GIURISPRUDENZA

Autore:  Domenico Caiafa
ASSINEWS 337 –gennaio 2022

Necessità di esaurienti motivazioni logico-giuridiche

La compensazione delle spese ex art. 92 c.p.c (già presente nel codice di procedura del 1865 e nel vigente codice del 1942) consisteva – come consiste – in una deroga al principio della soccombenza (art. 91 c.p.c.) onde evitare carichi inutili di spese, provocati dalla parte vincitrice.
La ratio della normativa – come deviazione dal criterio fondamentale del “victus victori”- soddisfa un principio di equità e di superiore giustizia, in una visione etico- sociale -giuridica con particolare riguardo al rispetto dell’art. 88 c.p.c., relativo al comportamento processuale delle parti.

Negli anni, molti magistrati, nell’applicare l’art. 92 c.p.c., onde sottrarre al già soccombente nel merito le spese inutili e superflue, applicavano la normativa, con eccessiva disinvoltura e senza supportarla con idonea motivazione, spesso con lessico generico del tipo “esistono giusti motivi (quali?) per compensare le spese di giudizio”. Spese superflue sono considerati gli esborsi sostenuti dalla parte vincitrice laddove non è possibile ravvisare negli stessi alcuna relazione di indispensabilità o quantomeno di utilità con il percorso processuale. Spese eccessive sono quelle che, pur se connesse al compimento di atti necessari per le finalità difensive, risultano sproporzionate ed esorbitanti rispetto al fine nel senso che il medesimo risultato poteva essere conseguito con costi inferiori.
Nello spirito della normativa, di cui all’art. 92 c.p.c., le spese superflue vengono considerate del tutto escluse laddove quelle eccessive sono ridotte costituendo un esborso ricondotto dal giudice nella giusta misura.

Esempio tipico di spese superflue si verifica quando una parte indica più consulenti tecnici con gli stessi compiti e con inutili aggravi di costi. In tal caso, le spese possono essere Necessità di esaurienti motivazioni logico-giuridiche compensate anche in presenza di una parte totalmente vittoriosa in conseguenza del principio di causalità (Cass sez. lav. ordinanza n. 26849 del 21/10/2019).
La valutazione della natura superflua ed eccessiva deve essere compiuta ex ante (con riferimento al momento in cui la spesa è stata effettuata) e non ex post (cioè alla luce della decisione giudiziale).

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L’inadeguatezza – sotto il profilo della giustizia sostanziale delle decisioni ex art. 92 c.p.c. senza congrua motivazione- emergeva, tra gli altri casi, nelle cause c.d. “seriali” e nei giudizi di risarcimento danni da circolazione stradale, sovente iniziati con tentativi discutibili o, addirittura, truffaldini: il magistrato, pur rigettando le richieste attrici, per la determinazione delle spese, invece di applicare l’art. 91 c.p.c. (principio della soccombenza), ricorreva all’abusato lessico sopra indicato onde applicare l’art. 92 c.p.c., costringendo le società di assicurazioni convenute ad accollarsi spese legali di procedura che, per elementari ragioni, dovevano essere addebitate agli attori.

Il fenomeno, notoriamente diffuso, aggravava contra legem l’ente assicuratore che, per i motivi esposti, onde evitare spese di istruttoria e legali, anche in caso di prevedibile o sicura vittoria in sede contenziosa, spesso era costretto a transigere la lite con ingiusti esborsi al fine di evitare che le spese di resistenza venissero compensate con la consueta e generica locuzione (in misura spesso superiore all’entità dei danni richiesti!).
A parte la incomprensibilità delle ragioni della compensazione, sussisteva, in concreto, anche il rischio di gravami e prosiegui giudiziari svolti al fine di far valutare dal giudice di Appello l’opportunità dell’applicazione dell’art. 92 c.p.c, con conseguente ed inutile aggravio dei ruoli della giustizia, senza contare che una sentenza non motivata o inidonea a far percepire le ragioni logico-giuridiche, poste a base della statuizione, era nulla per violazione dell’art. 132 comma 2, 4 c.p.c. Alcuni autori (Pajardi, Murra) e la Suprema Corte a sezioni unite (sentenza 30.10.98 n.10904) avevano formulato critiche all’applicazione generica dell’art. 92 c.p.c., con decisione non corredate da valido sillogismo, in un percorso (bisogna doverosamente ammetterlo) reso difficile in ragione delle diverse tipologie che si succedevano nel tempo, inadeguatamente contrastate da interventi legislativi parziali e spesso in disarmonia tra loro.

