Il group ceo Donnet rifà la squadra di vertice dopo l’uscita di De Courtois e Ryan per spingere sul piano industriale e chiudere al meglio l’operazione Cattolica. Che intanto chiama gli advisor per l’aumento
di Anna Messia

Proprio quando la partita intorno a Cattolica si stava facendo decisamente calda, con l’Ivass in pressing su governance e seconda tranche di aumento di capitale, anche dalle Generali è arrivato un colpo di teatro: il general manager, Frédéric de Courtois, e il chief investment officer, Thimoty Ryan, uomini chiave del group ceo Philippe Donnet, stanno per lasciare il gruppo in un momento cruciale per la compagnia. Quest’anno sarà l’ultimo del piano industriale 2019-2021 che ha promesso una crescita degli utili e del dividendo e bisognerà sistemare la strategia in un contesto stravolto dalla pandemia. Ma soprattutto sarà l’anno che porterà dritto, ad aprile 2022, alla scadenza dell’intero cda, Donnet compreso.
Non sorprende quindi che più di qualcuno abbia ipotizzato che l’uscita dei due manager, apprezzati dal mercato e che bene hanno fatto a Trieste, dove sono stati portati dallo stesso Donnet, a tendere anticipi un cambio della guardia anche al timone del Leone. Si tratterebbe – hanno aggiunto altri, di una ventata anti-francese (anche Ryan ha lavorato in Axa) che cavalcherebbe un clima alimentato dai tre partiti d’opposizione, Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, che nei giorni scorsi hanno raccolto le firme di 80 parlamentari preoccupati per un possibile passaggio di Mps ai francesi, ma anche per il fatto che Mediobanca, già oggi partecipata per il 14% da investitori istituzionali di origine francese, rappresenta una preda ambita perché dà accesso al controllo di Generali. Solo congetture per ora, considerando che Donnet avrebbe già in tasca il riassetto organizzativo (tutto interno al gruppo) da presentare al cda convocato per il 27 gennaio per ottimizzare l’assetto. Il group ceo sarebbe pronto anche ad assumere parte delle deleghe assegnate oggi al general manager de Courtois con l’obiettivo di accelerare la strategia per il rush finale del piano industriale. Ma è anche vero che i nomi che circolano come possibili sostituti dei manager uscenti sono tutti italiani: da Carlo Trabattoni (oggi ceo di Generali Investments Partners) e Francesco Martorana ( Generali Insurance Asset Management) per il posto di Ryan, a Giovanni Liverani ( Generali Germania) e Luciano Cirinà (regional ceo di Austria, Cee e Russia) per assumere le deleghe assicurative restanti di de Courtois.
Si vedrà. Di certo la partita di Generali è legata a filo doppio a quella di Cattolica dopo che la compagnia triestina, lo scorso ottobre, ha sottoscritto l’aumento di capitale di 300 milioni chiesto dall’Ivass, diventandone primo azionista con il 24,4% e partner industriale. Anche questo un dossier decisamente importante in vista del rinnovo del board del 2022. Da ottobre la questione a Verona si è fatta però decisamente complicata. Prima Consob ha chiarito che se Generali dovesse superare il 25% sarà obbligata a lanciare l’opa totalitaria, sgombrando il campo da qualunque ipotesi di un’operazione di salvataggio a prezzi di saldo. Subito dopo è esplosa la guerra legale con il Banco Bpm che potrebbe costare cara a Cattolica. In ballo, come noto, c’è lo scioglimento delle joint venture bancassicurative con l’istituto che, facendo valere la clausola del change of control (per l’ingresso di Generali) vuole ricomprare le due compagnie (Vera Vita e Vera Assicura) al prezzo prestabilito dagli accordi di 355,77 milioni rispetto ai 755,45 milioni pagati da Cattolica solo due anni fa. La compagnia continua a sostenere che non c’è stato alcun cambio di controllo ma in attesa di un accordo condiviso (al quale si sta lavorando ma che rimane complicato) restano per ora le incognite.
Intanto nei giorni scorsi è arrivata una nuova stretta dell’Ivass, che ha chiesto a Cattolica un cambio netto della governance con il passaggio a spa che sarà operativo da aprile. L’autorità, come emerso dopo la pubblicazione degli esiti ispettivi chiesta da Consob, ha evidenziato «carenze riferibili agli anni 2018-2019 e ai primi mesi 2020 sul sistema di controllo societario» con il cda che è «venuto meno alle proprie prerogative di gestione, indirizzo e controllo», mentre il presidente Paolo Bedoni, secondo l’authority, avrebbe posto in essere condotte che hanno «alterato il processo di formazione delle decisioni del consiglio». Accuse gravi, che hanno riguardato anche l’operazione Banco Bpm e su questo fronte è arrivata anche una presa di posizione dell’ex capo azienda Alberto Minali, che in una dichiarazione all’Ansa ha chiesto che nessuno a Verona si azzardi «a provare a retrocedere le responsabilità di quanto accaduto». Nessuna intenzione, dunque, di fare il capro espiatorio della vicenda.
Nel frattempo per domenica 17 gennaio è stato convocato un cda ma intanto nei giorni scorsi le notizie hanno fatto scendere il titolo fino a 4,2 euro rispetto ai 5,55 euro pagati da Generali per sottoscrivere i 300 milioni e hanno fatto dimettere un consigliere (Luigi Castelletti). Ma Ivass ha chiesto a Cattolica anche di rivendere sul mercato le azioni oggetto del diritto di recesso (che hanno oggi una minusvalenza potenziale di circa 25 milioni) e soprattutto di accelerare sulla seconda tranche di aumento di capitale di 200 milioni per aumentare l’indice Solvency II. Gli advisor del consorzio ( Mediobanca, Imi e Goldman Sachs) sono già al lavoro e Generali per non superare il 24,4% potrà sottoscrivere solo 50 milioni. Resta da capire a che prezzo avverrà l’operazione e chi si farà avanti, ma prima Consob dovrà dare l’ok al prospetto, rimasto finora congelato per le diverse incognite pendenti sul dossier. (riproduzione riservata)

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