Taglio nei rendimenti, ma anche netta sforbiciata dei costi a carico degli assicurati, che beneficiano così di maggiori somme investite, rispetto agli analoghi contratti diffusi 30 anni fa. Sono i risultati di un confronto, delle polizze vita rivalutabili, in voga negli anni Novanta che anticipavano le attuali forme di previdenza complementare, come piani individuali di previdenza o fondi pensione. L’analisi confronta i dati pubblicati sul Corriere della Sera il 20 gennaio 1990 di oltre 30 imprese di assicurazione e l’ultimo Rapporto Ivass (2018).

Prima evidenza: la riduzione di 10 volte dei costi su ogni versamento. Oggi ogni 1.000 euro versati nelle polizze rivalutabili, 975 vengono investiti , mentre nel 1990 in media erano solo 776. La media dei costi — del tutto inespressi mentre oggi devono essere indicati — prendeva a riferimento polizze di rendita vitalizia rivalutabile per un assicurato 40enne che versava un milione di lire (euro 516,46) per 20 anni, era del 22%, un vero salasso.

Le gestioni separate sono i fondi nei quali queste polizze investono e garantiscono il capitale, anno dopo anno, con gli interessi maturati. Il montante complessivo delle 299 gestioni separate censite dall’Ivass nel 2018 ammonta a 516 miliardi (riserve matematiche) e si compone per l’82,4% di titoli a reddito fisso ed obbligazioni e per il 21,98% di obbligazioni societarie quotate.Nel 1990 tutte le polizze vita di risparmio, oltre alla garanzia de capitale investito, riconoscevano un tasso minimo di rendimento annuo del 3 o 4%.

La progressiva diminuzione dei tassi ha portato a ridurre o annullare questa promessa minima ai nuovi sottoscrittori: delle 299 gestioni separate attive nel 2018, il 42% ha un tasso minimo pari a zero, il 26% un minimo garantito compreso tra l’1 e il 2% , un 10% tra i 3 e 4%. In più non tutte le polizze garantiscono il 100% del capitale investito: dei 92 miliardi di premi annui incassati nel 2018 per polizze individuali, un 32% investe in unit-linked, non associate alle garantite gestioni separate, ma a fondi di investimento e quindi a prodotti con capitale a rischio.

Ma quanto rendono e quanto rendevano nel 1990? Nel 2018 parliamo di un 3,03% medio lordo (con inflazione annua allo 0,62%) per i fondi delle gestioni separate , trenta anni fa si arrivava all’11,91%, ma l’inflazione era al 6,45%.

Per ottenere il rendimento netto, utilizzato per incrementare il capitale maturato nella polizza vita, si deve però detrarre il costo trattenuto dall’impresa di assicurazione: ora è tipicamente in cifra fissa e pari in media all’ 1%; nel 1990 era una variabile in percentuale del rendimento del fondo, come «aliquota non retrocessa all’assicurato». Ad esempio se in media la polizza rendeva 11,91% e veniva retrocesso l’80% (9,5%) , la spesa di gestione era pari al 2,38%. Insomma: 9,53% contro 2% è il risultato in termini di rendimenti netti delle polizze a 30 anni di distanza, ma se ci mettiamo l’inflazione scendiamo al 3% nel 1990 e all’1,38% nel 2018.

Trent’anni fa c’era anche il Fisco a dare una mano consistente, con la detrazione dalle imposte ( 27%) del versamento annuo fino a 2.500.000 lire ( euro 1.291,14) con obbligo di mantenere in vita la polizza per almeno 5 anni. Lo sgravio ora è riservato in linea di massima solo alle polizze caso morto e agli strumenti di previdenza integrativa con una deduzione che può arrivare fino 5.164,57, euro.

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