DALL’ESTERO

Autore: Filippo De Bellis
ASSINEWS 371 – Febbraio 2025

La realtà che va oltre la trama di un film

Cosa accomuna un film del 1997, tratto da un legal thriller di John Grisham, con l’omicidio di Manhattan a New York del Ceo della UnitedHealthCare, colosso delle assicurazioni sanitarie americane? La realtà è tale da superare la trama del film?

 

Il fatto

Il 4 dicembre scorso, alle 6,45 a Manhattan, New York, Brian Thompson, CEO della UnitedHealthCare, viene ucciso da colpi di pistola alle spalle sul marciapiedi dinanzi l’Hotel Hilton, un vero e proprio “attacco mirato”.

Sui bossoli trovati vengono trovate, scritte a penna, le parole “deny – negare”, “defend – difendere” e “depose – deporre”.

È subito emerso che due di esse, deny e defend, richiamassero una formula di tre parole (la terza è “delay – ritardare”) ben nota, e non certamente in positivo, nell’ambito delle assicurazioni salute americane, nonché titolo di un famoso libro inchiesta del 2010 del prof. Feinman (Deny Delay Defend), sulle strategie delle compagnie assicurative per ridurre i pagamenti degli indennizzi previsti dalle polizze, strategie così impostate: ritardare i pagamenti, negare i rimborsi anche quando dovuti e infine difendere queste decisioni con lunghe battaglie legali che le compagnie – a differenza degli assicurati, specie se malati – possono sempre permettersi.

Viene arrestato Luigi Mangione, italoamericano di benestante famiglia originaria del Maryland, laureato e appassionato di tecnologia con ideali di giustizia sociale, vicino alle tesi di “unabomber”, allo stato dichiaratosi in udienza non colpevole.

Il caso accende l’attenzione dell’opinione pubblica sul malcontento che da anni investe alcune discutibili pratiche di gestione dei rimborsi delle spese di cura da parte dei colossi assicurativi salute Usa, e Mangione passa da sospetto assassino ad eroe.

Ne scaturisce un ampio dibattito sulla stampa americana e sui social sulle motivazioni dell’omicidio, non affatto condannato da larga parte dell’opinione pubblica, e addirittura celebrato quale ribellione scaturita dalla forte rabbia degli assicurati sulle pratiche “oppressive” di gestione dei rimborsi assicurativi sanitari (editoriale di Zeynep Tufekci sul NY Times): ne esce un quadro di un omicidio frutto di una nuova violenza politico/sociale verso il settore assicurativo, reo di anteporre, con strategie non lecite di no payment, il profitto all’etica e alla correttezza tecnica.

 

Il film

Nel 1997 usciva nelle sale americane il film “L’uomo della pioggia” di Francis Ford Coppola, tratto dall’omonimo romanzo di John Grisham, maestro di gialli a sfondo giudiziario, il quale nei propri lavori sembra riuscire ad anticipare futuri, e non sempre positivi, risvolti della società americana, facendo emergere i crudi tratti della stessa, incentrati sullo strapotere del denaro e dei colossi assicurativi alla ricerca del profitto a tutti i costi, incuranti di aspetti umani, di giustizia sociale e financo di previsioni di polizze: un giovane ed alle prime armi avvocato di Memphis intraprende una causa contro un colosso delle assicurazioni sanitarie che rifiuta ripetutamente di garantire e far fronte al costoso programma di spese sanitarie per un giovane malato di leucemia, cure ritenute invece necessarie dai medici per salvargli la vita. Tutto inutile perché nel corso del processo il giovane malato morirà.

Sono passati quasi 40 anni, ma il tema, alla base del romanzo e magistralmente trasfuso nel film, dello strapotere delle compagnie americane che appaiono incuranti dei diritti dei clienti, specie non abbienti, nel campo della salute e di tutti i danni diretti, appare alla luce della realtà odierna ancora più attuale e ricorrente.

E poiché spesso in America si anticipano trasformazioni del costume e della società che poi si espandono in tutto il mondo, specie occidentale, in Italia, con la recente forte spinta alla privatizzazione della gestione del rischio in campi prima riservati al settore pubblico, come catastrofi naturali per i cambiamenti climatici e, appunto, sanità, che il sistema pubblico non riesce più a gestire in modo efficace ed efficiente per problemi organizzativi e perché non ha più le risorse necessarie, si può essere indotti a temere che certe anomalie possano presentarsi in futuro anche da noi.

