Nel 2019 gli investimenti attenti all’ambiente sono quadruplicati. È solo l’inizio di una svolta epocale, avvertono tra gli altri BlackRock e Intesa. Quali sono le società con le migliori valutazioni di sostenibilità in Italia e nel mondo
di Elena Dal Maso

Mentre le nevi perenni si sciolgono, l’Australia brucia e persino gli Open di tennis devono fare i conti con l’aria irrespirabile, i gestori stanno spostando miliardi di investimenti. È una migrazione diretta verso le società che dimostrano di avere un cuore verde, di essere responsabili nei fatti e non solo a parole nei confronti dell’ambiente. Soprattutto, non dovrebbe trattarsi di un trend passeggero ma di un salto epocale. Così almeno la pensa Larry Fink, fondatore del colosso BlackRock, primo gestore al mondo (nel 2019 ha sfondato il tetto di 7.000 miliardi di asset in gestione) che ha in portafoglio, tra l’altro, il 5% di Intesa Sanpaolo, l’unica banca italiana nella lista top 20 dei gruppi più green e socialmente responsabili al mondo (dati Refinitiv).
La trasformazione è già in atto e i numeri lo dimostrano. Secondo Morningstar, gli investimenti di tipo Esg (Environmental, social and corporate governance) sono passati da 5,5 miliardi di dollari nel 2018 a oltre 20 miliardi nel 2019, ai massimi storici e con un balzo repentino, se si pensa che le variazioni nel 2016 e 2017 erano state quasi impercettibili. Certo, rispetto ai 20.700 miliardi di asset gestiti dai fondi ed Etf Usa nel complesso, è ancora una piccola frazione. Ma BlackRock di per sé porta 7.000 miliardi di dote e il discorso di Fink, argomentato nella lettera annuale scritta ai suoi manager, ha fatto il giro del mondo in poche ore.

Un’inchiesta recente di Morgan Stanley condotta fra 800 investitori Usa con asset minimi per 100 mila dollari, mette in luce che circa l’85% degli interpellati è interessato alle tematiche degli investimenti sostenibili, un dato in rialzo del 14% rispetto al 2015. La fascia dei Millennials, fra 18 e 37 anni, ha dimostrato interesse per il 95%.
La sostenibilità ambientale è al centro del Forum di Davos, che si terrà dal 21 al 24 gennaio e al quale saranno presenti, quest’anno, Greta Thunberg, la giovane attivista svedese che ha lanciato il progetto e il famoso hashtag #FridaysForFuture, nel quale invita i ragazzi di tutto il mondo a trascorrere il venerdì promuovendo manifestazioni per l’ambiente e Donald Trump, il presidente Usa che sostiene i grandi gruppi petroliferi.
Decalia Asset Management, società di gestione con sede a Ginevra, ricorda nella sua newsletter di gennaio che il caso del produttore danese di energia rinnovabile Orsted, fra i migliori con rating Esg, ha emesso di recente un’obbligazione ibrida green a 100 anni che ha ricevuto sottoscrizioni pari a 7 volte l’ammontare offerto. Il 2020, sottolinea Decalia, sarà l’anno che vedrà gli investimenti sostenibili passare da Nice To Have (carini da avere) a Must Have (da avere senza dubbio).
E infatti il Rapporto sui rischi globali 2020 appena pubblicato dal World Economic Forum assieme a Marsh & McLennan mette in evidenza che, fra le principali minacce che potrebbero avere un impatto sulla prosperità globale nel 2020 e nel prossimo decennio, al primo posto compaiono i rischi geopolitici, a cominciare dalla guerra dei dazi Usa-Cina che, nonostante la recente sottoscrizione dell’accordo di Fase 1, in realtà resta perfettamente vitale. Ma al terzo vi sono le ondate di calore estreme e al quarto la distruzione degli ecosistemi naturali. Entrambi questi casi riguardano l’Australia, un continente intero che brucia da mesi. La quindicesima edizione del rapporto si fonda sul lavoro di circa 800 esperti da tutto il mondo.
Il tema Esg inizierà a pesare concretamente sempre di più anche sul bilancio delle banche europee. L’Eba, l’autorità bancaria europea, ha già anticipato che negli stress test del 2020 inserirà i temi legati al cambiamento climatico in base ai quali fornirà valutazioni all’inizio su un gruppo di istituti volontari. Ma via via tutte le banche saranno sottoposte a questo tipo di analisi.
Il fatto è che nel frattempo l’Unione Europea pochi giorni fa si è impegnata a diventare il primo blocco di Paesi al mondo a impatto climatico zero entro il 2050. Il piano di investimenti del Green Deal presentato e approvato in plenaria dal parlamento Ue farà leva sugli strumenti finanziari, in particolare InvestEu, per mobilitare fondi pubblici e privati che si dovrebbero tradurre in almeno 1.000 miliardi di euro di investimenti. Il mondo, quindi, ha già cominciato a svoltare, a scegliere la strada del maggior rispetto ambientale, trainato dalle generazioni più giovani.