I rilievi in dottrina e giurisprudenza, a seguito delle richiamate leggine non armonizzate, si erano intensificati fino a quando sulla quaestio si è pronunciata la Corte Costituzionale con la sentenza n. 77 del 19/4/2018 di lungimiranza giuridica, in contrasto con l’intenzione di restringere la portata dell’art.92 c.p.c, orientamento che costituiva un rimedio non risolutivo e alimentava controversie inutili.

In effetti, una dottrina qualificata aveva già evidenziato che le varie riscritture della disposizione, a partire dalla legge 263/2005 costituivano un irrigidimento delle ipotesi di compensazione al solo fine di ottenere una deflazione del contenzioso che, però, contrastava la funzione storica della disposizione, poggiata su principi di ragionevolezza ed eguaglianza.

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In sintesi, nello sviluppo cronologico delle modifiche, si registrava:
A. La legge 263 del 28.12.2005, interpretando le doglianze dottrinarie e giurisprudenziali, ha specificato che “i giusti motivi dovevano essere esplicitamente indicati”, al fine di evitare motivazioni apparenti fondate su petizioni di principio, prive di contenuto o formule di rito laddove la ratio legis della normativa avrebbe dovuto costituire uno stimolo al magistrato per una ponderata valutazione.

B. La legge 18.6.2009 n. 69, al posto della locuzione “giusti motivi”, ha richiesto “gravi ed eccezionali ragioni” espressamente indicate in motivazione, esigendo un più consistente impegno per il giudicante onde favorire, nel contempo, l’applicazione del principio di soccombenza alla stregua della inequivocabile terminologia, in senso più restrittiva della precedente formulazione (in conformità, Cassazione, ordinanza del 24.4.18 n. 10042).

C. Successivamente, il legislatore, sensibilizzato dai nuovi filoni dottrinari (Laforgia, Cubiciotti, Scarselli, M. Caiafa) è intervenuto nuovamente con il D.L n. 132 comma secondo n. 4 c.p.c. del 12.9.2014, coordinato con la legge di conversione 10.11.2014 n. 162, meglio specificando (in modo più tassativo) la portata dell’art. 92 c.p.c. limitatamente ai casi di soccombenza reciproca ovvero di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alla questioni dirimenti (restringendo ulteriormente l’ambito di operatività).
La evidente finalità deflattiva della riduzione dei casi di compensazione ex art. 92 c.p.c. contrastava, però, con la ratio storica dell’istituto del riparto delle spese, ancorato al principio della causalità, secondo il quale la parte va condannata alla refusione dei costi processuali solo nei casi in cui è possibile affermare che la stessa ha inutilmente appesantito la macchina della giustizia.
È doveroso evidenziare che le riforme, susseguitesi nel tempo – spesso criticate dalla dottrina – non avevano inciso sulla ipotesi di soccombenza parziale o reciproca che, secondo una giurisprudenza costante si verifica quando più domande contrapposte tra le medesime parti e cumulate nel processo siano state in parte accolte, in parte rigettate oppure quando, essendo l’unica domanda proposta articolata in più capi, alcuni siano stati accolti ed altri rigettati o, ancora, quando la parzialità dell’accoglimento abbia riguardato solo il quantum della singola domanda proposta (ex multis, Cassazione III sezione 22.2.2016 n. 3438).

D. La Suprema Corte, nel frattempo, continuava a ritenere insindacabili le decisioni del Magistrato di merito a meno che la motivazione non fosse illogica, tautologica o inesistente (Cass. sez. VI, ordinanza n. 17816 del 03.07.19).

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La Corte Costituzionale, sensibilizzata dai profili di incostituzionalità degli interventi normativi, sollevati, a seguito di rimessione dei giudici del lavoro di Torino e di Reggio Emilia, con la sentenza n. 77 del 19.04.2018 ha riconosciuto la possibilità del magistrato di ricorrere alla compensazione anche al di fuori delle ipotesi previste nei casi di situazioni non specificamente chiarite ma “gravi ed eccezionali” (questioni di fatto e di diritto impossibili ad essere catalogate in astratto).