 

Come viene gestita la sanità privata negli Stati Uniti

Negli Stati Uniti le polizze di assicurazione coprono il 92% circa della popolazione, un terzo con polizze stipulate in ambito pubblico a prezzi calmierati per ultra 65enni, disabili e persone a basso reddito, e due terzi con polizze private che coprono oltre 160 milioni di cittadini, mentre la restante parte della popolazione non gode di alcuna copertura, soprattutto giovani e immigrati, mentre solo le cure d’urgenza sono garantite a tutti ed in coda a chi è assicurato. È quindi evidente come il comparto salute e l’accesso ai relativi servizi sia praticamente tutto riservato a chi può pagare le cure out-of-poket o a chi è assicurato e le assicurazioni private sono divenute il vero e proprio perno della sanità, anche nel limitato settore pubblico.

I costi della salute in USA sono elevatissimi e, se affrontati in proprio, quasi inaccessibili per buona parte dei cittadini:

  • un pacemaker costa all’incirca 50.000 dollari,
  • un parto cesareo 26.000 e più,
  • un intervento al fegato oltre 100.000,
  • un semplice trasporto in ambulanza in ambito cittadino più di 1.000.

L’accesso al sostegno pubblico è limitato a fasce ristrette della popolazione per cui l’accesso alle cure mediche, per la stragrande maggioranza di chi le utilizza, avviene a pagamento in proprio o tramite coperture assicurative private con polizze contratte dai cittadini e scelte su un sito governativo, o, molto più spesso, a mezzo convenzioni pagate e gestite da fondi a carico del datore di lavoro, sostanzialmente benefit facenti parte della retribuzione.

I costi delle coperture sono molto alti ed in linea con i costi della sanità, con ovvie variazioni in base a età, persone assicurate e loro condizioni di salute ed in base allo stato di residenza:

  • una polizza privata costa in media di $ 500 al mese, da un minimo $400 a ben oltre $1.000
  • una copertura collettiva in convenzione costa mediamente alle aziende $9.000 circa annui, cui il lavoratore partecipa con il 15% c.a. che copre anche il resto della famiglia, con una spesa mensile media di $100/120.

A parte i costi dei premi assicurativi vi è poi la quota di quelle che noi definiremmo franchigie fisse (deductible) o scoperti in percentuale su tutte (coinsurance) o su alcune in particolare (copayments).

Chi non se lo può permettere o rinuncia alle cure e alla prevenzione o si indebita: il c.d debito sanitario delle famiglie interessa 100.000 milioni di americani e spesso risulta difficile da estinguere.

Ma, come visto, l’accusa principale alle compagnie assicuratrici USA, oltre ad un importante aumento dei premi, è quella di ampie storture gestionali al fine di massimizzare i profitti con un forte numero di rifiuti per pagamenti e rimborsi, storture amplificate utilizzando peraltro un programma di AI: la percentuale dei rifiuti, secondo una ricercaindagine di ProPublica, organizzazione statunitense non a scopo di lucro vincitrice di premi Pulitzer e che si occupa di giornalismo investigativo di interesse pubblico, si aggirerebbe intorno al 15%, uno ogni sette.

Si procede quindi subito a rifiutare certe cure o la loro durata o i loro pagamenti e rimborsi, resistendo alle azioni dei clienti, in modo tale che conseguirli  diventi una faccenda talmente lunga e complessa e che l’eventuale causa così sarebbe costosa e con esiti incerti a tal punto che i malati decidono a priori di rinunciare a curarsi.

Dopo l’omicidio Thompson sui social sono comparse diverse esperienze negative degli americani con i big assicurativi salute, in particolare proprio con UnitedHealthCare, che peraltro gestisce un terzo degli iscritti al programma Medicare Avantage, sostenuto dal governo con premi agevolati, condivisioni che rafforzano nell’opinione pubblica la convinzione che il movente che ha armato la mano dell’omicida sia evidentemente legato alla politica di:

  • ritardare i pagamenti (delay),
  • negarli quando possibile (deny),
  • affrontare cause legali per difendersi dalle denunce dei clienti (defend).

