Anna Messia
Con l’ultimo colpo di scena, a questo punto, l’unica cosa certa nella partita del riassetto Generali è che non c’è più alcun rischio di concerto. La frattura tra i due fronti nell’azionariato è totale dopo che, nella note di giovedì 13, il consigliere e vicepresidente vicario, Francesco Gaetano Caltagirone, azionista con una quota delll’8,04% di Trieste, ha deciso di dimettersi dalle cariche, con una mossa plateale. La decisione di Caltagirone, che insieme a Leonardo Del Vecchio e Crt ha apportato le sue azioni in un patto che racchiude più del 16% della compagnia, è stata motivata in una lettera inviata al consiglio dove sostiene che «la sua persona è stata palesemente osteggiata, impedita dal dare il proprio contributo critico e ad assicurare un controllo adeguato» nella gestione della compagnia, denunciando l’assenza di una dialettica costruttiva in cda. «Sono rimasto sconcertato dal fatto che il piano triennale, un documento su cui si dovrebbe raccogliere il consenso del mercato e che avrebbe dovuto essere la base industriale della lista del consiglio di amministrazione sia stato inviato nottetempo, senza consentire ai consiglieri neanche una lettura dei dati in essa contenuti», si legga ancora nel documento consultato da MF-Milano Finanza e «ancora più sorprendente è il fatto che il piano sia stato approvato senza alcuna discussione, nonostante esponga diverse criticità. Non è d’altronde casuale la fredda accoglienza che siffatto piano triennale ha sortito sul mercato».

Non solo. Subito dopo si aggiunge che «è evidente che la maggioranza del consiglio ha agito e agisce in modo preordinato alla tutela degli interessi del socio di minoranza relativa», leggasi Mediobanca. Toni e accuse pesanti che il presidente della compagnia Gabriele Galateri ha respinto categoricamente e ha espresso rammarico e sorpresa per la decisione presa da Caltagirone: «la società ha sempre condotto la sua attività secondo criteri di assoluta trasparenza e rigorosa correttezza, anche relativamente ai lavori per la presentazione di una lista per il rinnovo del consiglio, di cui ha costantemente informato le autorità di vigilanza. Ai suddetti principi ci si è attenuti nei rapporti con tutti i consiglieri, senza eccezione alcuna e in ogni occasione».

Se mai ce ne fosse stato bisogno, ora proprio tutte le carte che ruotano intorno all’infuocato rinnovo della governance della prima assicurazione italiana, in vista dell’assemblea del 29 aprile, sono state messe sul tavolo. Con tante incognite ancora da sciogliere. A partire dalla composizione del consiglio dopo le dimissioni dell’ingegnere. Lo statuto di Generali fissa a 13 il numero minimo dei consiglieri che, dopo l’uscita del vicepresidente vicario, sono scesi a 12. Anche su questo punto, almeno ad oggi, non c’è ancora chiarezza in attesa dei pareri dei legali della compagnia che dovranno decidere se servirà sostituire Caltagirone con una cooptazione o se, in questa fase, si potrà restare in 12. Una poltrona che pesa più del solito visto che il consiglio in queste settimane, sta mettendo a punto la lista del board, che propone la riconferma al vertice dell’attuale group ceo Philippe Donnet, con addosso gli occhi del mercato, e soprattutto di Consob, la commissione di vigilanza che già nelle scorse settimane è stata chiamata in campo da Caltagirone per fare chiarezza sulle procedure. La prossima settimana è attesa la long list che conterrà un numero ampio di possibili candidati per il nuovo consiglio di Generali, il 50% in più dei componenti. Poi, nella prima decade di febbraio, dovrà essere composta la short list (30% in più dei candidati) per arrivare alla lista definitiva a metà marzo. Le incognite della lista del board, vista la ricandidatura di Donnet come ceo, riguardano in particolare la presidenza per la quale, come già anticipato da MF-Milano Finanza nei giorni scorsi, accanto al nome dell’uscente Gabriele Galateri si fanno strada più ipotesi. Sul mercato è cresciuto in particolare il consenso verso una presidenza al femminile, nel qual caso i nomi favoriti sarebbero quelli di Diva Moriani, Patrizia Grieco o Emma Marcegaglia. Con la prima candidata, già nel cda della compagnia, che sarebbe però meno favorita vista la predisposizione ad evitare le nomine degli attuali consiglieri. Si vedrà, ma l’attesa maggiore riguarda senza dubbio le mosse dei pattisti.

Dopo l’uscita dal consiglio Caltagirone ha le mani libere per crescere ancora, senza rischio di concerto, e il mercato è convinto che gli acquisti dei titoli Generali sul mercato siano destinati a proseguire per superare il 17,25% che, tra titoli diretti (12,82%) e titoli a prestito (4,43%) è oggi in mano a Mediobanca. Gli ultimi dati del patto comunicati al mercato il 5 gennaio scorso parlavano di una quota complessiva del 16,133%, in netta crescita rispetto all’11% di settembre, con Caltagirone al 7,978%, la Delfin di Del Vecchio al 6,618% e Crt all’1,538%. Nella lettera inviata giovedì alla compagnia l’imprenditore capitolino ha fatto però sapere di detenere oggi l’8,04% con il patto che è quindi già salito al 16,196%. Sulla lista dei pattisti ci sarebbero diversi super consulenti al lavoro, da Bain a Lazard (non ancora coinvolta), come già anticipato da MF-Milano Finanza a Jp Morgan, vicina in particolare a Del Vecchio con il velo destinato ad alzarsi a metà febbraio. Oltre al piano, che punterebbe ad una crescita del risparmio gestito e in particolare di Banca Generali, il mercato (che alle dimissioni di Caltagirone ha reagito con un -1,55%) attende di conoscere il vertice che i pattisti proporranno per il nuovo corso che, a quanto pare, per la presidenza, non avrebbero preferenze tra uomini o donne. Mentre per l’amministratore delegato continuano a circolare i nomi emersi nelle scorse settimane, da Diego De Giorgi, che ha esperienze in diverse banche d’affari, a Giulio Terzariol, direttore finanziario di Allianz e c’è chi rilancia su Mario Greco (ceo di Zurich) per la sua indubbia capacità di catalizzare il mercato che in questa vicenda è l’ago della bilancia con il 34,75% in mano a investitori istituzionali. Restano poi altre due incognite da chiarire che potrebbero rappresentare altrettanti colpi di scena da qui ad aprile: le mosse dei Benetton, azionisti con il 3,37%, finora rimasti silenti, che potrebbero sostenere il patto e quelle di Consob cui, come detto, ci è rivolato Caltagirone nei mesi scorsi per depotenziare la lista del cda. La commissione si è limitata a fissare paletti che aumentano il ruolo degli indipendenti nella procedura ma non ha detto ancora nulla sulla questione del prestito titoli con cui Mediobanca ha portato la sua quota dal 12,82 al 17,25% mentre, tra il fronte degli oppositori, si osserva che lo stesso ingegnere avrebbe già rivenduto a scadenza, dopo l’assemblea, parte dei titoli acquistati in questi mesi. (riproduzione riservata)
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