di Angelo De Mattia
Oggi probabilmente potremo riflettere sull’indirizzo che la Consob avrà deciso di impartire per i casi di formazione di liste di candidati ai vertici di società, come nel caso delle Generali. Intanto, la contesa nel Leone tra le due formazioni di azionisti diventa più aspra e si predispongono gli strumenti fondamentali perché siano evidenti le differenze nella qualità della governance, con le liste dei candidati agli organi aziendali, e nei programmi. Finora non si registrano decampamenti, quanto meno visibili, della politica nella confrontation societaria. E’ sperabile, in ogni caso, che la vicenda non sia colta per attacchi strumentali alla stessa Consob. Importanti riflessioni sulla vicenda cominciano a essere esternate. L’Italia dei piani B, si potrebbe così sintetizzare l’icastico editoriale di Roberto Sommella, pubblicato ieri, che parte dal caso Generali per un elenco che comprende, esemplificando, le vicende Tim, Alitalia, Montepaschi.

Le considerazioni sulle Generali sono ineccepibili. Ci si potrebbe domandare, scrive il direttore, perché i componenti del patto Caltagirone-Del Vecchio-Fondazione Crt, che comunque non sono vincolati da un sindacato di voto ma solo da un accordo di preventiva consultazione (libero ciascuno poi di determinarsi come ritiene), volendo acquisire una posizione rilevante, se non il controllo, della compagnia, non lanciano un’opa e invece, secondo quel che si dice (tutto però da verificare ab imis), rifletterebbero sul lancio di un’opa sull’attuale primo azionista del Leone, singolarmente considerato, cioè Mediobanca? Sarebbe questo il piano B, la scorciatoia, che alcuni rumores adombrano, ma dei quali – sia chiaro – non si hanno riscontri. Poi, per non sbagliare, si starebbe operando, dai predetti imprenditori, in entrambe le direzioni, nei confronti, cioè, della compagnia e della banca. La tesi del direttore, anche sugli altri piani A e B, è fondata. Essa però stimola a esaminare le cause della scelta delle vie indirette, scelta che non è sempre motivata dalla maggiore facilità della conquista. Spesso sono le regole non sempre adeguate o la loro rigoristica applicazione che conducono a imboccare un percorso diverso da quello che sarebbe naturale oppure concorrono a ciò politiche pubbliche non sempre avvedute e lungimiranti.

Nel caso Mediobanca-Generali, per esempio, aver posto, da parte della Vigilanza accentrata, il limite del non sconfinamento dal 20% alla partecipazione della Delfin di Del Vecchio, da mantenere, dunque, come esclusivamente finanziaria, pone questioni non secondarie di diritto, di ragionevolezza e di adeguatezza anche con riferimento a principi costituzionali, ma esercita altresì effetti pratici che potrebbero spiegare le iniziative attivate nei riguardi sia dell’Istituto «partecipante» sia della compagnia partecipata. Poi concordo sul fatto che solo a prima vista la conquista di Mediobanca sarebbe più facile e meno costoso. Si potrebbe parlare, però, di una nemesi storica o delle astuzie della storia: dopo che nella sede di Mediobanca, negli anni d’oro del dominus Enrico Cuccia, si elaboravano le più sofisticate ingegnerie finanziarie per acquisire il controllo di società (si pensi agli assetti piramidali e alle scatole cinesi) o per mantenerlo anche quando l’impresa era non lontana dalla decozione. Quelle tecniche hanno fatto scuola, applicate, s’intende, a realtà ben diverse e depurate delle forme oggi non più sostenibili. E’ fondamentale che, però, tutto avvenga, nella vicenda in questione, nell’assoluta trasparenza. Ma, una competizione, alla luce del sole, che rafforzi stabilità, sana e prudente gestione, correttezza e, appunto, trasparenza e crei i presupposti per un nuovo protagonismo dell’intermediario coinvolto non è un fatto negativo. Facile a dirsi, molto più complesso a realizzarsi, ma questi sono i parametri di una valutazione che deve avere come fini ultimi la tutela del risparmio e quella, nei modi consentiti, degli investimenti, senza trascurare gli interessi generali la cui considerazione può rafforzare quelli aziendali e il valore per gli azionisti.

Un altro caso tipico di piano B, come accennato, riguarda il Montepaschi. In questa vicenda è stata la completa inadeguatezza, da parte del Tesoro, nell’impostare e condurre il negoziato con Unicredit a portare al ripiegamento sull’esigenza di conseguire il consenso della Commissione Ue alla proroga, che dovrà essere consistente, del termine per la dismissione della proprietà pubblica dell’istituto. Sia chiaro: in generale non si può affatto escludere il riflesso dell’asfittico capitalismo italiano di una parte consistente del 900 che, pur in situazioni completamente diverse dell’oggi, stimola non di rado la ricerca di scorciatoie non naturali. Ma, come si è detto, vi contribuiscono diverse altre cause. Il caso Generali, anche da questo punto di vista, è un test fondamentale, che va ben oltre il pur molto importante assetto della compagnia. (riproduzione riservata)

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