavalli, ma anche i mercati azionari. Sappiamo bene che il presidente del Consiglio e ministro del Tesoro Mario Monti ha al momento altre priorità. Ma anche su questo versante qualche riflessione andrà pur fatta. La legge istitutiva dell’Opa è del ’92. Da allora è stata variamente rimaneggiata. Forse è il caso di pensare a una riforma organica. Avanti così, e ci toccherà rimpiangere i tempi dell’Opa Selvaggia, dai capitani coraggiosi su Telecom ai furbetti del quartierino su Bnl.
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