Il risparmio gestito ha tenuto grazie alla qualità della consulenza. Si possono fare degli aggiustamenti ma il modello che remunera gli agenti risulta vincente. Parla Corcos (ad Fideuram)
«Il 2022 è stato un anno difficile, ma i risparmiatori hanno reagito in modo maturo, tollerando le perdite senza disinvestire. Questo è sicuramente un successo della consulenza. Ora l’Europa pensa di cambiare il nostro sistema di commissioni, introducendo meccanismi che all’estero hanno già dimostrato di non funzionare. Significherebbe buttare via il bambino con l’acqua sporca. Se serve qualche aggiustamento facciamolo, ma sui costi della gestione bisogna considerare tutti i fattori, e non solo le commissioni».

Tommaso Corcos, amministratore delegato di Fideuram Intesa San Paolo Private Banking, non ci sta a subire passivamente i progetti di modifica che Bruxelles studia per l’industria del risparmio gestito. A suo giudizio, l’anno che si è aperto sui mercati potrebbe essere positivo, e le nubi che si addensano sul comparto in Europa appaiono ingiustificate.

Domanda. La commissaria europea ai servizi finanziari Mariead McGuinnes, giovedì davanti al Parlamento europeo ha confermato che la nuova Retail Investment Strategy conterrà il divieto di pagare commissioni di retrocessione. Sono i famosi inducements che secondo Bruxelles spingono gli advisor a consigliare prodotti più cari, riducendo il ritorno per gli investitori. E’ d’accordo?

Risposta. No. Mi sembra un’impostazione dogmatica che rischia di sprecare tutto il lavoro svolto nel corso degli ultimi anni su questi temi. Soprattutto per quanto riguarda la trasparenza per i risparmiatori. Sono d’accordo che ne serva una maggiore per quanto riguarda l’utilizzo dei cosiddetti inducements, gli eventuali incentivi che possono appesantire i costi, ma non mi sembra che l’Europa sia sulla strada giusta.

D. Alcune proposte, però, sono già legge in altri Paesi.

R. E non stanno funzionando nemmeno dove sono state adottate. Parlo di sistemi come quello inglese o olandese. Tanto è vero che in Inghilterra è in corso una riflessione su questi temi, che al momento vengono ripensati. Credo che la strada corretta sia effettuare dei cambiamenti o delle modifiche lungo il percorso che era già stato intrapreso, lavorare con i distributori su come alcuni strumenti migliorino la trasparenza di Mifid.

D. McGuinnes vuole andare oltre MIfid2. E’ perché la direttiva ha fallito?

R. Io non credo. La ritengo un enorme passo in avanti lungo la strada di una maggiore rappresentazione delle esigenze del cliente e dell’acquisizione di una serie di informazioni che rendano coerenti il profilo di investimento e di rischio dei clienti con il portafoglio che gli viene offerto. Dal punto di vista della tutela del risparmiatore la strada scelta dall’Italia è quella giusta ma possiamo accettare degli aggiustamenti.

D. Secondo la ricerca Global investor experience di Morningstar, i costi italiani per la gestione dei fondi attivi sono tra i più alti del mondo. Come lo spiega?

R. All’interno della gestione complessiva del fondo vengono remunerate tante fasi del ciclo, tra le quali anche quella di distribuzione, che riguarda gli intermediari e le retrocessioni. Io credo che spesso in questi calcoli vengano confrontate mele con pere. Voglio dire, per esempio, che all’interno delle comparazioni non viene considerato il fatto che per partecipare all’acquisto di determinati fondi serve utilizzare piattaforme che sono super liquide, e super accessoriate. Ti danno la possibilità di migliorare una vasta serie di aspetti del prodotto, ma ovviamente hanno dei costi di accesso importanti. Solo considerando anche spese di questo tipo effettuiamo comparazioni coerenti. E ci accorgiamo che i costi sono sostanzialmente uguali.

D. Consob conferma che il risparmio italiano continua a crescere nonostante Covid e guerra. Ma solo una quota ridottissima viene investita nella nostra economia, la maggior parte finanzia le imprese di altri Paesi. Dopo l’esperimento dei Pir, tutto sembra essersi fermato.

R. L’opera di trasferimento del risparmio privato verso l’economia nazionale è importante. Ma è altrettanto fondamentale la consapevolezza dei clienti sul tipo di prodotti che stanno comprando. Per questo torna al centro il discorso sulla consulenza. Sui prodotti di private equity, ad esempio, facciamo tanta formazione ai clienti, perché hanno caratteristiche molto diverse rispetto ad altre soluzioni. In ogni caso su questo fronte sono ottimista. Noi per il 2023 abbiamo adottato una piattaforma che ci permette maggiore continuità di offerta e maggiore semplificazione di gestione. E stiamo aumentando, da un punto di vista informatico, anche le offerte destinate al retail.

D. È ottimista anche sui mercati?

R. Le prime indicazioni dell’anno lasciano intravvedere un riaggiustamento rispetto alle aspettative maturate nel 2022, quando si prevedeva una grande crisi legata ai prezzi del gas e alle chiusure cinesi. Entrambi i fenomeni si sono ribaltati, e l’Europa ha recuperato parte della propria strada. Rimangono le incertezze sul fronte dei tassi, legate alle dichiarazioni aggressive della Bce e alla velocità di rientro dall’inflazione.

D. Nel 2022 azioni e obbligazioni si sono mosse insieme nel ribasso. Quello che ha fatto più male ai risparmiatori sono state le perdite sul reddito fisso.

R. E’ stato aggiustamento molto rapido, ma il futuro dell’obbligazionario è molto diverso rispetto a quello che abbiamo visto l’anno scorso. I portafogli diversificati tornano ad essere una bella soluzione. Nel corso dell’anno la parte obbligazionaria tornerà a produrre rendimenti, e tornerà a funzionare la correlazione inversa rispetto alle azioni. Questo giustifica l’inserimento di una quota significativa di bond. (riproduzione riservata)

(ha collaborato Adolfo Valente)
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