ENTRO MARZO IL TESORO DOVREBBE PUBBLICARE IL TESTO FINALE, FERMO DA GIUGNO 2020

di Francesco Ninfole
Gli operatori sono in attesa delle regole finali del Mef sui fondi di investimento alternativi (Fia) e in particolare della riduzione dell’investimento minimo da 500 a 100 mila euro, che comunque non dovrà superare il 10% del portafoglio individuale. La consultazione con queste proposte è stata aperta dal Tesoro da giugno 2020. Il testo definitivo, secondo quanto risulta, dovrebbe essere pubblicato nel primo trimestre dell’anno e dovrebbe ricalcare un recente parere del Consiglio di Stato, che ha approvato la linea del Mef e anzi ha esteso il limite percentuale del 10% all’intera ricchezza dei risparmiatori (quindi non solo quella depositata presso un singolo operatore, come per esempio la banca).

Il Mef ha osservato nella consultazione che «da tempo è avvertita la necessità di un intervento di revisione delle soglie di ingresso nei Fia italiani riservati per consentire l’accesso a queste forme di investimento alternativo a una platea di clientela retail più ampia, con patrimoni di medie-grandi dimensioni, disponibile a investire nel medio/lungo periodo in asset illiquidi e in società non quotate, allo scopo di diversificare il portafoglio finanziario, conseguire un rendimento apprezzabile, finanziare le imprese italiane e con esse la ripresa economica del Paese». L’obiettivo è quello di far confluire il risparmio degli italiani più abbienti verso private equity, private debt e fondi di infrastrutture, che possano poi farlo arrivare a imprese non quotate.

Questa finalità è condivisa dalle associazioni di categoria Aifi, Aipb e Assogestioni. Gli operatori del settore spingono per un’introduzione rapida della nuova normativa, che è bloccata da tempo. Soltanto la Banca d’Italia avrebbe espresso qualche perplessità, ma nel complesso l’iniziativa è ben vista da regolatori e operatori, anche perché rimuoverebbe un handicap rispetto agli altri Paesi europei, dove la soglia minima è inferiore ai 500 mila euro. Inoltre l’Italia più di altri Stati avrebbe bisogno di finanziamento per le imprese di minori dimensioni non quotate. Per la clientela è aumentata l’esigenza di più alti rendimenti, anche in prodotti più illiquidi.

Secondo stime di mercato, la mossa del Mef potrebbe far affluire 25 miliardi in più (rispetto agli attuali 4 miliardi) verso i Fia. C’è ancora in Italia un problema legato all’offerta: ci sono pochi fondi specializzati sugli investimenti nel Paese, di conseguenza il risparmio degli italiani spesso viene impiegato per aziende estere. Una maggiore chiarezza normativa potrebbe però stimolare la domanda. Inoltre, si osserva, la nuova normativa potrebbe aiutare la crescita dei Pir Alternativi grazie all’offerta del vantaggio fiscale anche attraverso Fia. In questa fase gli investimenti privati potrebbero fare da moltiplicatore rispetto a quelli del Pnrr.

Secondo i dati Aifi-Pwc, l’ammontare investito del settore private equity e venture capital nel primo semestre 2021 è stato pari a 4,5 miliardi di euro, in crescita del 142% rispetto agli 1,9 miliardi del primo semestre del 2020 e dell’81% rispetto al primo semestre del 2019, precedente la pandemia. Soltanto nel 2016 era stato raggiunto un valore più alto in termini di ammontare investito nel primo semestre. Il numero di operazioni si è attestato a 253, in crescita del 102% rispetto alla prima parte del 2020 (125 investimenti) e del 52% rispetto al primo semestre del 2019. Quanto alle dimensioni delle imprese, hanno prevalso le aziende con meno di 50 milioni di fatturato, che rappresentano il 72% del numero totale (89% nel primo semestre del 2020). Riguardo al private debt, secondo i dati Aifi-Deloitte, nel primo semestre 2021 sono stati investiti 769 milioni di euro: +74% rispetto al primo semestre del 2020. Le sottoscrizioni sono state 356 con un incremento del 139%. (riproduzione riservata)
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