Negli USA non esistono dati certificati o ufficiali delle aziende sui rifiuti di rimborso, ma una indagine indipendente della ValuePenguin stima, in base ad indagini su grandi numeri, in oltre il 30% il tasso di reiezioni della UnitedHealthCare, il più alto delle compagnie salute Usa: tenuto conto che ha quasi 53 milioni di assicurati, il dato, ove confermato, sarebbe davvero sconcertante. Anche per i rimborsi su polizze del programma pubblico Medicare Advantage per gli anziani la società utilizza la stessa strategia attraverso il programma nH Predict sviluppato dall’azienda NaviHealt, appartenente alla stessa compagnia, basato su algoritmi e modelli predittivi affetti da un incredibile tasso del 90% di erronee indicazioni, il che avrebbero lasciato molti assicurati senza quelle cure ritenute invece necessarie dai medici, ed avrebbe in sostanza innalzato la relativa percentuale di reiezioni dall’11% circa del 2020 a quasi il 23% nel 2022, secondo i dati forniti dall’apposita commissione di inchiesta del Senato (fonte Corriere della Sera).

Un’azione giudiziaria nello stato del Minnesota contro UnitedHealthCare per rifiuto di cure mediche a due malati nasce nel 2023 e si ipotizza una class action su 21 diversi Stati con l’accusa che il modello di AI utilizzato dalla compagnia taglierebbe fraudolentemente fino all’80% i tempi di cura post ricovero concessi dai medici curanti.

Da un punto di vista etico affidare alla AI la gestione della salute non al fine di migliorare l’efficienza, bensì, con l’ausilio di sistemi predittivi e di apprendimento automatico standardizzati e scarsamente  trasparenti e plausibilmente affetti da errori sistematici di base o forse addirittura preimpostati, solo ed unicamente al fine del risparmio da raggiungere ed in forte contrasto con le indicazioni mediche sul singolo caso, finisce per mettere la salute stessa degli assicurati, specie gli anziani più deboli e bisognosi di cure, a forte rischio addirittura di sopravvivenza. Una posizione di forza, quindi, dello strapotere della enorme massa di denaro gestito dalle società di assicurazioni, potere smisurato non solo economico, ma che espande i suoi effetti anche a livello politico e di lobby.

Tutto ciò però non deve far passare in secondo piano gli aspetti positivi di un sistema basato sul “chi più ha, più paga e più ottiene”: accessi rapidi alle cure del pronto soccorso e servizi sanitari di eccellenza per qualità delle cure, interventistica e soprattutto per ricerca, aspetti per i quali il sistema americano è all’apice mondiale.

 

Il comparto salute in Italia

La situazione italiana è molto diversa e nemmeno lontanamente paragonabile a quella americana. Il nostro sistema è basato sull’ideale universalismo dell’accesso alla sanità, ma mantenerlo è divenuto difficoltoso a causa:

  1. di crescenti problemi di salute, patologie croniche che abbisognano di sempre maggiore assistenza, problemi di autosufficienza, forte spesa pensionistica e una quota minore della popolazione in lavoro attivo
  2. della dilatazione dei tempi di erogazione dei servizi per problematiche organizzative e di sovraprescrizione di esami che generano lunghe liste d’attesa, con la conseguenza che i servizi essenziali finiscono da un lato per essere in parte pagati in proprio dalle famiglie, con l’esborso di notevoli risorse non alla portata di tutti, mentre dall’altro i meno abbienti rinunciano alle cure tanto che la propria salute e una maggiore probabilità di sopravvivenza può essere direttamente inficiata, cosa che come abbiamo visto già accade negli Usa.

Il nostro SSN è finanziato, già da molti anni e con governi di varia tipologia politica, in modo insufficiente e con percentuali tra le ultime in Europa, non superando oggi il 6,3% del Pil, a fronte del 10-11% degli altri maggiori paesi europei.

Si stima che per avvicinarsi allo stesso livello dei paesi europei più avanzati sarebbe necessario destinare alla sanità pubblica almeno altri 40 miliardi, cifra oggettivamente impossibile da trovare (dati 2024 Osservatorio OASI pubblicati da SDA Bocconi). Il nostro SSN nasce e vorrebbe proporsi ancora per il futuro come universalistico, ma in realtà non riesce a farvi più fronte: nemmeno quello privato tuttavia sembra ancora in grado di fare il balzo e decollare ponendosi come valida alternativa alle mancanze del primo, almeno per chi può permettersi il costo di una polizza salute, atteso che la spesa privata assorbe il 26% (e 2,2% del Pil) della spesa sanitaria totale, ma che in realtà è significativamente superiore a causa delle spese “in nero” e delle schiere di badanti non registrate.