Di conseguenza, la Consulta – pur rilevando l’applicabilità principale del victus victori ex art. 91 c.p.c. – ha auspicato una più larga apertura delle ipotesi tipiche previste dalla norma ex art. 92 c.p.c. in presenza di gravi ed eccezionali ragioni desunte dalla peculiarità del caso concreto, fermo restando la necessità di una esauriente motivazione circa la sussistenza dei requisiti per nullità della sentenza onde evitare la violazione del richiamato articolo 132 comma 2 n. 4 c.p.c. (che si verifica – secondo la Cassazione a sezioni unite con sentenza n. 23940 del 2017 – nel caso di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale o motivazione apparente o di manifesta ed irriducibile contraddittorietà o, infine, di motivazione perplessa o incomprensibile, esaltando l’attività del magistrato nello scrutinio delle richieste e dei comportamenti delle parti), in ossequio all’art. 111 comma VI della Costituzione. Ovviamente, gli effetti della pronuncia di incostituzionalità retroagiscono alla data di introduzione nell’ordinamento del testo di legge dichiarato non conforme dalla Corte Costituzionale (applicabilità ratione temporis).

La Cassazione VI sezione, ordinanza n. 4696 del 18/2/2019, con mirabile sintesi giuridica, ha statuito: ai sensi dell’art. 92 c.p.c, come risultante dalle modifiche introdotte dal D.L. 132 comma secondo n. 4 c.p.c. del 13.12.2014 convertito nella legge 162 del 10.11.2014 e della sentenza della Corte Costituzionale n. 77/2018, la compensazione delle spese di lite può essere disposta (oltre che nel caso della soccombenza reciproca) soltanto nella eventualità di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o, nella ipotesi di sopravvenienze relative a tali questioni e di assoluta incertezza che presenti la stessa o maggiore gravità ed eccezionalità delle situazioni rispetto a quelle tipiche ”(in conformità, Cass. Sezione VI ordinanza 14/2/2019 n. 4360).

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A questo punto, abrogata definitivamente la motivazione usata come frase di stile ma spesso non comprensibile, è necessario, tenere conto delle successive modifiche ratione temporis, a nostro avviso non in perfetta sintonia e, soprattutto, della chiarificazione introdotta con la legge 10.11.2014 n. 162, arricchita dalle considerazioni della dottrina e di alcune decisioni della Suprema Corte, intervenute nel frattempo per le diverse tipologie di fatto e giuridiche presentatesi nonché del contestuale ed imprescindibile rispetto dell’art. 88 c.p.c. alla luce della richiamata sentenza della Consulta n. 77 del 19.4.2018.

A nostro avviso, sarebbe stato sufficiente riformulare ex novo l’art. 92 c.p.c., in modo logico e coerente con l’enunciazione tassativa dei casi, ormai individuati, salvo situazioni particolarissime (possibili nel fisiologico sviluppo di situazioni non etichettate né affrontate da una giurisprudenza consolidata), al fine di evitare decisioni contrastanti, soprattutto, in questioni giuridiche identiche e governabili dalla vera ratio della normativa.

È doveroso, comunque, precisare che esistono decisioni di taglio contrario (Cass. Civ. VI sez. ordinanza n. 11329/19 del 26.04.2019 – relatore De Stefano: “in tema di spese processuali, la facoltà di disporre la compensazione tra le parti, rientra nel potere discrezionale del Giudice di merito il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione”).

Deve rilevarsi un contrasto giurisprudenziale anche tra alcune decisioni della Suprema Corte (sul punto vi è richiesta di intervento delle sezioni unite con ordinanza della III sez. del 14/10/2021 n. 28048).
In effetti, l’esame approfondito delle decisioni, in tema, della Suprema Corte non in sintonia nei vari profili, costituisce la motivazione dell’attesa di una possibile ed ennesima riforma del processo civile (pare) in cantiere.

Rebus sic stantibus e per concludere, le situazioni previste ex lege non dovrebbero essere più messe in discussione, mentre ad avviso del sottoscritto estensore, è necessario dare valenza pregnante all’indirizzo della Corte Costituzionale che riempie il vuoto dei casi teoricamente possibili ma non etichettati né affrontati da una giurisprudenza consolidata.

Con la necessità di rinvenire una motivazione esauriente circa la sussistenza dei requisiti ex lege (Cass. III sez. sentenza n. 23940 del 12/10/2017) con valutazione dei comportamenti processuali delle parti che, nell’art. 88 c.p.c., vengono elevati ad un’indispensabile valenza deontologica.


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