Nonostante la crescita del 2021, l’imprevedibilità della nuova normalità post Covid è assai preoccupante per l’Italia. Oltre al debito pubblico è cresciuto l’indebitamento bancario delle imprese, favorito da un’estensione senza precedenti delle garanzie statali. Oggi oltre il 30% dello stock dei crediti bancari alle imprese italiane è garantito dallo Stato, contro il 9% del 2019. Il sostegno alla liquidità, che non aveva alternative nei primi mesi dell’emergenza, ha prodotto distorsioni. Le banche hanno migliorato bilanci e redditività spostando i rischi sulla finanza pubblica. I maggiori squilibri patrimoniali riducono la capacità d’investimento di molte imprese, mettendo a rischio efficacia del Pnrr e potenzialità di crescita della produttività a medio e lungo termine. Inoltre, la ripresa economica è accompagnata da un forte incremento d’inflazione. C’è il rischio di una stretta creditizia che spingerebbe i governi ad accelerare il riequilibrio delle finanze pubbliche. L’inevitabile abbattimento delle garanzie statali rischierebbe d’innescare una stretta creditizia sulle imprese, rallentandone ripresa e rafforzamento. Una conseguenza diretta – dilatata nel tempo – sarebbe il peggioramento della posizione finanziaria delle imprese, con due effetti: riemersione di sofferenze (npl) per i crediti privi di garanzia che gravano sui bilanci bancari e ingenti oneri per la finanza pubblica a fronte dell’escussione delle garanzie. Per scongiurare questo scenario serve correggere in fretta le condizioni di squilibrio patrimoniale delle imprese. Ma i diversi strumenti di sostegno pubblico alla ricapitalizzazione appaiono purtroppo insufficienti a incidere su un ampio numero d’imprese, in tempi rapidi e in modo coordinato. Inoltre, essi favoriscono la ricapitalizzazione d’imprese in condizioni relativamente migliori, lasciando le posizioni relativamente più critiche nei bilanci bancari e, quindi, i rischi a carico dello Stato. Questi effetti indesiderati rischiano d’essere amplificati dal recepimento nell’ordinamento italiano della direttiva comunitaria recentemente approvata dal Parlamento Ue in materia di liberalizzazione delle operazioni d’acquisto dei crediti deteriorati. Serve invece un intervento di sistema articolato su cinque punti:

1) Prevenire l’impatto dell’escussione delle garanzie statali già emesse, favorendo un ordinato e graduale riassorbimento e la formazione di nuovi crediti bancari deteriorati; 2) supportare gli investimenti privati nella ricostruzione del tessuto produttivo, rafforzando il mercato dei capitali a supporto delle Pmi e coinvolgendo il settore finanziario e bancario che dal successo di questa operazione trarrebbe vantaggi di consolidamento patrimoniale, prevenzione dei rischi sistemici e miglioramento delle prospettive di redditività; 3) favorire il protagonismo delle imprese nelle ristrutturazioni e aggregazioni funzionali al mantenimento della capacità produttiva, al rilancio degli investimenti e all’innovazione dei modelli di business; 4) creare nuove opportunità d’impiego qualificato (per esempio, manager con esperienza) nei settori più colpiti dai piani di esodo aziendale; 5) realizzare interventi di politica industriale e di sviluppo, secondo logiche trasparenti ed efficienti.

Per bilanciare rischi e benefici di una ricapitalizzazione massiva e coordinata delle imprese, proponiamo la creazione di un «Fondo per la Ricapitalizzazione e la Ristrutturazione delle Imprese» (fondo 2Ri), a cui contribuiscano i principali attori dell’economia – Stato, banche e investitori istituzionali – che svolgerebbero la funzione di investitori pazienti. Il fondo sarebbe gestito da una sgr di regia e strutturato in due comparti. Nel comparto A, le banche conferirebbero crediti verso le imprese italiane sia garantiti dallo Stato che non garantiti. Nel comparto B, diversi investitori istituzionali privati e pubblici conferirebbero risorse finanziarie per sostenere i processi di ristrutturazione delle imprese. L’intervento dello Stato nel fondo 2Ri avverrebbe con l’emissione di garanzie – che sostituirebbero quelle già emesse nel corso dell’ultimo anno e mezzo – finalizzate a ridurre i rischi sulle quote bancarie nel comparto A del fondo (in analogia con l’esperienza dei Gacs), e con la sottoscrizione a condizioni di mercato di quote del comparto B del fondo stesso. Per garantire una gestione competente delle attività finanziarie conferite al fondo, mitigare i rischi di ingerenza pubblica nelle scelte d’investimento nelle singole imprese e, soprattutto, per valorizzare competenze manageriali e interessi d’operatori istituzionali e finanziari diffuse nei territori e nelle filiere produttive, 2Ri opererebbe solo come «fondo di fondi territoriali e di filiera», secondo logiche di mercato e con un orientamento al rendimento di medio e lungo periodo. I fondi territoriali e di filiera acquisirebbero ulteriori finanziamenti privati, sfruttando la funzione di anchor investor di 2Ri, e supporterebbero la ricapitalizzazione e ristrutturazione delle imprese target con tecniche di dip financing. Lo schema descritto consentirebbe al fondo 2Ri un’alienazione graduale e trasparente delle quote nei fondi territoriali e settoriali, che potrebbe procedere di pari passo con l’attuazione dei piani di ricapitalizzazione e ristrutturazione delle imprese. Il futuro – non sappiamo quanto prossimo – riequilibrio della finanza pubblica italiana non potrà prescindere da un ridimensionamento delle garanzie statali, salite da un fisiologico 5% del Pil nel 2019 a quasi il 16% attuale. Senza interventi di sistema simili a quelli proposti, l’uscita dal programma di garanzie statali sui crediti bancari sarà realizzata con l’assetto attuale del segmento dell’industria finanziaria italiana che gestisce i crediti deteriorati, caratterizzato da operatori specializzati nella gestione finanziaria del credito e non nell’accompagnamento della gestione industriale delle imprese debitrici. Il rischio è compromettere la capacità produttiva e la coesione sociale del nostro Paese.

* Studio Cba; Università

di Padova; Università di Padova e Universitat Pompeu Fabra
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