La spesa sanitaria complessiva italiana nel 2023 è stata pari a circa 176 mld di euro, di cui 133 coperti dalla finanza pubblica, + 2% sul 2022, e il resto pagati dai cittadini di tasca propria, +7%. A fronte di un totale di 46 miliardi circa di spesa privata, oltre 40,6 sono di spesa out-of-poket, per il 47% riguarda visite e interventi, il 24% farmaci e dispositivi medici, il 7% i ticket ed il restante 22% altre voci, con una media di circa 731 euro pro-capite (di cui 54 per ticket), mentre solo 5,2 miliardi sono stati pagati in gran parte da assicurazioni su polizze e, in minor parte, da istituzioni senza scopo di lucro e imprese.

Dal Bollettino Salute Ivass per il 2022 (l’ultimo disponibile) risulta una spesa sanitaria complessiva in Italia di 171,9 miliardi di euro, con la spesa pubblica che assorbe il 75,9%, del totale, 6,8% del PIL vs il 7,1% del 2021.

Segue la spesa out-of-pocket, al 21,4% del totale e pari all’1,9% del PIL, vs il 2,1% del 2021, mentre la spesa intermediata, pagata da fondi sanitari e imprese di assicurazione ramo malattia, è pari al 2,7% della spesa totale sanitaria, corrispondente allo 0,3% del PIL.

La raccolta premi nel ramo malattia (Fonte ANIA Trend ottobre 2024) per polizze individuali e collettive, è stata nel 2023 di € 4,2 mld, +12,9% rispetto al 2022, dato confermato dall’Ivass al terzo trimestre 2023, ove presentava un aumento del+12,7%.

La garanzia rimborso spese mediche rappresenta oltre il 78% dei premi, la garanzia diaria il 7,6% ed infine la garanzia IPM. Rimane purtroppo molto contenuta ancora, pari allo 0,7% del totale, la raccolta premi della garazia long term care, percentuale che risulta assolutamente insufficiente in un paese con una popolazione anziana come la nostra e con tanti malati cronici.

Nel ramo malattia è predominante la presenza di polizze collettive, il 66% della raccolta nel 2023 vs il 34% delle individuali.

Le polizze malattia risulterebbero quindi sulla carta avere una certa diffusione, con un italiano su tre assicurato con una polizza individuale o collettiva, laddove le collettive coprono 15 dei 20 milioni di assicurati e sono polizze stipulate per lo più dai datori di lavoro in base ad accordi di categoria, soprattutto per mezzo dei fondi sanitari o altre tipologie di polizze collettive.

In Italia le prime cinque compagnie del mercato raccolgono il 61% dei premi e i primi cinque gruppi ben l’83,2%, una concentrazione che però, allo stato, non sembrerebbe avere influssi negativi su concorrenza e tariffe.

Tornando al confronto con gli USA, grande differenza emerge per il premio medio annuo pagato per assicurato, che in Italia è davvero modesto e inferiore a € 200 (171 euro nel 2022).

Per finire, dati positivi per le compagnie riguardo i sinistri: frequenza 2022 del 50,3%, in lieve aumento sul 2021, e costo medio dei sinistri indennizzati 2022 di € 258 euro (+3,2% rispetto al 2021); migliorano sostanzialmente sia il loss ratio che il combined ratio rispetto al 2021, passando rispettivamente dall’81,8% al 70,6% e dal 104,2% al 93,3%, e il risultato del conto tecnico, al netto della riassicurazione, con + € 112 milioni di euro, ritorna positivo dopo la perdita di 188 milioni del 2021.

 

Conclusioni: in un sistema universalistico efficiente la stipulazione di una polizza privata appare riservata a chi vuole il meglio della qualità dalla sanità privata (compresa la quota Alpi in ambito pubblico), senza lungaggini e liste d’attesa.

Ma se il sistema inizia a scricchiolare, come accade in Italia da oltre un decennio, e la situazione si fa sempre più complessa e tutti i giorni è sotto gli occhi degli italiani che ricorrono a cure e visite ricavandone esperienze spesso molto negative, la scelta di una polizza privata che integri la sanità pubblica, è una scelta oculata e che guarda al futuro.

Altrettanto necessaria e come tale da proporre ai clienti, in quanto ancora più essenziale per garantirsi una assistenza in età avanzata almeno sufficiente senza intaccare risparmi e pensione, dovrebbe essere la stipulazione di una polizza LTC.

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