UNIMPRESA E CGIA MESTRE: IMPRESE A RISCHIO DEFAULT CON LA FINE DELLA MORATORIA SUI PRESTITI
di Antonio Longo
Emergenza liquidità per quasi 700 mila aziende italiane che, a inizio 2022, rischiano il default a causa della fine della moratoria dei finanziamenti concessi dalle banche introdotta con il decreto legge Cura Italia nella primavera del 2020. Un crac che potrebbe costare oltre 27 miliardi di euro. Si tratta del possibile scenario delineato dagli analisti del Centro studi di Unimpresa derivante dal rischio insolvenza, considerato che la moratoria si è conclusa lo scorso 31 dicembre e non è stata rinnovata per evitare una procedura di infrazione da parte dell’Unione europea nei confronti dell’Italia per aiuto di stato illegittimo. Sono 694.894 le imprese che, a partire dal 2020, avevano sospeso le rate di prestiti bancari per un importo complessivo di 27,1 miliardi di euro. In base allo studio curato dagli esperti, le norme sui prestiti bancari, tra moratorie e garanzie pubbliche, valgono complessivamente 247,6 miliardi di euro. Considerato l’attuale contesto economico e l’aggravarsi della pandemia Covid-19, le aziende potrebbero incontrare, in prospettiva, più di una difficoltà sul fronte dei rimborsi dei prestiti erogati dagli istituti di credito.

Il Centro Studi ricorda, infatti, che nel prossimo mese di giugno cesserà anche l’efficacia delle norme sulle garanzie pubbliche per i nuovi finanziamenti grazie alle quali sono stati erogati prestiti garantiti a 2,5 milioni di soggetti per un importo complessivo di 220,5 miliardi. Nell’ambito di tale importo, 22,9 miliardi, erogati a 1,1 milioni di soggetti quali piccole imprese e partite Iva, sono operazioni fino a 30 mila euro, mentre i restanti 197,5 miliardi si riferiscono a crediti di importo superiore, erogati a 1,4 milioni di soggetti costituiti, prevalentemente, da medie imprese. «Condividiamo l’appello del presidente e del direttore dell’Abi, Antonio Patuelli e Giovanni Sabatini, che hanno chiesto al governo italiano e alle autorità europee di rinnovare i sostegni pubblici fino al termine della pandemia» ha sottolineato il vicepresidente di Unimpresa Giuseppe Spadafora, «le misure approvate sin dall’inizio della crisi pandemica hanno consentito, pur tra iniziali intoppi e qualche errore d’impostazione, di sostenere il prodotto interno lordo del paese che ha registrato, comunque, una flessione superiore al 9% nel 2020 per poi rimbalzare, lo scorso anno, di oltre sei punti percentuali. Insomma, non abbiamo ancora recuperato quanto perso con il crollo del 2020 e le prospettive per il 2022 restano instabili. Un quadro reso incerto proprio dalla nuova ondata del Covid, ragion per cui è indispensabile non indugiare e rimettere in pista tutte le forme di aiuto per le imprese italiane. Occorre immediatamente avviare una rapida trattativa con l’Unione europea per abbattere le incomprensibili resistenze sugli aiuti pubblici, considerati aiuti di stato illegittimi sulla base di regole vecchie e da disapplicare in situazioni di emergenza».

Costo della bolletta elettrica raddoppiato in tre anni. Rispetto a quanto corrisposto nell’anno 2019, ammonta a quasi 36 miliardi di euro il costo supplementare che le imprese italiane sosterranno nel 2022 a causa dell’aumento del prezzo delle tariffe elettriche. Negli ultimi tre anni, il costo della bolletta della luce a carico delle aziende è, sostanzialmente, raddoppiato. Si tratta delle stime elaborate dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre che, per l’anno in corso, ha ipotizzato un consumo complessivo di energia elettrica delle imprese pari a quello registrato nel 2019, ossia nell’anno pre-Covid, e una tariffa media dell’energia elettrica per le imprese pari a 150 euro per MWh, considerato che nei primi cinque giorni del nuovo anno la tariffa è scesa al di sotto dei 200 euro per MWh. Nello scorso mese di dicembre il prezzo medio dell’energia elettrica per le imprese aveva toccato i 281 euro per MWh, a fronte di una media 2021 pari a 125,5 euro per MWh. Piove sul bagnato, quindi. Un incremento, quello prospettato, che, sommato al rincaro del gas, costringerà molte attività, almeno temporaneamente, a chiudere gli impianti produttivi, anche se, come sottolineano gli analisti, si prevede una progressiva, seppur lenta, riduzione nel corso del 2022.

Ad essere maggiormente penalizzate dai rincari saranno le imprese ubicate in Lombardia che, rispetto al 2019, subiranno un incremento del costo per l’energia elettrica pari a 8,5 miliardi di euro. A seguire, e aziende del Veneto con un extra costo pari a 3,9 miliardi di euro, quelle dell’Emilia Romagna con 3,5 miliardi e quelle del Piemonte con 2,9 miliardi di euro. Considerato che le attività economiche sono concentrate, prevalentemente, al Nord, saranno le attività di tale ripartizione territoriale a subire l’ammontare complessivo dei rincari più importanti, pari a 22 miliardi di euro, ossia il 61% dei costi extra di 36 miliardi che si prevedono a livello nazionale.

Dal punto di vista, invece, dei settori produttivi, quelli più colpiti dagli incrementi saranno, considerati i dati sui consumi elettrici del 2019, metallurgia (acciaierie, fonderie, ferriere), commercio (negozi, botteghe, centri commerciali), altri servizi (cinema, teatri, discoteche, lavanderie, parrucchieri, estetiste), alimentari (pastifici, prosciuttifici, panifici, molini), alberghi, bar e ristoranti, trasporto e logistica, chimica. Secondo gli esperti della Cgia, per fronteggiare tale pessimistica previsione andrebbe attuata, nel medio periodo, una strategia europea comune per stabilizzare il prezzo del gas sul mercato, uniformando le condizioni di approvvigionamento e riducendo così i differenziali di prezzo tra i paesi membri. Ma secondo l’Ufficio studi della Cgia il governo italiano dovrebbe approntare da subito misure urgenti, incrementando, in particolare, le risorse già previste con la legge di Bilancio 2022 mettendo a disposizione delle imprese almeno un miliardo di euro al mese fino al prossimo mese di giugno per calmierare gli aumenti tariffari.
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