Il 2023 sarà un anno colmo di sfide per l’economia mondiale, anche sul fronte dell’m&a. A rivelarlo è un report di EY, l’M&a Barometer, che oltre alle preview per l’anno nuovo, traccia un bilancio degli ultimi 12 mesi riepilogando le operazioni più significative in termini di fusioni e acquisizioni.

«Le prospettive a livello globale appaiono complesse nel breve termine», ammette Marco Daviddi, strategy & transactions markets leader Europe West di EY, che con Ileana Romeo, strategy and transactions business development leader, ha curato l’analisi sugli m&a. «Le sfide dell’economia mondiale restano molteplici: l’inflazione elevata e persistente, i timori di recessione, le difficoltà di approvvigionamento, le tensioni geopolitiche e la crisi energetica. Inoltre», aggiunge l’esperto, «la riduzione dei margini nei settori produttivi e il repricing in atto -spinto sia dall’incremento del costo del debito sia dalla debole fiducia dei consumatori- lasciano presupporre che nel 2023, almeno per i primi mesi, ci sarà un contesto d’incertezza sulla capacità di trovare condizioni adeguate tra venditori e acquirenti, tali da rendere possibile la chiusura di molti deal».

Ad avvalorare un possibile rallentamento delle operazioni straordinarie contribuisce anche il fiato corto dell’economia mondiale. EY prevede un rallentamento del pil reale mondiale nel 2023, che stima possa attestarsi intorno all’1,3%, a fronte di una crescita media del 2,7% negli ultimi 10 anni e del 3,1% nel 2022. Se completare acquisizioni e fusioni sarà più complesso, va comunque sottolineato come quest’anno non mancheranno occasioni. «La crisi innescata dalla pandemia e peggiorata dalla guerra in Ucraina ha accelerato una serie di trasformazioni che hanno messo le aziende di fronte all’opportunità e alla necessità di aprire il capitale alla partecipazione di soggetti in grado di portare risorse fresche e know-how», rivela Daviddi.Un fenomeno che riguarderà in particolare proprio l’Italia, dove la necessità di operare un rapido cambiamento dei modelli operativi e di business -in un contesto che ha disponibilità di capitale limitate, specie per le pmi- favorirà una solida dinamica d’m&a. «Si conferma una certa polarizzazione dell’interesse dei fondi, attesi a confermare il loro ruolo di guida sul mercato, soprattutto in settori come tech, healthcare, pharma, consumer e infrastrutture. Cresce, inoltre, l’attenzione verso nicchie di mercato legate allo sviluppo professionale (education, ricerca e selezione di personale, talent management) e si ravvisa un continuo interesse anche di buyer industriali domestici e internazionali, soprattutto nel Made in Italy», si legge nel report.

Lo scenario appare articolato. Perché se da un lato i trend internazionali suggeriscono un atteggiamento molto prudente per l’attività m&a nazionale nel 2023, dall’altro il sistema Italia ha finora dimostrato una buona capacità di reazione e risposta. «In tale contesto saranno decisive le scelte di finanza pubblica, la capacità di sostenere l’occupazione e il mantenimento di costi competitivi. E non possiamo non citare il Pnrr, che entrerà nel vivo», ricorda Daviddi.

Il 2023 dell’m&a italiano, comunque, si poggia su solide basi. L’anno scorso sono stati registrati circa 971 deal con target in Italia, rispetto ai 742 del 2021 (+31% a/a in termini di numero di operazioni). Il volume complessivamente investito nel Paese, invece, è risultato pari a 89,4 miliardi di euro, un dato in aumento dell’11% rispetto al 2021. La crescita del numero di operazioni ha avuto un andamento costante nel 2022, mentre i volumi investiti hanno recuperato nell’ultima parte dell’anno, trainati della buona performance macroeconomica italiana. «Il sistema ha compreso come la leva m&a possa essere un efficace strumento per accelerare i processi di trasformazione aziendale e per acquisire competitività. Molte aziende e imprenditori hanno preferito cedere i propri asset a gruppi più grandi e strutturati, favorendo un ulteriore step di consolidamento. Altri hanno aperto il proprio capitale ai fondi di private equity, coinvolti nel 36% delle operazioni di investimento, oppure hanno scelto di procedere con alleanze e joint venture per affrontare le nuove sfide e opportunità», chiarisce Daviddi.

Al riguardo, va segnalato che l’attività di m&a italiana nel 2022 è stata guidata dagli operatori domestici, che hanno realizzato il 61% delle acquisizioni. Resta significativa, inoltre, l’incidenza dei megadeal (operazioni con controvalore superiore al miliardo) in settori strategici come quelli delle concessioni, life sciences, technology ed energia. Queste forme d’acquisizioni o fusioni hanno totalizzato un volume d’investimento superiore a 56,6 miliardi, anche se più della metà è frutto dell’offerta pubblica di acquisto di Atlantia da parte di Blackstone e della famiglia Benetton, per circa 33 miliardi. Il dato degli investimenti resta positivo anche nel mid market, con un totale di circa 32,8 miliardi, in crescita del 24% rispetto al 2021. I comparti technology, business service e infrastrutture sono quelli che evidenziano un trend positivo per incidenza del numero di operazioni. Mentre registrano un lieve calo, pur crescendo in termini assoluti, i settori più tradizionali del made in Italy (beni di consumo e prodotti industriali) e l’energy, in leggera contrazione rispetto all’anno scorso.

È stato un anno record, quindi, il 2022 dell’m&a italiano, che ha consolidato la crescita post lockdown. Lo stesso non può dirsi a livello globale. Perché complici l’elevata volatilità dei mercati finanziari e le politiche monetarie più restrittive, il numero di acquisizioni e fusioni è sceso del 28% rispetto al 2021, e le transazioni hanno perso il 36% del valore. (riproduzione riservata)
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