di Carolina Nizza
Più di 3 mila partecipanti, 117 Paesi, 53 capi di Stato e un solo obiettivo: salvare il pianeta. Il tema della sostenibilità è, infatti, uno dei più importanti nell’agenda dei big che si riuniscono in Svizzera oggi per discutere come affrontare le principali sfide globali. Quest’anno, le sfide sono quasi tutte di natura ambientale. Come da tradizione, a preparare il terreno per i lavori che si svolgeranno sulle montagne di Davos è il Global Risk Report dello stesso World Economic Forum. In questa quindicesima edizione, per la prima volta, le prime cinque posizioni della classifica dei rischi globali più temuti sono occupate da questioni ambientali, preoccupazioni che nel 2010 non figuravano neanche nell’elenco, ma che oggi generano quello che il vicepresidente della EIB Alexander Stubb ha definito «un nuovo disordine globale».
Dall’indagine, che si basa sull’analisi dell’opinione di 1.047 partecipanti, emergono in particolare i rischi legati alla probabilità e all’impatto di eventi meteorologici estremi; al fallimento dei processi di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici e all’assenza di una risposta internazionale coordinata; alle grandi catastrofi naturali come terremoti, tsunami, eruzioni vulcaniche, tempeste geomagnetiche che sembrano già essere sempre più ricorrenti; alla progressiva perdita di biodiversità e al collasso dell’ecosistema; e ai danni ambientali causati dall’uomo, come deforestazione e inquinamento.
Dopo il fallimento nel raggiungere una risposta coordinata alla COP25 di Madrid, la questione si fa sempre più pressante. La sfida che attende a Davos gli esponenti del mondo imprenditoriale, finanziario, governativo, accademico, della società civile, delle arti e della cultura, sarà infatti quella di iniziare a pensare a un nuovo sistema capace di ristabilire l’equilibrio e di individuare una strategia comune per affrontare la globalizzazione 4.0 che necessita sempre di più di maggiore sostenibilità.
Non a caso infatti, il tema che caratterizzerà le 350 sessioni di lavoro previste nei prossimi giorni è quello di «Stakeholders for a Cohesive and Sustainable World», volto ad avanzare un dialogo mirato per costruire «un mondo più coeso e più sostenibile». Non rimane molto tempo. Come spiega il documento del WEF, il cambiamento del clima ci sta colpendo con più forza e più rapidamente di quanto ci aspettavamo, e se la tendenza al rialzo delle temperature non si dovesse invertire, si potrebbe raggiungere persino il temuto aumento di 3 gradi centigradi, una soglia che avrebbe conseguenze catastrofiche per il nostro pianeta. I prossimi dieci anni saranno perciò decisivi per la salvaguardia del nostro pianeta. Come racconta il professore svedese Johan Rockstrom, direttore dello Stockholm Resilience Centre, siamo sempre più vicini a spingere la terra verso un disequilibro che è irriconciliabile con la vita umana. Il 2020 sarà quindi un anno cruciale in questa sfida, e dalla nostra capacità di ridisegnare i sistemi economici, sociali e per renderli più verdi, e più sostenibili, dipende la nostra sopravvivenza.
Se il 2020 rappresenta il cinquantesimo anniversario dalla creazione di Davos, l’inizio di questo nuovo decennio rappresenterà quindi anche un punto di svolta. Tanto che lo stesso WEF ha deciso di rivedere il documento originale che dal 1973 ha guidato gli obiettivi della Conference per proporre un nuovo Manifesto, che fa appello, più di tutto, alla creazione di valore sostenibile. Occorre guardare a una nuova economia basata su rinnovabili, transizione energetica e, in generale, su modelli di business più sostenibili, unico punto di contatto tra le esigenze dei singoli governi e la priorità del nostro Pianeta. E non solo per logiche economiche, ma anche per una responsabilità morale nei confronti delle generazioni future.
Tra i politici, imprenditori, ma anche attivisti e cittadini, che si ritrovano a Davos con questa consapevolezza c’è anche il principe Carlo d’Inghilterra che ha chiamato a raccolta un Consiglio per discutere proprio di come promuovere mercati più sostenibili. Ma ci sarà anche Ursula von der Leyen, il cui impegno nel ridurre le emissioni e costruire un’Europa a emissioni zero entro il 2050 prevede un piano da 10 miliardi nei prossimi dieci anni; ci saranno poi numerosi attivisti, che si sono già messi in marcia per far sentire la loro voce, tra cui i quattro italiani che raggiungeranno Davos in sci per protestare contro l’innalzamento delle temperature. E poi ci sarà Greta, che ormai di questa sfida è simbolo e portavoce, a ricordare a tutti che anche da una singola azione può nascere un grande cambiamento. (riproduzione riservata)

L’uso consono del suolo consente di mitigare il riscaldamento globale

Se gli uomini cominceranno a utilizzare i terreni come una risorsa utile a mitigare il riscaldamento globale e a diminuire contestualmente il livello di carbonio presente nell’atmosfera allora, agendo con rapidità, c’è ancora una speranza di limitare il riscaldamento globale a 1,5°. Lo sostiene un documento pubblicato dal World Economic Forum a pochi giorni dall’apertura dei lavori di oggi, che riporta alcune statistiche che hanno l’obiettivo di dimostrare come il nostro stile di vita attuale non sia più sostenibile.
Quali i dati a supporto della tesi?
Il primo riguarda il cibo e l’effetto del suo spreco. Dal 2010 al 2016 i rifiuti alimentari hanno generato il 10% delle emissioni di gas serra prodotte dall’uomo, che non ha consumato il 30% degli alimenti prodotti. Il cibo in decomposizione, inoltre, produce metano, gas serra 25 volte più potente della CO2.
Anche la produzione di carne rossa genera metano, la metà di tutte le emissioni, e il trend è in aumento a causa di due elementi che si sostengono a vicenda: la popolazione mondiale è in crescita – si stima a 9,7 miliardi di persone entro il 2050 – e la domanda di carne bovina è anch’essa in aumento.
L’erosione del suolo legata allo stile di vita dell’uomo rilascia carbonio nell’atmosfera e può provocare inondazioni, desertificazione e inquinamento: il suolo viene perso 100 volte più rapidamente di quanto si formi, nelle aree agricole, e metà del terriccio fertile dell’intero pianeta è andata perduta negli ultimi 150 anni.
Gli esseri umani hanno un impatto su oltre il 70% della terra libera dal ghiaccio e causano il degrado di un quarto di quel territorio.
Tenendo conto che il 37% di tutte le emissioni generate dall’uomo proviene dal modo in cui viene utilizzata la terra per attività quali, fra le altre, silvicoltura, agricoltura e produzione alimentare, allora si capisce come una maggiore consapevolezza possa favorire una vita più sostenibile, agendo da subito. (riproduzione riservata)
Gian Marco Giura

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