In questa direzione si stanno muovendo i soldi dei gestori. Standard Ethics, agenzia di rating non finanziari con sede a Londra, ha elaborato per MF-Milano Finanza i 40 titoli con più alto rating nel mondo e i 40 del Ftse Mib ordinati per giudizio più elevato.
I clienti dell’agenzia inglese sono società che hanno richiesto un giudizio di sostenibilità. La società opera come S&P, Moody’s e Fitch, concentrandosi però nel settore della sostenibilità. Standard Ethics non usa i dati raccolti al di fuori del rapporto col cliente, non collabora ad attività di asset management, non effettua consulenza verso terzi. Lo Standard Ethics Rating è una valutazione del livello di conformità delle aziende e delle nazioni ai principi di sostenibilità e governance che provengono dall’Unione Europea, dall’Ocse e dalle Nazioni Unite. Le società sono suddivise in diverse fasce, partendo dalle migliori con giudizio EEE (nessuna per ora al mondo, si comincia nel concreto da EEE-) passando a EE-: queste sono aziende investment grade. Quelle invece che vanno da E+ a E rientrano nella fascia lower investment grade e infine quelle appartenenti alla fascia da E- a F rientrano nella categoria Non investment grade

Che cosa emerge quindi? Allargando lo sguardo ai titoli top 100 mondiali che MF-Milano Finanza ha potuto consultare, spicca fra i primi posti il gruppo London Stock Exchange, che controlla Piazza Affari, con un rating EEE-. Le società italiane più importanti rientrano nel gruppo successivo, a partire da EE+ che vede al suo interno blue chip quali Eni. Il gruppo guidato da Claudio Descalzi da tempo sta cercando di promuovere la transizione energetica rispetto alle soli fonti fossili ed è collocata nel classifica, a pari merito, accanto a Unicredit. La banca affidata all’amministratore delegato Jean Pierre Mustier ha dimezzato dal 2008 le emissioni di gas serra e punta al 60% di riduzione entro il 2020 e all’80% entro il 2030. Inoltre entro il 2023 le sedi della banca in Italia, Germania e Austria utilizzeranno esclusivamente fonti di energia rinnovabile, rispetto al 78% nel 2018. La banca, poi, intende essere plastic free entro il 2023.
Sempre con giudizio EE+ compaiono società come UnipolSai e Prysmian, mentre nella categoria EE rientra Intesa Sanpaolo. Fra l’altro giovedì 16 gennaio il gruppo guidato da Carlo Messina ha dedicato una giornata ai temi Esg, che ha visto fra i protagonisti non a caso il presidente di BlackRock, Rob Kapito. Quest’ultimo ha spiegato che «la sostenibilità dovrebbe essere lo standard per gli investimenti. Per questo usciamo da investimenti che hanno elevati rischi di sostenibilità, come quelli nel settore dei combustibili fossili, e lanciamo nuovi prodotti per sostenere la transizione energetica». In quell’occasione il ceo Messina ha detto che Intesa è in grado «di garantire 50 miliardi per investimenti nella green economy sui 150 miliardi possibili in Italia» secondo le stime formulate nell’ambito dei mille miliardi complessivi del Green Deal dell’Unione Europea.
Il giudizio EE è stato assegnato poi anche ad alcune utility come A2A, poi a Banca Generali e alla capogruppo Assicurazioni Generali, al gruppo della difesa Leonardo, a Enel e a FinecoBank. A questo livello rientrano anche colossi mondiali quali The Disney Company, StMicroelectronics, Visa con le carte di credito, il gruppo assicurativo ZurichSo, nel settore tecnologico Sony e Intel. (riproduzione riservata)

