di Leonardo Totaro*

I rischi derivanti dai cambiamenti climatici aumentano e sempre più aree nel mondo sono destinate a risentirne nei prossimi decenni, con ricadute socio-economiche di vasta portata in assenza di contromisure radicali e tempestive. È quanto emerge dall’ultimo studio del McKinsey Global Institute dal titolo «Climate risk and response: physical hazards and socioeconomic impacts» che per la prima volta combina modelli di evoluzione del clima con analisi geospaziali e proiezioni economico-finanziarie su cinque principali aree di impatto: vivibilità e possibilità di lavorare in ambienti esterni, sistema alimentare, beni fisici, infrastrutture e risorse naturali.
La ricerca, durata un anno e svolta con la collaborazione di autorevoli istituti scientifici tra cui il Woods Hole Research Center e l’Environmental Change Institute dell’Università di Oxford, affronta in maniera fattuale il problema dell’aumento non lineare dei rischi ambientali in un contesto di mancata decarbonizzazione e ne quantifica i possibili danni socio-economici nel prossimo decennio e al 2050.
Gli effetti dei cambiamenti climatici sono già oggi visibili: dal 1900 la temperatura media globale è aumentata di 1,1 gradi e si intensificano in frequenza e portata i fenomeni estremi (uragani, alluvioni e siccità) contemporaneamente alla progressiva dispersione della ricchezza naturale di ghiacciai, oceani e foreste. Le Cascate Vittoria in Zambia, ad esempio – non solo spettacolare luogo turistico e patrimonio Unesco, ma anche fonte di nutrimento per gli animali e di approvvigionamento di elettricità per milioni di persone – sono oggi prosciugate dalla peggiore siccità che abbia colpito l’Africa meridionale nell’ultimo secolo. Gli ordini di grandezza dei danni da fenomeni ambientali sono enormi: il solo l’uragano Harvey del 2017 ha prodotto danni diretti e indiretti per 125 miliardi di dollari.
Anche l’Italia è sempre più frequentemente interessata dal cambiamento climatico: dalla cronica stagnazione di inquinanti nella Pianura padana nei mesi invernali, all’emergenza siccità nel Sud Italia, all’aumento della frequenza di fenomeni atmosferici estremi come le trombe d’aria lungo i litorali, alle esondazioni, agli allagamenti e agli smottamenti in molte zone del territorio. Per non parlare del ritiro dei ghiacciai e della pericolosa fusione del permafrost – negli ultimi decenni sono scomparsi circa 200 ghiacciai nelle Alpi – e della sostanziale scomparsa della neve sotto i 1.500 metri, con pesanti ricadute economiche sulle località turistiche che nei decenni passati avevano investito nella costruzione di stazioni sciistiche.
In assenza di interventi radicali sulle emissioni di CO2 la temperatura media globale aumenterà di altri due gradi entro il 2050; con il superamento delle soglie fisiche e biologiche gli impatti socio-economici del cambiamento climatico aumenteranno in maniera esponenziale. Per esempio, il numero di persone esposte al rischio di ondate di calore potenzialmente letali raggiungerà i 350 milioni entro il 2030. Il riscaldamento dei mari ridurrà significativamente il volume di pesce pescato, mettendo in seria difficoltà 800 milioni di persone la cui nutrizione o il cui reddito dipendono dalla pesca. In alcune aree del Mediterraneo la disponibilità di acqua piovana si ridurrà del 70%. Ancora, i danni a beni fisici e infrastrutture dovuti alle sole inondazioni fluviali raddoppieranno entro il 2030 rispetto ai livelli attuali e quadruplicheranno entro il 2050. Ci saranno inoltre effetti di secondo e terzo ordine, ad esempio in Florida l’aumento dei prezzi delle assicurazioni per la casa fino a livelli insostenibili, la riduzione delle erogazioni di mutui residenziali e la conseguente svalutazione dei valori delle abitazioni nella regione.
A risentire maggiormente del cambiamento climatico saranno sicuramente i Paesi con i livelli di pil pro capite più bassi, che si affidano maggiormente alle risorse naturali e al lavoro all’aperto e presentano variabili climatiche già oggi più vicine alle soglie fisiche. Ma anche i paesi avanzati e i grandi aggregati metropolitani, con più alte concentrazioni di edilizia residenziale e con più importanti infrastrutture, saranno colpiti da danni di ampia portata: in molti Paesi del mondo, per fare un esempio, le torri di telecomunicazioni o le metropolitane sono state progettate ipotizzando limiti di velocità del vento o di innalzamento dei livelli dell’acqua che potranno essere superati in futuro.
Se guardiamo al Mediterraneo e all’Italia, una delle conseguenze dell’aumento delle temperature sarà l’impulso al turismo nelle zone del Nord Europa, con contestuali ricadute negative sulla vitalità economica delle località turistiche dell’Europa meridionale; già la scorsa estate il lago di Garda ha registrato una flessione del turismo in buona parte causata dal minor afflusso di visitatori tedeschi che hanno potuto godere di un clima straordinariamente mite nelle loro località turistiche del Mare del Nord. Se nulla sarà fatto, il cambiamento sarà inesorabile: nel 2050 il clima di Marsiglia e Madrid assomiglierà a quello attuale di Algeri e Marrakech.
Affrontare il cambiamento climatico richiede una consapevolezza diffusa, che purtroppo ancora stenta a farsi strada, e un’accelerazione delle misure di decarbonizzazione e di protezione delle risorse naturali, insieme a quelle – assolutamente necessarie a questo punto – di misurazione sistematica, mitigazione e adattamento ai rischi ambientali. I processi decisionali di governi, aziende e investitori non possono prescindere dai cambiamenti climatici; l’ulteriore aumento del riscaldamento globale e del rischio climatico potrà essere fermato solo con la totale eliminazione di emissioni nette di gas serra. E quando questo risultato sarà stato raggiunto saranno necessari almeno 20 anni per stabilizzare l’aumento della temperatura globale.
In questo contesto l’Europa riveste un ruolo attivo: il Green New Deal recentemente annunciato dalla Commissione Europea punta al raggiungimento della neutralità climatica nel continente entro il 2050 e mobiliterà 1.000 miliardi di investimenti sostenibili nei prossimi dieci anni. Il ceo di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, ha annunciato che da sola la Banca metterà da subito a disposizione finanziamenti aggiuntivi per 50 miliardi, un terzo di quanto previsto dal piano per il Paese; un contributo concreto che si basa su una visione lungimirante, perché gli investimenti sostenibili saranno alla base della prossima rivoluzione industriale e rappresenteranno un volano formidabile di crescita e occupazione.
È fondamentale che l’opinione pubblica sottolinei l’urgenza di risposte concrete e tempestive e che i governi incoraggino più decisamente il cambiamento con le proprie scelte di medio-lungo periodo, ma è altrettanto importante – come accade in tutte le svolte epocali – che le imprese e il sistema finanziario inizino da subito a investire in innovazione facendosi precursori del cambiamento necessario in campo ambientale. (riproduzione riservata)
*chairman McKinsey & Company Mediterraneo

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