di Andrea Fiano da New York

La strada delle class action contro la Costa negli Usa potrebbe non avere successo. Lo sostiene Bruno Cilio, un avvocato italiano che guida a New York lo studio legale internazionale Cilio & Partners. Il quale ricorda come nel caso di crociere «come la Costa Concordia, che non toccano in alcun modo le coste e i mari statunitensi, le clausole del biglietto di viaggio specificano in modo chiaro e inequivocabile che eventuali cause legali devono essere presentate presso il Tribunale di Genova, dove hanno sede gran parte delle attività della società». Lo stesso Cilio cita un precedente dello scorso agosto, quando una donna californiana fece causa a Fort Lauderdale in Florida nei confronti di una compagnia di crociere dopo essersi rotta una gamba a bordo della nave. In quel caso la nave era partita da Tahiti e il foro competente, secondo il biglietto di viaggio, era quello di Parigi. Per questo la denuncia negli Usa è stata respinta. E ciò smentirebbe la tesi di alcuni legali americani che puntano sul riconoscimento della giurisdizione di Miami per class action nei confronti della Costa Crociere e della Carnival Cruises che controlla il gruppo. Cilio è convinto che il rischio sia quello che alcuni passeggeri della Concordia arrivino a credere che «la strada giusta» sia quella di perseguire una class action negli Usa mettendo in secondo piano o addirittura rifiutando accordi concreti che porterebbero a un risarcimento immediato. L’avvocato newyorkese si spinge oltre e segnala altri due rischi insiti nella scelta di lanciare class action contro la Costa negli Usa. Il primo è legato al fatto che resta aperta, in caso di contestazione degli accordi raggiunti, la strada di ricorrere al foro di Genova, mentre «optando per un’azione legale in Florida questa scelta impedirebbe una contestuale azione legale in Italia e quindi, se risultasse non efficace, produrrebbe un ulteriore danno per i passeggeri a causa del tempo e delle risorse perse». A questo si aggiunge che, secondo Cilio, ricorrere a una sede lontana dai fatti, quando tutte «le prove testimoniali e i documenti rilevanti sono in Italia», renderebbe molto più lunga e costosa la causa e «alla fine le spese vengono pagate dai clienti degli studi». Con l’aggiunta non secondaria che anche il giudice americano potrebbe respingere un’eventuale richiesta di class action proprio per effetto del «forum non conveniens», in considerazione del Paese e della città dove è stata presentata. (riproduzione riservata)