Aziende più attente all’ambiente con l’intelligenza artificiale

Il tema del rischio climatico è sotto gli occhi di tutti. Ma come convincere le aziende a ridurre le emissioni inquinanti, migliorare la corporate governance e fornire informazioni più trasparenti? «Credo che il cambiamento climatico sia un aspetto che sta motivando sempre di più le imprese a rivedere i loro comportamenti. Da questo punto di vista è diventato un fattore determinante nelle loro prospettive a lungo termine, perché le costringe a rivedere in maniera importante la riallocazione del capitale. Gestire al meglio un’azienda vuol dire essere sempre più coerenti con una strategia Esg, che rispetti cioè i principi ambientali, sociali e di governance», dice Meaghan Muldoon, responsabile del team Emea sustainable investing di BlackRock. Prima di entrare in BlackRock nel 2016, la Muldoon ha lavorato sette anni come consulente in materia di politica fiscale ed economica nell’amministrazione Obama.
Nonostante i disastri ambientali ai quali stiamo assistendo, o forse proprio in conseguenza di ciò, l’attenzione del pubblico per agli aspetti climatici e sociali è cresciuta negli ultimi anni. Ne è convinta la Muldoon, perché «il rischio climatico è considerato da un numero sempre maggiore di investitori un rischio di investimento, che li costringe così a riconsiderare le scelte di portafoglio».
Ci sono settori, come quello dell’energia che sono inevitabilmente più esposti di altri, ma la tendenza al cambiamento li sta attraversando tutti. Non si tratta quindi di valutare solo quali comparti siano più virtuosi rispetto al altri, ma i progressi concreti che sono stati dalle singole aziende. Le stesse che, per migliorare la corporate governance devono fornire «maggiori informazioni e più dettagliate», al fine di poter prendere decisioni più coerenti, anche in tema Esg, spiega la manager di BlackRock.
La buona gestione delle aziende ne determina la qualità, ma dal punto di vista di un investitore che legame c’è fra i fattori definiti Esg e Quality? «Le ricerche che abbiamo condotto sui mercati azionari e obbligazionari hanno dimostrato che c’è una correlazione fra i due, ma non è necessariamente una correlazione perfetta. A volte aziende con un valido management non sono altrettanto virtuose in tema Esg. Il punto chiave è capire in che fase si trovano nella transizione verso un modello più sostenibile. Un processo tanto più facile quanto più un’azienda è agile», sostiene la Muldoon.
Per valutare poi il livello di coinvolgimento (engagement) delle aziende si possono utilizzare vari criteri, che riguardano la strategia, per capire come i temi Esg siano stati in essa compresi, oppure la ridistribuzione dei ricavi fra le diverse divisioni nel tempo. In ogni settore si possono così definire i vincenti e perdenti in una prospettiva futura.
Ma in questo ambito che ruolo ha l’intelligenza artificiale? «Si tratta di uno strumento molto interessante per avere accesso a diverse fonti di informazione fra loro apparentemente non collegate. Per esempio, tramite le telecamere si possono vedere quante auto sono parcheggiate davanti a un supermercato e fare così proiezioni sulle vendite future dei prodotti venduti. Oppure tramite i social media si può captare il sentiment della gente per i temi Esg e da lì trarre utili considerazioni quando si ragiona su una strategia aziendale più sostenibile», conclude la manager di BlackRock. (riproduzione riservata)

Stabili gli investimenti nelle rinnovabili

Gli investimenti globali nelle energie rinnovabili hanno chiuso il 2019 con un leggero incremento, dopo un primo semestre dell’anno poco positivo. Secondo le cifre comunicate da Bloomberg il 13 gennaio, il totale mondiale di investimenti nelle energie rinnovabili ha superato 282 miliardi di dollari, con un aumento dell’1% rispetto al 2018, spinto da un’impennata tardiva dei progetti eolici offshore al largo delle coste della Cina e dell’Europa. Le nazioni del mondo hanno investito più di 138 miliardi di dollari in progetti eolici, con un aumento del 6% rispetto all’anno precedente, compresi quasi 30 miliardi di dollari per i parchi eolici offshore. Nel frattempo, in tutto il globo sono stati spesi circa 131 miliardi di dollari per progetti solari, con un calo del 3%. La Cina rimane il più grande investitore mondiale nelle rinnovabili, con una spesa di oltre 83 miliardi di dollari, ma è stato il suo livello più basso dal 2013. All’estremo opposto, gli Stati Uniti hanno raggiunto un nuovo record annuale, a quasi 56 miliardi di dollari, in quanto molte aziende hanno accelerato per ottenere crediti d’imposta federali in scadenza. La seconda metà dell’anno ha registrato una netta inversione di tendenza rispetto a un primo semestre in cui gli investimenti in energia pulita sono scesi del 14% e la Cina aveva ridotto gli investimenti di quasi il 40%, in seguito alla modifica del suo costosissimo programma di sovvenzioni per le energie rinnovabili. Un leggero guadagno batte un calo, commenta il Mit Technology Review, «ma queste cifre sono ancora lontane dal livello di investimento necessario per ridurre le emissioni abbastanza velocemente da evitare livelli di riscaldamento globale molto pericolosi». Secondo una recente analisi del Breakthrough Institute, lo sviluppo del sistema energetico necessario per soddisfare la crescente domanda e prevenire l’aumento di 2 gradi di riscaldamento richiederà un’aggiunta annuale di investimenti in energia pulita pari a cinque volte il livello attuale entro il 2040. (riproduzione riservata)

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