Pagina a cura di Stefano Loconte e Giulia Maria Mentasti
Soci, attenzione alla regolarità fiscale della vostra azienda, perché potreste essere destinatari di sequestro per l’intera somma evasa, senza che possiate invocare il vostro mancato arricchimento e senza che neppure il patrimonio capiente della società possa salvarvi. È quanto emerge dalla sentenza 32409/2020, con cui la terza sezione penale della Cassazione ha affermato che, in tema di reati tributari, il sequestro preventivo può essere disposto, entro i limiti quantitativi del profitto, indifferentemente nei confronti di uno o più autori della condotta criminosa, non potendo assumere rilievo il «guadagno» personale di ciascuno dei correi. Legittimo pertanto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto a titolo diretto a carico anche di uno solo dei plurimi soci tutti indagati per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, e ciò anche se i beni della società, unica beneficiaria dell’illecito, sono ampiamente sufficienti a coprire ogni esigenza di cautela.

Il caso. Nel caso di specie il Tribunale del riesame di Crotone aveva confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale, con riguardo alle contestazioni di associazione per delinquere ex art. 416 c.p. e frode fiscale ex art. 3, dlgs 74/2000.

Aveva proposto pertanto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore, l’indagato, deducendo plurimi motivi, tra cui, per quanto ora interessa, l’illegittimità del vincolo sul proprio patrimonio personale (valore nominale delle quote e circa 16 mila euro tra conti correnti e depositi postali), atteso che quello dell’ente, unica beneficiaria delle condotte imputate, sarebbe stato ampiamente sufficiente a coprire ogni esigenza di cautela.

Inoltre, il ricorrente si lamentava che il Tribunale, pur riconoscendo la lecita provenienza della somma di 7.738,37 euro a lui sequestrata, e, dunque, la non confiscabilità della stessa a titolo diretto, ne aveva comunque affermato la possibile sottoposizione a vincolo a titolo di confisca per equivalente; tale somma, invece, avrebbe dovuto esser esclusa dalla misura, risultando il compendio aziendale idoneo a coprire integralmente il presunto profitto del reato.

Sequestri plurimi e per l’intero. Dunque, pur premettendo sin d’ora che la Cassazione ha ritenuto fondato quest’ultimo motivo di ricorso, la argomentazione che prima di tutte pare interessante segnalare è quella relativa al primo, e specificamente al punto in cui l’indagato si doleva del sequestro dei propri beni personali, pur non avendo in alcun modo lo stesso tratto benefico dalle condotte contestate, a fronte peraltro di un patrimonio societario ampiamente capiente.

Dunque, la Suprema corte ha chiarito, con argomento impiegato in precedenti pronunce giurisprudenziali per il sequestro per equivalente, ma ritenuto qui specularmente utilizzabile anche per quello diretto, che, in tema di reati tributari, dinanzi a contestazioni concorsuali che assegnino indistintamente l’intero profitto a tutti gli indagati, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca prevista dall’art. 12-bis, dlgs 74/2000, può essere disposto, entro i limiti quantitativi del profitto, indifferentemente nei confronti di uno o più autori della condotta criminosa, non essendo ricollegabile all’arricchimento personale di ciascuno dei correi, bensì alla corresponsabilità di tutti nella commissione dell’illecito.
Solo nel giudizio di cognizione successivo alla fase cautelare, l’espropriazione non potrà eccedere nel «quantum» né l’ammontare del profitto complessivo, né, in caso di imputato cui non sono attribuibili tutti i reati accertati, il profitto corrispondente ai reati specificamente attribuiti al soggetto attinto dal provvedimento ablatorio (la Cassazione richiama, tra le altre, la recente decisione della sez. V, n. 19091 del 26/2/2020, relativa ai delitti di associazione a delinquere, truffa aggravata e frode informatica in concorso, in cui era stata disposta la confisca, per l’intero ammontare del profitto, nei confronti dei diversi correi, nonché Cass. pen., sez. III, n. 56541 del 5/12/2017, sez. III, n. 1999 del 14/11/2017; sez. II, n. 33755 del 15/7/2016).

Di conseguenza, nella fase cautelare in relazione alla quale gli Ermellini sono stati chiamati a pronunciarsi, nessuna questione può esser posta in tema di beneficio di escussione, a ciò ostando un duplice sequestro, verso l’indagato e verso la società, disposto espressamente in via diretta, quindi eseguibile per l’intero anche nei confronti di tutti i destinatari della misura.

Nessuna confisca diretta sulle somme lecite. Fondato, per contro, è risultato l’altro motivo di impugnazione, relativo alla somma di 7.738,37 euro.

Ai sensi dell’art. 12-bis, dlgs 74/2000 la confisca può essere diretta, se riguarda beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato, o, quando non è possibile la confisca diretta, per equivalente, consentendo l’apprensione di beni per un valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato.

Nel caso in esame, come predetto, il Tribunale aveva confermato che la somma versata sulla carta Postepay non poteva ritenersi legata all’illecito e non poteva costituire oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta. Tuttavia, aveva ritenuto che la stessa somma potesse costituire oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, «sussistendone tutti i presupposti applicativi».

Ebbene, ad avviso degli Ermellini, al di là del carattere non esplicitato di tale ultima affermazione (peraltro valutata in contrasto con la precedente parte della motivazione, che, richiamando la sentenza delle sezioni unite n. 31617/2015, Lucci, qualifica sempre come diretta la confisca del danaro disponibile su un conto corrente), è risultato evidente il carattere solo apparente dell’argomento impiegato per la conferma della misura, che assegnava al sequestro della somma una natura diversa, rispetto a quella originaria, solo perché era risultato non più «praticabile» il percorso logico seguito dal Gip nel provvedimento genetico, attesa la riscontrata, e in precedenza non verificata, liceità della somma sottoposta a vincolo.

Ancora, i giudici di legittimità hanno evidenziato come peraltro tale «riqualificazione» non era stata nemmeno posta in rapporto con la pacifica natura diretta del vincolo sulle altre somme sequestrate al ricorrente, così come sui valori sequestrati all’ente; riscontro che, invece, a quel punto sarebbe stato necessario, per verificare l’effettiva necessità di apprensione anche dell’importo medesimo, alla luce di quanto già vincolato in via diretta e nell’ottica del quantum del profitto contestato.

Da qui l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Crotone limitatamente al sequestro della somma di 7.738,37 euro.

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